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Il Sapore dell'Acqua

Acqua  e  Territorio

Il Sapore dell'Acqua  - Ricordi di Gioventù

L’interesse suscitato sul tema dell’acqua , ha rappresentato uno stimolante spunto di riflessione . Che cosa è il paesaggio oggi ? Quante e quali sono le nostre risorse idriche ? Ma come si viveva senz’acqua ?


La prima riflessione è che ognuno ha una consapevolezza precisa sul paesaggio che fa a sua volta emergere un elemento peculiare . Il paesaggio è virtualmente conosciuto come una distessa di luoghi che tra privati e demaniali appartengono a Jacurso Comune e ai Jacursani.

 

Il dato negativo rileva, purtroppo , che sono pochi coloro i quali conoscono realmente il territorio e ancora meno quanti hanno consapevolezza sul significato dei toponimi che caratterizzano principalmente le zone montane .

Dove si interrompono le Serre , dove si incontrano numerose sorgenti e dove ancora restano i segni degli antichi tratturi e delle strade che formavano quadrivi e si dipartivano verso l’Istmo , per le zone interne delle Serre ( San Vito , Cenadi , Chiaravalle , Serra ) o per la costa Jonica (Satriano …)

Posizione geografica, bellezze naturali , boschi , sorgenti , fiumi , strade .

Si conosce , inoltre , poca cosa sui fatti del passato anche se alcuni esiti importanti si sono trascinati sino ai giorni nostri . Ma non c’è da preoccuparsi. Anche gli Amministratori del circondario non distinguono i confini e disconoscono vertenze e contenziosi .

Vicende rilevanti per la tutela degli interessi comunali che nel futuro o già nel presente potrebbero avere ricadute sui destini del territorio. Proprietà e concessioni delle acque e dei terreni che , per citarne alcuno, intentato dalla dinastia del Duca di Monteleone Aragona Pignatelli Cortez e altro dal Duca della Scaletta .

Per l’associazione KaloKrio gli argomenti trattati sono diventati il frutto di un lavoro appassionato e sufficientemente condiviso non solo tra i soci ma dagli amici lettori e non solo nell’ambito locale .

Forti di un accresciuto radicamento territoriale e con la determinazione che raccontando e proponendo si possono intraprendere positive iniziative , siamo consapevoli ,pertanto , di aver intrapreso un nuovo percorso fattibile figurando anche possibili progetti di sviluppo .

“ Acqua e Territorio “ Tema che l’associazione ha intrapreso raccontando “ Il Sapore dell’Acqua “ vuole questa volta rendere protagonisti quelli che hanno vissuto “ Il sapore dell’Acqua “ anche come un gioco o un piacevole ricordo del passato .

Infine , considerando qualche domanda del tipo Come si faceva a vivere senz’acqua nelle case ? Quando arrivò ? Com’era la vita di ogni giorno ? saremo nelle condizioni di dare un sufficiente contributo su questi argomenti iniziando dal tema “ Il Rubinetto in Casa “.

L’intento sarà solo quello di raccontare cronologicamente gli eventi e la storia ma non si potrà rinunciare a fare ricorso a documenti , progetti , scelte e riferimenti Amministrativi che meglio faranno comprendere a chi non ha conosciuto i segni drammatici dell’arretratezza e delle privazioni anche elementari dell’igiene.



I ricordi dell’acqua “                                                                                                                               ….alcune memorie legati alla prima gioventù


Non c’era,dunque , l’acqua nelle case e non c’era la lavatrice. Le nostre mamme quando non trovavano un po di “ Trattiagnu * “ e dovevano lavare ‘na cista de panni “ erano costrette a portarci appresso.


* Trattiagnu : Quando si aveva da fare le mamme avevano necessità di affidare i figli a qualcuno. Spesso si ricorreva  a lu Trattiagnu .  Vai a la Cummare  Vittò e dilli si ha nu puacu de trattiagnu 'ca pue 'lli lu riandu !.  Era la frase che si affidava al figlio che andava da Vittò e riferiva. Si biajhu miu ,ma ajhu mu lu truavu e ài de aspettare nu puacu mu lu truavu ! Era ovviamente una scusa perché lu Trattiagnu altro non era che un po di  " affidamento temporaneo " presso la cummare Vittò .

Lu Vajhùne non era lontano e nemmeno vicino ma se i panni erano pochi si andava “ a la Prisa “

E li non è che si trovava il parco giochi. Si andava di malavoglia ed era un luogo duve “ ni ‘ncrisciamu ,e basta “. Già il posto metteva tristezza . Non era luminoso ed aveva spazi ristretti soffocati da una fitta vegetazione. La mamma preparava ‘nu gurnale “ e si addobava le pietre per lavare . Ogni Donna ,abitualmente, aveva una sua petra liscia

Si andava a lu Vajhune . Sgassarri, Granchi e Liciarti de 'nchiaccare !

Come si sa, i cellulari erano ancora lontanissimi a venire ed allora i giochi e gli attrezzi per passare il tempo si inventavano sul posto. Li costruivamo con la fantasia prima e con l’ingegno dopo. Con quel che si trovava era opportuno inventarsi attrezzi e materie prime.

Tra l’erbetta e le pietruzze sulla sponda si appostava la licerta “ e si “ brevettava “ il cappio con lo stelo di una pianticella acquatica  .Poi iniziava la sfida con la malcapitata “ licerta “ che guardava ferma con quegli occhi curiosi e spalancati .

La lucertola pur essendo un rettile attira la simpatia al contrario delle salamandre o cechi che lucertole appaiono quanto loro.

Sarà perché simpatica e inoffensiva, per noi maschietti era una delle attività preferite a stuzzicarle. Purtroppo ,come si scriveva, diventavano la preda su cui si esercitava l’innata tendenza alla crudeltà da parte di alcuni .

Quando si spezzava la coda ,questa rimaneva a contorcersi e per noi diventava un’attrazione singolare sino a quando quella motilità cessava Per quelli con un po di cuore restava un senso di colpa,per gli altri non si sa. Poi crescendo si è saputo che ,per la lucertola, si tratta di una difesa contro i suoi predatori. Infatti non si recide ma semplicemente si separa.La lucertola recupera così la salvezza con la fuga. La coda ricrescerà.

Nell’acqua si andava ad acchiappare “ Sgassarri “ e Cucchiariajhii " ma l’impresa affascinante era la ricerca dei granchi e per acchiapparli non era facile .

Il Granchio alzava le pinze “ in posizione di attacco e si difendeva. Ma noi ,furbi, lo stuzzicavamo stancandolo con un legnetto . Il granchio aggrediva l’avversario ,il legnetto. Poi al momento gli si metteva davanti quello stelo di legno e lui , istintivamente furbo e vincente , lo stringeva con le pinze.

Uno strappo ed era fuori acqua.

All’asciutto era ,poi ,più facile giocare. Noi a provocarlo e lui a difendersi ! A volte ,quand’era femmina la sventurata creatrura , le si sollevava una specie di cartaligine sotto la pancia e venivano fuori tanti granchietti.

Gli Sgassari “ si difendevano meglio .Erano agili, saltavano ed avevano la pelle viscida. Ma l’esperienza e i trucchi ci consentivano di acchiappare anche loro.

“ A li sgassarri ,impietosamente, gli si faceva una tortura anche impietosa . A volte venivano gonfiati. Io non l’ho feci mai per paura. Gli ardimentosi con pensieri “ così “… cioè crudeli e privi di sentimenti …lo facevano.

I cannali di Castanò. Si tappavano con il palmo della mano e quando veniva tolto la gittata arrivava sul piazzale !

Si aveva ,invece , paura delle buffe (Rospi ) perché guardavano da far paura , erano brutte , immobili e ci era stato detto che “ sputavano “ . Neanche con un mazzacane si riusciva a scasarle !

Però quanta fantasia , inventiva, conoscenze e mestiere per cavarsela da soli !  A distanza di anni vedendo quei servizi sugli abitanti delle foreste che vanno a caccia con la cerbottana o l’arco …ci fanno ritrovare la giovinezza scopriamo che  eravamo pure noi “servaggi “. Lo facevamo anche  con gli stessi loro gesti ,gli archi e la cerbottana  !

Si andava anche alle fontane . Si era girovaghi in cerca di avventure. C’erano le vasche per lavare e quando non erano occupate ,seduti sul bordo, si trovava gusto a sciacquare le gambe nell’acqua. Altre volte ,nei momenti di punta, si doveva aiutare la mamma a posare per terra le vozze di creta. Anche  a portarle a casa

Si tuffava ,si girava  e si mangiava

D’ inverno a novembre arrivavano “ trusci d’acqua imponenti. Il cielo diventava cupo . Pare “ca Scuràu “ si sentiva dire in casa . Poi tuoni e fulmini facevano il loro mestiere e per noi ragazzi si avvertiva quella strana condizione di sentirci bene …protetti in casa mentre fuori era il diluvio. Incosciamente era un modo di apprendere i rumori della natura , i lampi ,i tuoni ,il vento e l’acqua…

Nella credenza popolare …era il caso di ricorrere alle preghiere e si pregava Santa Barbara. Si accendeva la candela benedetta e ..poi Santa Barvara ‘no rumbati ‘ca li puarti ‘sunu apiarti, li candili ‘su appicciati ,santa Barvara ‘no rumbati “. Si accendeva altra candela e si buttava sulla strada “ lu pane benedittu de la cena “ .

Sino agli anni cinquanta la porta di casa era fatta a due “ menzine “ di castagno. In lunghezza ,  una delle due menzine era tagliata quasi a metà. La parte bassa restava chiusa con la grossa maniglia de fhorgia “ mentre l’altra metà serviva a far entrare “ luce “ e pertanto restava spalancata.

Arrivau la chjina ! Si sentiva un vociare di persone dal vicino Bar e sulla strada un fiume di acqua marrone rumorosa .Turbolenta lambiva le case sui due lati e nel mezzo rotolavano pietre,tronchetti di alberi , qualche gatto morto, bagnarole e  "cati " che per essere fatti in lamiera, producevano un rumore degno di quel guaio .

Per noi , ancora piccoli, quel rumore era invece uno spasso. Per quelli della famiglia destava ,al contrario  “ apprensione “ pe li ‘guttari , li sciuajhi e li “ pilacchi “ a lu scalune.

La Chjina : arrivava scardinando la botola in ferro di un grande pozzetto e riversava di tutto. Nella foto si tenta di rimuovere un tronco d'albero .Ad osservare sono in sette + due   mentre a maneggiare è ..."sulu mastru Vitu "

La sera un via vai de “fhimmini “ e cummari " andavano in Chiesa e ,su quella porta a metà , ci si appoggiava per vedere passare quelle le donne vestite di nero che andavano tacchijandu ,ridiandu e parrandu.

Quand’era già buio , ogni tanto si vedeva passare lu “ Spilinghino “ come lo sentivo chiamare , con stivali marrone ed un arnese in mano da suscitre curiosità .  Era un contadino giovane, alto e minuto che imbracciava un lume e andava in campagna “ mu abbivara “. L’acqua , pur scorrendo tutto il giorno , non bastava per le esigenze di tutte le campagne ed allora si rendeva opportuno stabilire turni anche di notte per dare l’acqua irrigua ‘a la posa , pumadora e altre verdure.

Veniva fatto   osservare un regolamento che disciplinava l’uso delle acque ed era un ingegno contabile/amministrativo virtuoso frutto dell'esperienza di un dipendente comunale il quale era riuscito a concepirlo senza l’uso del computer e poi a mettere buoni buoni tutti i partitari “.  Era un groviglio di acquari, contrade , “ceramidi d’acqua “ , parti e mezze parti , corde , guardiani , jornati e nottati…

L’acqua ‘nta li “gambitti “ passava di venerdì . In quell’acqua era vietato lavare e gettare sporcizie per non chiamarle con il proprio nome. Capitava che si giocava, si scivolava e , stesi nella gambitta , si faceva un bel bagno ! No toccare ss’acqua ! E chi sentiva !

Una bella rinfrescata estiva . Il  "mare nostrum "

Il bagno, in mancanza di mare , si faceva ,invece, nel Pilla . Lu gujhu era una invenzione verbale affascinante che prometteva uno spasso da goderselo alla prima occasione.

Altro  " Mare Nostrum " sul Pilla

Per “ averlo “ bisognava raggiungerlo a piedi e si andava in compagnia . Meno male ! Oggi che l’osserviamo con occhi diversi, si avverte il rischio dell’avventura. A volte si metteva il lino per “ curare e assambarare “ o si ntassava “ per catturare li “ pisci “ e angijhi . Non saperlo e fare il bagno , erano e furono dolori  . Già la sera arrivava la febbre alta  e  poi certe bolle su tutto il corpo che duravano un mese.

Gli antibiotici arrivarono più tardi come medici e farmacia. Per noi ragazzi , allora alle elementari , Il sapore dell’acqua , fu anche questo.


Adesso qualche cenno sulle vicende irrigue che faranno parte di altri racconti.

Quest'acqua arrivava nelle Gambitte di via Nazionale. Per i maschietti era la giornata delle costruzioni. Acqua ,sabbia e fantasia

Segnarono sempre una disputa tra Comuni. Jacurso si trovò sempre come un ragazzino voglioso di crescere in mezzo a giovanotti più dotati.

Cortale, Maida, Curinga e Filadelfia fecero sempre la voce grossa con quel ragazzino proprietario del giocattolo che lo usava per giocare con loro ma “ loro “ erano compagni arroganti che si inventavano le regole!   Ma non la spuntarono praticamente mai.

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