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Tesi di Laurea 1

 

                Jacurso,un paese della calabria ...

prima parte   " Elementi di Storia  della Calabria " - "Il Sisma catastrofico"

seguito della pubblicazione relativa alla prima parte ... "Istituzione e fallimento della Cassa Sacra "  - "Baroni , Borghesi ed Ecclesiastici nelle terre calabresi "  - " Dalla vertenza tra il principe Pignatelli di Monteleone e il Comune di Jacurso "

        Seguito pubblicazione seconda parte

per una storia delle strutture famigliari in Calabria dalla Tesi della Dott.ssa Michela Serratore     

Tesi di Laurea , specializzazione o dottorato vengono presentate  ,ogni anno ,dagli universitari laureandi ma  di esse quasi nessuna viene successivamente pubblicata. 

 

Eppure ,dentro  questo documento è racchiuso  un gran lavoro fatto di  ricerca e di passione. Come  era stato preannunciato , inizia sul sito la pubblicazione di  alcune Tesi di Laurea di nostri giovani studenti che spontaneamente hanno dato il loro assenso .La pubblicazione potrà essere trattata nella sua interezza o in parte  a seconda della tipologia e delle tematiche che potranno interessare i nostri lettori .

 

Inizieremo con la tesi della Dott.ssa Michela Serratore che ha per titolo “ Jacurso:Un paese della Calabria tra tradizione e rinnovamento-secoli XVIII - XIX

 Seguirà la tesi del Dott. Lorenzo Dastoli

 

 

 

             Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

                    FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

               CORSO DI LAUREA IN STORIA MODERNA

JACURSO: UN PAESE DELLA CALABRIA TRA TRADIZIONE E RINNOVAMENTO SECOLI XVIII-XIX 

  TESI DI LAUREA IN STORIA DEGLI ANTICHI STATI ITALIANI

 

 

 

Relatore: Chiar.ma Profssa CESARINA CASANOVA

Correlatore: Chiar.mo Prof FIORENZO LANDI

 

 

                                                      Presentata da:

                                                           MICHELA SERRATORE

Sessione III

Anno Accademico 2004-2005

 

 

Introduzione

Ciò che ho tentato di fare è un'analisi delle strutture familiari diffuse a Jacurso, piccolo centro abitato della Calabria, in provincia di Catanzaro, tra Settecento e Ottocento. Dovendo trattare un argomento specifico, le strutture familiari e la loro evoluzione, ho pensato di poter circoscrivere l'attenzione ad una comunità, quindi Jacurso, il paese da cui provengo. Inizialmente ho pensato fosse utile documentarmi sulla bibliografia esistente sull'argomento e In riferimento al periodo moderno, e ho constatato che le ricerche svolte specificamente sul tema sono poche e riguardano o lo studio di Archivi di famiglie nobili o tentativi di analisi di realtà locali sulla base dei registri parrocchiali.

TI mio non vuole e non può essere un lavoro che miri a far luce su aspetti non conosciuti della storia di questa regione. Ciò che vorrei fare' è riflettere su come alcune realtà calabresi abbiano vissuto un passato non troppo lontano in cui ancora era vivo il sapore di antichi eventi e tradizioni, e, volgendo lo sguardo un po' più indietro nel tempo, raccontare un frammento di storia dei Calabresi. Attraverso una raccolta di svariate informazioni sull'economia e la società e le vicende storiche della regione, tra l'ultimo trentennio del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento, vorrei descrivere uno spaccato di vita ]acursese.

Ho voluto verificare la possibilità di avere qualche documento del tempo riguardante il mio paese, che mi permettesse di svolgere, appunto, un'analisi delle strutture familiari. Per questo mi sono recata nella Chiesa parrocchiale di Jacurso, per sapere se esistono ancora gli stati delle anime. Purtroppo non esiste alcuna copia e gli unici registri disponibili sono quelli che annotano nascite, morti e matrimoni ma solo per pochi anni. Diverse persone mi hanno riferito che un vecchio sacerdote bruciò tutti i registri, non riconoscendo il valore di quelle testimonianze.

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 Da poco il Comune di Jacurso aveva riordinato 1'Archivio comunale e quindi sono andata a vedere quali documenti conteneva. Anche qui ho trovato gli stessi registri ma in riferimento a quasi tutti gli anni dell'Ottocento. In questi atti sono annotate professioni, età, nomi di singole persone che comunicavano la nascita, la morte o il matrimonio di individui. Non è possibile trarre quindi informazioni inerenti i componenti di un nucleo familiare o il luogo in cui vivevano e ne tanto meno una stima della popolazione totale a cui rapportare le osservazioni.

Attraverso una ricerca in rete ho avuto modo di trovare una pagina web dedicata a Jacurso frutto del contributo che uno dei suoi abitanti ha voluto rendere, in cui vengono riportati i dati in suo possesso, che se non sono frutto di una coerente ricerca storica, sono comunque utili. Vengono quindi riportati i totali della popolazione jacursese rispetto ad anni che vanno dal 1815 al 2000 e che in seguito proporrò a corredo di alcune osservazioni.

Per lo studio della struttura della famiglia è necessario disporre di documenti che contengano almeno due elementi fondamentali:

  • registrazione degli abitanti, in una data località, e in un     determinato anno, raggruppati per nucleo famigliare ;
  • descrizione dei rapporti di parentela o di
  • coresidenza all'interno del nucleo famigliare.

E', ovviamente, necessario poter dedurre dai documenti indicazioni sull' occupazione e sulla condizione socio-economica dei componenti della famiglia, contenute di solito nei catasti. Per i secoli XVI, XVII e XVIII è necessario ricorrere ai catasti antichi, alle catastazioni del periodo austriaco e ai catasti onciari istituiti 1741. Dalla seconda metà dell'Ottocento furono redatti i fogli di famiglia., ma non ovunque questi sono stati conservati o esistono ancora. In Calabria, la penuria di documenti, è riconducibile, oltre che alla negligenza di certi uomini, soprattutto alla frequenza di catac1ismi in occasioni dei quali molto è andato perso.!

Ho deciso ugualmente di utilizzare i documenti disponibili, perché penso che ci raccontino comunque un po' della storia di Jacurso. Ad esempio possiamo sapere quanti matrimoni ci furono negli anni 1810,1820 e 1830, che sono quelli esaminati. Si legge l'età degli sposi e la professione dello sposo. Tutte le dichiarazioni sono avallate da testimoni e anche loro ci dicono qualcosa.

Nella postfazione al libro di Natalie Zemon Davis, TI ritorno di Martin Guerre, Carlo Ginzburg dice:

"L'intreccio tra realtà e finzione, tra verità e possibilità è al centro delle elaborazioni artistiche di questo secolo. Natalie Zemon Davis ci ha ricordato quale frutto possano trame gli storici per il loro lavoro [ ... ]

Termini come "finzione" o "possibilità" non devono trarre in inganno. La questione della prova rimane più che mai al centro della ricerca storica: ma il suo statuto viene inevitabilmente modificato nel momento in cui vengono affrontati temi diversi rispetto al passato con l'aiuto di una documentazione anch'essa diversa.

TI tentativo fatto da Natalie Zemon Davis di aggirare le lacune con una documentazione archi vistica contigua nella spazio e nel tempo a quella che si è perduta o non si è mai materializzata, è solo una delle molte soluzioni possibili. ,,2

Nel rispetto della verità, laddove si racconta la storia, occorre avvalersi di strumenti diversi tr ottenere un quadro esaustivo di tutte le informazioni disponibili.L~ allora può dirsi legittimo vestire i diversi panni dello storico e (leI romanziere, per osservare le cose con

l G.DA MOLIN, La famiglia nel passato. Strutture familiari nel Regno di Napoli in età moderna, Bari, Cacucci, 1995.

2 C. GINZBURG, postfazione in . Zamon Davls, l ritorno di Martin Guerre: un caso di doppia l en l a ne a Francia del Cinquecento~Torino, Giulio Einaudi Editore, 1984, p 1

 

una doppia sensibilità, che permetta di riflettere e capire le diverse informazioni. L'autrice del libro partecipa alla realizzazione del film sulla vicenda di Martin Guerre che, dopo una lunga assenza, torna dalla moglie e scopre che qualcuno era già tornato da lei fingendosi suo marito. A suo avviso mancano nel film quei "forse" e quei "può darsi" di cui dispone lo storico quando la documentazione è insufficiente o ambigua. Per la sua ricostruzione la Davis ha dovuto accontentarsi di rielaborazioni letterarie:

"Quando non trovavo l'uomo o la donna di cui ero in cerca mi sono rivolta, per quanto era possibile, ad altre fonti dello stesso tempo e luogo per scoprire il mondo che essi dovettero conoscere e le reazioni che poterono avere. Se quanto offro è in parte di mia invenzione, è però saldamente ancorato alle voci del passato.,,3

Credo che utilizzando i risultati di ricerche già svolte, facendo tesoro di ciò che già è stato scritto e incrociando ogni informazione, sia possibile descrivere, se pur in parte, la realtà in esame. Guardando anche un po'il presente e riflettendo sul passato è possibile cogliere persistenze e mutamenti, analogie tra svariate realtà che racconteranno qualcosa, anche di Jacurso.

 

                                            Prima parte

                      LA CALABRIA NEL XVIII SECOLO

1      Elementi di storia della Calabria sec. XVI - XIX

 

In "Anatomia della famiglia" di Chiara Saraceno si legge:

"il discorso sulla famiglia, rimanda sempre fuori di sé, all'analisi delle strutture sociali, dei rapporti e modi di produzione, delle condizioni di vita che determinano e dei modelli culturali e di valore che su di essi vengono elaborati .,,4

Occorre ricostruire, se pur in modo sommario, le vicende che visse la regione in epoca moderna e soprattutto nei secoli XVIII e XIX ai quali la mia attenzione è rivolta. Sono anni difficili, caratterizzati da occupazioni, guerre e terremoti che inflissero dure sofferenze alla popolazione. Con la dominazione spagnola (1503/1707) la Calabria" toccò lo stremo della propria miseria, e neanche il governo viceregnale austriaco (1707/1734) e quello Borbonico (1734/1861), possono ritenersi positivi per la storia della regione. E' importante conoscere lo scenario politico-economico in cui le vicende locali si collocano e a cui rimandano i successivi discorsi sulle strutture famigliari che, sono influenzate dall' assetto economico e sociale della regione.

Da un primo approccio agli eventi che hanno caratterizzato la storia della regione, anche io avevo prediletto quella che il Galasso ha definito "una posizione polemica, e viziata dalla pregiudiziale antispagnola, degli scrittori napoletani [ ... ] che videro nella

4 C.SARACENO, Anatomia della famiglia. Strutture sociali e forme familiari, seconda ed. Bari, De Donato, 1977.

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dominazione  spagnola l'origine di tutti i mali della posteriore storia meridionale.Inoltrandomi in uno studio almeno più approfondito,ho dovuto ampliare lo sguardo considerando aspetti che pongono sotto luce diversa quella che è stata definita l'egemonia spagnola in  Italia

Il mio vuole essere solo un accenno alla storia più generale della Calabria dell' età moderna e certamente non è facile riassumere brevemente, non solo i due secoli della dominazione spagnola, ma anche le altre vicende del periodo moderno, che infoltirono la storia della regione rendendola una realtà complessa e diversificata, una complessità riscontrabile sia all'interno della regione stessa, sia nell' ambito più generale del Mezzogiorno.

 Nella prima metà del XVI secolo l'Italia era stata al centro dell'azione internazionale di Carlo V e Napoli rappresentava tutt'altro che un'area marginale e veniva sempre più assumendo il ruolo di anello di congiunzione con cui si tentava di rafforzare il rapporto tra Spagna e Italia. Questo si consolidò già nella prima metà del Regno di Carlo V (1516 1556). E' in questo periodo che la presenza della Spagna in Italia si conferma e diventa chiaramente irreversibile date anche le ultime annessioni, quali Milano e lo Stato dei Presidi, sancite ulteriormente dall'incoronazione di Carlo V a Bologna nel 1530.

 Il Mezzogiorno, secondo alcuni e per lungo tempo, è stato  considerato una colonia, una provincia- frontiera del Regno inteso come "animale custodito in stalla per essere sgozzato".In realtà occorre ridimensionare quest' affermazione, perché giuridicamente il rapporto tra Spagna e Napoli era essenzialmente quello di essere uniti sotto lo stesso sovrano.La concezione patrimonialistica dello Stato comportava che i vari domini, fossero abbastanza indipendenti con una propria struttura di leggi e governo e alla luce di queste considerazioni dobbiamo comprendere che, se anche il Mezzogiorno non aveva sovranità e autonomia ,aveva comunque una propria tradizione di Stato con cui

 

5 G. GALASSO, Alla periferia dell'Impero. Il Regno di Napoli nel periodo spagnolo. Secoli XVI  XVII Torino, Giulio Einaudi Editore, 1994, p 45.

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 giungeva al governo spagnolo. Certamente dal punto di vista politico il Mezzogiorno può essere considerato un viceregno dell'impero in cui, però non esiste un sovrano diverso e le istituzioni presenti hanno puramente carattere amministrativo.Si cercava di mantenere una vasta presenza di funzionari pubblici nei vari territori, per averne il controllo e inoltre l'aumento di tutti questi uffici verificava in corrispondenza dell’ampliamento dell'amministrazione baronale dovuta all'alienazione di competenze fiscali e giurisdizionali a cui lo stato procedette soprattutto nella seconda metà del XVI secolo. Attraverso queste alienazioni lo stato cercava di procurarsi le risorse finanziarie di cui necessitava immediatamente e forse essendo troppo sicura della propria forza non temeva l'ampliamento delle amministrazioni baronali, o pensava di poter circoscrivere il fenomeno qualora fosse risultato minaccioso per . l'autorità centrale. Ma ciò che non fu considerato furono le conseguenze sociali del fenomeno che emersero con il tempo. Quindi vediamo da un lato il rafforzamento della presa feudale delle popolazioni soprattutto delle campagne e dei centri minori, e dall’ altro il mantenimento nonostante ciò dell'equilibrio politico che non venne mai turbato. Per incrementare l'organico e le funzioni amministrative statali si procedeva in quella pratica che nel XVI secolo riguardava l'intera Europa, ossia la venalità degli uffici.

Nonostante Galasso ci spieghi che gli studi sono pochi, egli crede di poter affermare che:

"la venalità degli uffici fu indubbiamente uno dei modi attraverso i quali la storia delle classi borghesi del Mezzogiorno assunse alcuni dei caratteri suoi propri, perché nell' assenza o nella debolezza di attività  economiche che le caratterizzassero, la via degli uffici" era una delle poche che consentissero ad esse di unire le ragioni del guadagno con le esigenze dell'ascesa sociale, del prestigio e del potere". 6

Lo stato si assicurava una fonte di entrata continua e inoltre si costituiva una rete di interessi legati alle fortune dell' amministrazione pubblica e quindi al consolidamento del potere centrale.

6 GALASSO, Alla periferia dell'Impero, cit. p 26.

Oltre a ciò il potere centrale cercava di mantenere lo status quo conservando la quiete interna dello stato, non incentivando cambiamenti in relazione ai quali non era prevedibile la reazione.La feudalità si andava affermando come la classe sociale dominante ossia la classe dei grandi proprietari terrieri dotati di privilegi giurisdizionali ed economici.

Ma i tempi cambiavano anche per i baroni e chi non era stato capace di gestire i propri capitali era finito in crisi finanziaria, e, per non far apparire ciò, questi continuavano a vivere nella capitale gravando si di tutte quelle spese necessarie al mantenimento e alla rappresentanza.

Lo stato moderno giungeva anche nel Mezzogiorno, come nel .resto  d'Europa, ma qui la sua formazione era determinata dal paese che lo aveva occupato e non da energie politiche e sociali indigene.

Giunti alla metà del '600, in riferimento alla rivolta di Masaniello, del 1647/48, Galasso ci spiega che non può essere considerata solo come opportunità sprecata per un rinnovamento del Mezzogiorno, perché le stesse rivolte scoppiate in altri paesi europei erano fallite dimostrando che le forze di contestazione, all'alleanza monarchico-nobiliare, non erano abbastanza mature da assumere la direzione della società. Quindi non solo nel Regno, ma anche in altri paesi d'Europa.

Nel Mezzogiorno solo la nobiltà poteva farsi portavoce di volontà autonomiste, ma le sue esigenze non coincidevano sempre con quelle del paese e per questo si trovavano più spesso vicino alla Spagna, al grado qualche accenno in~ipend~ntista. D'altro canto le forze che andavano avanti la rivolta non erano cosi pronte per determinare un cambiamento e cosi, lo sviluppo dello stato moderno seguiva un proprio percorso che non era uguale a quello degli altri stati europei.

Allo stesso modo Galasso non crede che proprio nella prima metà del Seicento le strutture economiche e sociali del Mezzogiorno abbiano assunto quel carattere di irreversibilità che ne hanno fatto una delle aree più depresse d'Europa, bensì egli sostiene che tale inferiorità era stata determinata ancora prima,e il controllo nella condotta degli affari dello stato e un aperto predominio nella vita amministrativa e nella società.

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 Galasso ci dice che i baroni non avevano mai combattuto contro europea.,,

 "all'epoca della grande espansione economica dell'Italia comunale e della unificazione delle terre meridionali nella monarchia normanna epoi sveva [ ... ]"

"Ciò non significa che la storia economica e sociale del Mezzogiorno pur stretta da tanto tempo nei vincoli paralizzanti di questa irreversibilità, non abbia conosciuto sviluppi e articolazioni che ne abbiano animato e diversificato il corso attraverso i secoli. Tutt'altro!

Nella logica angusta e non autonoma che può essere propria di un'economia e di una società sottosviluppata vivente ai margini di aree più sviluppate e con esse in rapporti mai interrotti, anche la storia

del Mezzogiorno ha avuto le sue varie e alterne fasi di espansione e di contrazione, di progresso e di involuzione di prosperità e di miseria.

Quel che però è sempre mancato è _stato l'avvio di un, processo autonomo di sviluppo capace di rovesciare almeno parzialmente la  condizione di fondo del Mezzogiorno e di inserirlo, se pur ai gradini più bassi, tra le aree motrici e diretti ve dell'economia italiana ed europea l'istituzione monarchica in quanto tale e il pensiero di una repubblica aristocratica era sempre stato estraneo ad essi.

I monarchi spagnoli traevano dal dominio di più paesi le forze necessarie a rendere la posizione del re più sicura. I baroni napoletani non avevano mai pensato di procurare il trono a qualcuna delle grandi famiglie feudali. La loro sempre rinascente opposizione alla Corona poteva dipendere dalle guerre con altri paesi o dalle alleanze determinate dalle guerre tra pretendenti al trono.

Ciò a cui invece avevano sempre mirato era la possibilità di limitare il  potere della monarchia, in modo tale da detenere essi stessi l'iniziativa

 

GALASSO, Alla periferia dell'Impero, cit, P 38.

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Tutto questo non era motivato da un programma politico definito o da un fondamento etico-politico ma soprattutto, essi impedivano il formarsi di una coscienza di classe.

Ogni famiglia baronale lottava per sé e contro le altre famiglie più che contro il re, provocando la perenne instabilità politica del Regno. Accanto a casate che nel corso del XVI vanno in rovina o decadono, ve ne sono altre la cui fortuna segue un corso opposto e che mantengono i loro domini" con perdite limitate. In queste famiglie è possibile riconoscere l'aristocrazia affermatasi nei decenni a cavallo tra XV e XVI secolo, destinata, fino alla soppressione del regime feudale nel 1806, a conservare titoli e prerogative.

I monarchi spagnoli mirarono sempre alla riduzione del peso politico del baronaggio cercando di non fare oltrepassare il limite dei poteri concessi e rilegando e lasciando ad essi quei poteri nelle sfere della vita sociale e amministrativa del Regno quali i diritti di dogana, di passo, di polizia, imposte e tributi.

Galasso ha tentato inoltre di spiegare diversamente quel fenomeno che da molti è stato definito rifeudalizzazione del Mezzogiorno che semplicisticamente si riferiva alla nuova posizione della nobiltà.

In realtà si trattò di un rafforzamento della feudalità e il baronaggio celava una classe mutata solo marginalmente nel suo vecchio corpo aristocratico. Questa rinnovata e rafforzata feudalità che aveva saputo adattarsi ai cambiamenti mantenendo le proprie prerogative e privilegi, avèva

ottenuto le ingenti disponibilità finanziarie necessarie al proprio mantenimento, permettendo il libero ingresso di mercanti nel Regno, giocando già dagli ultimi decenni del '500, un ruolo decisivo nella storia del Mezzogiorno.

Intorno alla metà del '600 il Regno di Napoli iniziava ad accusare le conseguenze della sua partecipazione alla politica spagnola, che si manifestavano essenzialmente in una finanza gravata da debiti e pesi, che il governo spagnolo tentava di risanare senza successo a causa di un ampio deficit di bilancio ed enormi interessi sul debito pubblico. Inoltre:

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 "Dalla fine del XVI secolo del Regno è la sua storia sociale. n paese si assesta sulla soglia di una sostanziale stagnazione produttiva che, a in poi si può senz' altro dire che la vera storia economica parte le varie variazioni congiunturali, si protrarrà dai primi decenni del secolo

XVII ai primi del XVIII. Ciò segna l' emarginazione che se ne potrà notare rispetto ai grandi centri motori dell'economia mediterranea ed europea nel secolo XVII: un'emarginazione che riporta il Regno alla funzione minore e periferica che già si era delineata per esso nel periodo 1300/ 1450 e che le vicende del successivo secolo e mezzo alterano in maniera considerevolmente positiva, senza però riuscire a determinare mutamenti qualitativi e strutturali in grado di evitare nuovi processi di riflusso periferico."8

Rispetto alla Calabria Galasso ci dice che questa, come tutto il . Mezzogiorno' d'Italia e come tante altre regioni del Mediterraneo, era inserita da secoli in un sistema dominato dalla mediazione mercantile finanziaria delle forze dominanti sul grande mercato internazionale.

  Nel XVI secolo queste forze si identificarono essenzialmente nei genovesi, e infatti  lo_sviluppo economico regionale era la risposta alla richiesta del grande mercato mediata appunto dai genovesi

I prodotti esportati erano soprattutto seta, olio, grano e vino, ossia ciò che meglio produceva la regione l'esportazione, ma anche per l' auto sufficienza della regione. I capitali per queste produzioni erano raccolti anche grazie ai mercanti forestieri e quindi gli svolgimenti economici e sociali del paese si svolgevano alle loro condizioni .

Nonostante l'intensità dello sviluppo, alcuni settori entrano in crisi come ad esempio la cerealicoltura, fondamentale non solo per  l’esportazione ma anche per l’autosufficienza della regione.La  popolazione era aumentata a tal punto che il suo fabbisogno fece diminuire le quote destinate alI' esportazione. Ecco perché alcuni mercati entrarono in crisi.

La grande fase di sviluppo del '500 volgeva al termine e un quesito si poneva sia per la Calabria che per il più generale Mezzogiorno:

 

8 GALASSO, Alla periferia dell'Impero, cito p 45

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 "sarebbe riuscita la regione a maturare nel lungo periodo di espansione, le risorse e le energie indispensabili per assicurare ad essa nel futuro una capacità autonoma ed autopropulsiva di sviluppo oppure ciò non sarebbe accaduto ed essa sarebbe rimasta tributaria anche in futuro del richiamo e delle forze del grande mercato ?,,9

La risposta è negativa perché quando nel '600 sopravvenne la crisi, la regione era troppo dipendente da finanziatori e clienti:

"arbitri del suo ruolo economico al di là delle ristrette frontiere dell'autoconsumo e dell'autosufficienza, e padroni dei beni e delle risorse della regione".

Anche lo stato dal canto suo incentivava l'indebitamento della regione e la rovina delle finanze pubbliche trascinava con sé chi aveva creduto in essa.

In una visuale pessimista verrebbe da pensare che la vicenda calabrese fu fallimentare, ma fortunatamente gli esiti della storia non sono uniformemente diffusi nel territorio e alcune aree, garantivano aperture e potenzialità per il futuro (un po' come oggi).

I limiti dello sviluppo economico della Calabria sono racchiusi In parte nella questione agraria e contadina.

La questione delle terre tenute a censo racchiude due aspetti dell' ancien régime. Il primo è la forte incidenza dell' autoconsumo e della relativa produzione nel quadro della struttura economica generale. Essa è quindi una forte restrizione delle prospettive del mercato. Il secondo aspetto riguarda il problema dell'individualismo agrario, perché le quote di terra su cui si pagavano i censi erano comunque insufficienti a soddisfare l'autoconsumo e gli obblighi fiscali e contributivi delle famiglie contadine.

I capitali per queste produzioni erano raccolti anche grazie ai mercanti forestieri e quindi gli svolgimenti economici e sociali del paese si

svolgevano alle loro condizioni.

La limitatezza della terra a disposizione dei contadini è aggravata

dalla condizione censuaria di gran parte del demanio feudale. Questi i motivi principali di quella fame di terre e della mentalità della piccola proprietà, dell'autoconsumo e dell'autosufficienza che permarranno fino alla metà del XX secolo.

9 Ivi, P 49.

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 Un ruolo importante fu ovviamente giocato dalla stato attraverso l'imposizione fiscale che condizionava la produzione e spingeva verso il basso il progresso ..

Ciò è tutt' altro che retorica perché si concretizza in quella linea politica seguita dalla corona spagnola che rendeva esattori nobili e borghesi i quali erano sicuramente più accaniti dei monarchi stessi. Da qui nascono le violente ribellioni del popolo, tradotte si nello sviluppo di quel fenomeno definito banditismo combattuto dal governo spagnolo e che si ripresenterà anche in seguito contando tra le proprie file anche elementi della borghesia, a dimostrazione del generale malcontento. Il Mezzogiorno e quindi anche la Calabria giungono al 700 duramente provati dalla crisi generale del '600.,

Inoltre il XVIII secolo ha inizio con i conflitti determinati  dall'anomala successione spagnola, dovuta alle volontà di Carlo II, che, non avendo figli, manifesta il desiderio di avere come successore Filippo di Borbone, duca d'Angiò, secondogenito del Delfino di Francia.

Tutto ciò non poteva non provocare la reazione di altri stati che con fatica cercavano di mantenere l'equilibrio tra le varie monarchie d'Europa, al fine della pace.

E la reazione giunse  dall' Austria e i detentori del potere napoletano che ufficialmente non si opposero al nuovo re, in realtà videro in tutto ciò l'occasione per liberarsi dal governo spagnolo.

   A seguito dei conflitti di questi anni, la Spagna viene espulsa   dal Regno e viene instaurato il governo austriaco (1707-1734 ) durante  il quale, nonostante i tentativi di valutazione e riordino, non vi furono cambiamenti significati vi nell' ordine delle cose e nel destino del paese.Francia, Spagna e Piemonte si alleano contro l'Austria e nel  1733 Carlo III viene designato Re delle Due Sicilie, riportando la Spagna nel Mezzogiorno.

Per tutto il Settecento numerose furono le critiche e le proposte per il rinnovamento e la modernizzazione del Mezzogiorno e per questo si tentava di attuare una riforma amministrativa e una razionalizzazione

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del prelievo fiscale. Nel 1741 ad esempio veniva istituito il Catasto Onciario che mirava ad abolire l'imposizione indiretta creandone una diretta. Anche se questo non fu efficacemente introdotto, rappresentò comunque una volontà di rinnovamento e certamente facilitò il successo che in seguito avrebbe avuto la politica francese durante l'occupazione del Meridione d'Italia.

 "Già dalla seconda metà del XVIII secolo il sistema della feudalità fu  messo in discussione e considerato un istituto anacronistico non più rispondente alle nuove esigenze economiche, rese incalzanti dalla rapida crescita demografica che il Mezzogiorno d'Italia registrava" .10

     ...Seguirà il seguente paragrafo....Il sisma catastrofico  

3 ZAMONDA VIS, Il ritorno di Martin Guerre, cit. p 134.

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 Seguito con inserzione di nuovi paragrafi

 

                           2 Il sisma catastrofico

 Le condizioni in cui versava la vita della maggior parte dei calabresi, erano già difficili e, come se ciò non fosse bastato, nel 1783 un terremoto spaventoso colpì la regione, molti paesi furor;migliaia furono le vittime e i sopravvissuti furono afflitti da epidemie e fame. La gravità e le drammatiche conseguenze di tale evento, spingono a dedicare particolare attenzione a ciò che comportò, per la Calabria, uno dei sismi più distruttivi nella storia d'Italia. Attraverso le testimonianze del tempo è possibile cogliere la gravità di un evento che, non solo peggiorò le condizioni economiche e sociali dei calabresi, ma sconvolse gli abitanti con tale violenza da traumatizzare le loro vite per lungo tempo. Placanica ha voluto dedicarsi, oltre che allo studio dei fatti politici legati al terremoto, anche ai risvoti morali e sociali del sisma. I suoi svariati studi sulla Cassa Sacra lo hanno avvicinato a documenti che, a suo avviso, narrano anche il terrore, la

miseria e la disperazione di un popolo. A questi aspetti del fenomeno ha voluto dedicare uno studio specifico di documenti del tempo, che ho voluto analizzare per scoprire, da fonti 'dirette, cosa è stato questo sisma per le zone colpite, quali effetti psicologici ebbe sulla gente.

 

1O L.DE ROSA, Conflitti e squilibri nel Mezzogiorno tra Cinque e Ottocento, Bari, GLF Editori Laterza, 1999.

 

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" La primavera e l'estate del 1782 venivano ricordate comeeccezionalmente calde, tanto calde che le persone non potevano uscire di casa e l'uva era seccata attaccata alla pianta. A partire da ottobre poi erano iniziate piogge e freddo inclementi. TI sole sembrava sempre velato e i suoi raggi dopo la pioggia erano caldissimi. Molti studiosi si sono domandati come mai, in una terra costantemente percorsa dai sismi, nessun uomo aveva fiutato ciò che stava per accadere. La tragedia ancora una volta giungeva inattesa". Il11 A. PLACANICA, Il filosofo e la catastrofe, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1985, p 7 segg.

 

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Con il senno di poi molti sostennero che da quell' inconsueta "nebbia" che tutto velava si sarebbe dovuto capire che qualcosa stava per succedere. I pescatori, quella mattina, dovettero tornare a riva perché, mentre qui il mare era calmo, allontanandosi le acque ribollivano in modo strano .

"In quella tarda mattina del 5 febbraio 1783 ognuno badava tranquillamente alle sue cose. E, ormai passato il mezzodì, la gente o era già in casa o si preparava a tornarvi per il pasto quotidiano. Dappertutto, in città come in campagna, i fuochi delle cucine erano in piena attività, e le pignatte borbottavano sui fornelli accesi preannunziando l'imminente rito familiare del pranzo". [ ... ] "La prima tremenda scossa si ebbe poco prima delle 13 e la sua durata fu di due, tre minuti. La zona del massimo sismico dovette collocarsi nella regione posta a nord e ad ovest dell' Aspromonte, con epicentro a Terranova. L'onda d'urto sembrò andare da sud-ovest a

nord-est. Secondo alcuni questa scossa fu preceduta da un rombo sotterraneo come proveniente dalle viscere della terra. In quegli interminabili minuti le scosse assunsero ogni possibile andamento. Al movimento sussultorio, più catastrofico per gli edifici, si sommò quello ondulatorio, determinante per gli spostamenti del terreno".

Andrea Gallo, professore di filosofia e matematica nel Real Liceo di Messina cosi parla dei terreni:

"Aprironsi delle voragini e s'inabbissò in esse il terreno; SI dissertò in larghe fenditure il suolo, e tramandò da quelle sensibilissime fiamme e copia abbondante di fumo; si sgretolarono e caddero i monti; altri ne'fiumi vicini e, serrando a questi l'alveo del loro corso formarono torbidi laghi e fangosi pantani, ed altri, precipitando nel mare, ne chiusero i seni [ ... ]

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La superficie intera della terra, che sofferse le concussioni, mostra una metamorfosi straordinaria e spaventosa, ed appena lascia riconoscere ai paesani l'aspetto delli antichi siti.,,12

TI terremoto del 5 febbraio fu sentito in un'area molto vasta, comprendente il messinese e tutta la Calabria Ulteriore, ossia le attuali province di Catanzaro e Reggio Calabria almeno fino all'istmo di Marcellinara che congiunge il golfo di Squillace con quello di Sant'Eufemia. Proprio in questa zona è localizzato Jacurso.

Credo sia possibile ipotizzare che in questa occasione questo paese debba essere stato quasi completamente distrutto e infatti nella cartina che ho riprodotto nella pagina precedente il nome di Jacurso è seguito da tre asterischi, su una scala da uno a cinque indicanti il grado dei danni provocati. Purtroppo l'assenza di documenti che si riferiscono a quegli anni non mi permette di verificare come visse la comunità quest' evento catastrofico e neppure che conseguenze ebbe nella vita della gente. E' facile immaginare che anche qui, come in altri paesi della Calabria, regnassero miseria e devastazione. Probabilmente uno studio dei documenti conservati nell' Archivio di Stato di Napoli rivelerebbe molti aspetti fino ad oggi non conosciuti. Non esistono al momento ricerche e studi su questa piccola comunità, se non un primo tentativo di ricostruzione storica, ancora in corso d'opera, svolta dalla Dott.ssa Tiziana Panduri. Purtroppo i risultati di questa ricerca non sono ancora stati resi noti, quindi non ho potuto utilizzarli.

A causa del sisma, tutti i centri abitati furono annientati e le vittime costituirono dalla metà a oltre i tre quarti della popolazione residente nell'area colpita. Non vi fu comune in cui non restasse ucciso almeno un decimo degli abitanti.13 La scossa del 5 febbraio, pur cosi grave, non fu che la prima di una lunga serie. Da mezzogiorno a sera si susseguirono almeno settanta scosse ma, durante la notte, purtroppo, un altro terribile terremoto percosse nuovamente la regione e altre 150 scosse si avvertirono durante la giornata del 6 febbraio.

12 PLACANICA, Ilfilosofo e la catastrofe, cit.,p lO. 13 Ivi, p.12 e segg.

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TI 28 marzo una nuova scossa catastrofica colpi l'istmo catanzarese, interposto tra lo Ionio e il Tirreno, che si era forse sentito risparmiato da questa grande tragedia. Ma era ben chiaro che l'onda sismica seguiva un' ulteriore direzione da sud-ovest a nord-est, proseguendo verso il centro della regione. Intorno a Catanzaro e in tutte le direzioni " ... si fanno sconvolgimenti, scoscese, aperture, avvallamenti ed eruzioni d'acque notabilissime[ ... ]Quindi è che vi muoiono molte centinaja di persone.,,14 L'elenco dei paesi colpiti riporta Chiaravalle, Squillace, Catanzaro, Girifalco, Borgia, Maida, Cortale fino al nicastrese. Non si legge il nome di Jacurso, ma è impensabile sostenere che non sia stato anch'esso colpito, dato che si trova nelle colline tra Maida e Cortale. Nel 1783 si registrarono in tutto 949 scosse, di cui 5 catastrofiche, 32 fortissime e le restanti di varia entità. Credo siano a questo punto comprensibili le dimensioni dell'evento, e merita parlarne perché certamente ebbe dei risvolti non trascurabili per la storia della regione. In seguito vedremo come i provvedimenti presi per aiutare le zone colpite determinarono l'assetto economico e sociale della regione, ma al momento è interessante osservare ciò che Placanica definisce "un calvario durato mesi e mesi, con gli abitanti in fuga dalle loro case rovinate o estratti dalle macerie: è l'inizio della "lliade funesta". 15

Nei suoi racconti, Hamilton, che visitò la Calabria tre mesi dopo l'accaduto, dice:

"Ovunque prima era una casa, ora si mira un mucchio di rovine ed una miserabile capanna, e sulla porta due o tre compassionevoli creature, e per ogni dove uomini, donne e fanciulli storpiati, che camminano appoggiati a stampelle. Attorniati da macerie informi o da resti sconsolati d'incendi, tra il lezzo dei cadaveri e l'orrore delle cataste che ne andavano incenerendo i miseri resti, in mezzo a gente ancora rabbrividente

14 Ivi;r. p 18.

15 ID, L'iliade funesta, storia del terremoto calabro messinese del 1783.Corrispondenza e relazioni della Corte, del Governo e degli ambasciatori, Roma, Casa del libro, 1982.

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e tutta stonata, i calabresi furono costretti a vivere per mesi e per anni in compagnia della paura, della disperazione e della morte. Città e campagne erano ormai uguali davanti alla tremenda maestà del destino,che sì violentemente aveva bussato alle loro porte, e che aveva risospinto individui, famiglie e nuclei abitati ai balbettii della civiltà, ai primordi dell'uomo costruttore[ ... ]La fame, poi, resa più acuta dal freddo, dal malessere e dalla paura, non poteva trovare soddisfazione: gran parte dei mulini erano distrutti, o seriamente compromessi nei macchinari, e cosi pure frantoi, palmenti, depositi, magazzini, cantine, negozi, botteghe. E poi le malattie da raffreddamento, le epidemie, e le infezioni, i disagi fisici e morali della convivenza; e nel contempo, il sordo rancore e il sospetto e l'intolleranza, subentrati ai primi slanci di mutua fratemità; e poi i furti, le violenze e le usure[ ... ]riportarono l'umanità ai suoi tristi primordi.,,16

Quindi una Calabria che patisce la fame, la cui terra paradossalmente, in seguito al terremoto, esplode donando frutti più abbondanti e umana. inmaginiamo lo spettacolo di una morte, pensiamo a cosa si può provare alla vista di un cadavere e moltiplichiamo questo sentimento per centinaia e centinaia di volte. Lo scenario che si presentava agli occhi metteva a dura prova la capacità di restare lucidi e di pensare ad una ripresa. Molti erano morti nelle proprie case, soprattutto donne e bambini che passavano molto del loro tempo fra le mura domestiche, o nelle botteghe, intenti al proprio mestiere. Significativa è l'osservazione di Placanica che dice:

16 PLACANICA, Ilfilosofo e la catastrofe, cit p.21.

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"gli uomini morti si trovavano generalmente sotto le rovine nell' atto di liberarsi con forza dal pericolo, laddove l'ordinaria situazione delle donne era colle mani aggrappate alla testa in atto di darsi alla disperazione, a meno che non avessero avuto presso di loro fanciulli, nel qual caso furono sempre trovate colle braccia stese sopra questi in altra attitudine che dimostrava la loro ansiosa cura di proteggerli, prova molto sensibile della materna tenerezza del sesso.,,17 C'era chi errava senza meta, chi taceva guardando i compagni di sventura, chi diventava improvvisamente loquace, chi ammetteva il proprio terrore e chi si fingeva coraggioso. Persi i freni inibitori, l'uomo si sente emancipato dai vincoli autoritari, vengono meno le strutture di controllo e regna il caos. Le chiese erano affollate di fedeli che, nella disperazione, si aggrappavano ancora di più a quei santi che ora veneravano nella speranza di essere salvati. Non vi era più neanche la percezione del tempo, le campane, che fino a quel momento avevano scandito le ore, erano crollate insieme ai campanili. Occorreva ricostruire e tutto doveva avvenire con un programma che permettesse alla pOPOI~az' . ne di risollevarsi. Bisognava ricreare i presupposti per una ripresa economica delle regioni colpite, dotandole di nuovo degli strumenti necessari per produrre e vivere. TI re dovette subito mobilitare ingenti forze per sostenere la ricostruzione e immediatamente inviò rappresentanti politici e uomini di ingegno che lo consigliassero negli interventi da farsi.

  

3 Le due lettere di Michele Sarconi, segretario della Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, al Primo Ministro Marchese della Sambuca e Le memorie di Ferdinando Galiani

In occasione del terremoto, furono scritte molte relazioni da van ministri e incaricati del Re che, subito, cercò di organizzare gli aiuti. Molti studiosi si recarono sul luogo per osservare i vari aspetti della regione, al fine di dare i migliori suggerimenti al re, per favorirne la ripresa. Da queste fonti dell' epoca emergono si, i risvolti del terremoto , ma anche problemi e un sistema di cose che avevano origine nel passato. Anche Michele Sarconi, in aprile, fu inviato in

17 Ivi, P 114.

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Calabria con scienziati e disegnatori che potessero rappresentare e raccontare lo stato delle persone e della regione. I disegni e gli appunti prodotti in quella occasione furono raccolti e pubblicati nella " Istoria dei fenomeni del tremoto avvenuto nelle Calabrie e nel Valdemone nell'anno 1783, Napoli, 1784.

Ecco cosa ci racconta:

"Che dirò di queste infelici regioni? V.E. non si lusinghi di vederle risorte per ora, Calabria citra è oggetto di miseria inesprimibile, e Calabria Ultra è la scena della più tragica desolazione della natura. Le prima è vittima dell'avidità feudale; ed è vergognoso l'abbandonamento, in cui fra tutti gli ordini, giace la pubblica educazione. Arti e mestieri di culta umanità, o vi sono nomi ignoti, o vi si rinvengono appena, e sempre intimamente misti alla infanzia di una natura male educata; o ancor selvaggia. La forza, il malinteso coraggio tienluogo di diritto di natura. L'interesse, il mal talento, e la frode somministrano i canoni del diritto pubblico, e delle genti. La ignoranza, il pettegolezzo, il materialismo sostengono la maschera di una religiosità che lungi dall'onorare l'uomo e la divinità, fa torto alla ragione umana, e turba la dignità dell'ente supremo. La forza delle leggi è precaria, e la giustizia si elude, o si calpesta; [ ... ] E' indicibile la confusione che nasce dalla mostruosa concorrenza del diritto municipale, del diritto comune, che re scritti dal Principe, delle pretensioni canoniche, e del diritto feudale, che è una delle più lunghe lacerazioni che siansi fatte al corpo della sovranità.

Che potrò mai dire dell'incongruo modo con cui è distribuita la ricchezza comune? [ ... ]Fra cento persone, novanta sono i miserabili non possidenti, e dieci sono i proprietari. A ciò si unisce il ruinoso inconveniente che i possidenti sono con versuzia, meno afflitti dei poveri tributari e i non possidenti sono costantemente gli oppressi. Vi sono dei luoghi ove le braccia dei miseri sono condannati a sette o a otto ducati di peso annuo; il

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minor peso è di trenta carlini. Il massimo unciario è di 15 grana, il più tenue è di sette o otto grana. Non vi è terra o città, in cui non si vegga nella pubblica piazza sospeso in trionfo il giogo baronale, appeso ad una catena: cosa che puzza di barbarie gotica. Vi sono luoghi, nei quali i gener, che nascono, nascono schiavi; e debbonsi dai vassalli rivelare al Barone, che se li compra al prezzo che vuole; e gli vende al prezzo che più gli giova. Niuno è padrone di educarsi l'animale nero, se non a patto di pagar sei carlini all'anno al Barone. Da ciò si vegga in quali acque si sta per tutto il resto.[ ... ]Le università sono avvilite e senza fondo alcuno[ ... ] L'agricoltura e la pastorizia è sommamente avvilita, o talmente negletta, o in modo troppo rozzo e senza intelligenza pratica. Accadde spessissimo di errare . per lungo cammino, e di non vedere terrene educato dalla mano dell'uomo. Tre quarti della popolazione vive di pan di granone, o di grano germanoso, o di castagne; [ ... ] Gli erbaggi sono un puro benefico dono della natura; ma non si sa neppure il nominativo dell'arte utilissima di educarvi i prati malgrado che tutto signiyca, e annunzia, che le doti naturali del terreno sarebbero una fonte di ampia ricchezza se l'arte sapesse profittare. Le usure sono divoranti e enormi e la eccessiva crudeltà per la riscossione giunge all'iniqua oppressione. TI vino in molte parti è mediocre, e copioso: in moltissime eccellente: ma non vi è arte comune per elevarlo a derrata di gusto, di uso innocente, di gran commercio. L'olio è copioso, generalmente buono, ed è una delle grandi basi della pubblica sovvenzione biennale; ma fa dispetto vedere la sciocchezza con cui cotesta gente infingarda soffre che il suolo sia affollato e zeppo di alte felci senza capire che in luogo di un'erbaccia inutile, e vorace potrebbero educarvi generi utili al comodo della vita. I casamenti sono la più vile e vergognosa testimonianza della pubblica miseria e ignoranza. [ ... ] Che dirò delle vie pubbliche? Sono orribili, ruinose e tenute in cosi vile abbandonamento, che non basta qualunque immaginosa eloquenza per individuarne  l’inconvenienza

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I danni presentanei consistevano nella mortalità, nella fame, nella totale distruzione delle abitazioni, e nella seguace confusione nata in tutti i rami della economia pubblica e politica. Alla mortalità, non si può riparare, per quanto riguarda la perdita dei viventi ragionevoli e irragionevoli. Questa sarà opera del tempo, della riordinanza dei comodi della vita, e del miglior sistema politico, che converrà scerre. [ ... ] Alla fame si è troppo e con eccesso dato compenso, ma siccome Calabria Citra è piena di genere di prima necessità per soddisfare la fame, cosi sarebbe il tempo di dar libero corso al consumo dei generi , perché quanto fu utile tenerli in una specie di sequestro prudenziale in principio, altrettanto sarebbe ora ruinoso far sorprendere invenduti i generi medesimi della imminente stagione delle messe.[ ... ]Alla distribuzione dei casamenti il primo riparo si apprestò dal medesimo bisogno, il segno dal timore, il terzo dal tumultuario consiglio tra l'orrore, le ruine e le morti. Da ciò nacque che le baracche furono tutte con indicibile confusione una accanto all'altra e senza ordine e senza la minima attenzione alla salute pubblica, ammonticchiate. Niente vi ha più di comune a vedersi, quanto l'essersi in una baracca di 15 palmi unita una famiglia di miseri in compagnia del porco, del cane, delle galline, e spesse volte anche l'asino.[ ... ]La miseria, il fango, la naturale impulitezza, la morbosa traspirazione e la mancanza di aere libera formano un fetore ed un insieme di tanto disgustoso odore, che sembra un miracolo della provvidenza il non vedersi finora accesa una febbre da carcere o da ospedale. [ ... ] La puzza delle baracche è sensibilissima. Siamo quasi alla state, che ne avverrà? Epidemia pericolosa più del tremuoto. Mi si dirà: quale riparo vi è mai? Si spenda e si facciano le baracche con ordine, con sicurezza e con giudizio [ ... ] lo stesso dico delle macine. Bisogna naturalmente rincu1care ai ricchi che rifacciano le macine distrutte. Lo stesso provvedimento converrà prendere pel vino,

 

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cose tutte che debbono da ora provvedersi e ripararsi, senza ridursi all'estremo.Ecco che emerge un quadro dettagliato delle condizioni nelle quali viveva la gente, quali fossero le disparità sociali e  come la popolazione dovette affrontare questa nuova catastrofe. Accanto a problemi di vecchia data esplodono nuovi drammi. La fonte ci presenta una popolazione afflitta dall' avidità feudale, ignorante, privaelusa o calpestata. In questi luoghi i centri del potere erano numerosi ed  Ecco cosa dice va Ferdinando Galiani, segretario del Magistrato del Commercio, sulla ricostruzione della Calabria e Messina , nelle  "Tre sono i mali grandi della Calabria Ulteriore:

  • la prepotenza dei baroni

    • la soverchia ricchezza delle mani morte

  • la sporchezza, la miseria, la selvatichezza , la ferocia

    di quelle città e di quei popoli

Dalla prepotenza de' Baroni ( che fu un tempo lagnanza generale di tutto il regno) sono in gran parte liberate le altre province meno che questa Calabria Ulteriore. Le cagioni di ciò sono due l'una è la grandezza e il poco numero de' Baroni, a cui quella punta del Regno appartiene o L'altra è la gran distanza non solo dalla metropoli, ma anche dalla capitale della Provincia.

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Sei soli Baroni, cioè Cariati, Bagnara, Scilla, Ardore, Gerace, e Roccella posseggono più di settanta luoghi, ed un pezzo di paese [ ... ] Ristretti in così poco numero, e imparentati tra loro, è naturale che cotesti sei baroni sian tutti regoli, essendo oltracciò di famiglie illustri antiche in quei feudi, e decorate de' primi onori della Corte.,,18

E ancora dice:

"La calamità della Calabria è stata tale e tanto distruttiva, che offre il campo a poter spaziosamente formare un nuovo sistema di cose rispetto ad essa. Bisogna adunque profittare del momento per formare un piano generale del suo ristoramento da eseguirsi di passo in passo."

Anche il Galiani sostiene la teoria dell' incameramento dei beni della Chiesa e inoltre propone una legge che svincoli la proprietà dal fedecommesso in modo che i baroni, vendendo i feudi improduttivi,

"I siano stimolati ad investire nel miglioramento delle rese agricole degli altri:

 "Acciocché non si scoprisse il fine occulto di tal legge, dovrebbe questa farsi generale anche ai non baroni, e dichiararsi che siano estinti e cadutati  tutti effettivamente questa fu la politica seguita dal Regno, ma le conseguenze, come ho già detto, non furono quelle sperate, e il Galiani, che riuscì a prefigurarne le distorsioni, non suggerì nulla che potesse regolamentare meglio la ricostruzione:

18 PLACANICA, Il filosofo e la catastrofe,cit. p 159 segg.

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"Finalmente è da aversi riguardo che le persone ricche, quali sono alcuni baroni delle Calabrie, potrebbero profittare dell' attuale ruina de' luoghi per ingrandirsi comprando a vilissimo prezzo i terreni e le case dirute, o facendo censi perpetui. "

Sull'eccessiva ricchezza delle mani morte dice:

"[ ... ] il tremuoto offre molte opportunità. Primariamente è cosa troppo ragionevole che si vieti assolutamente il

poter riedificare chiese, cappelle, conventi se prima non

son rifatte le case de' privati e soprattutto i molini, i trappeti, i magazzini, le cisterne, gli acquedotti, le locande, le stanze da situar i vermi da seta e quanto riguarda il raccogliere e conservar i frutti della campagna, che son la sola e vera riCCheZ7 dell'uomo."

Questi, dunque, i mali della Calabria, che la ostacolano nello sviluppo economico e creano i conflitti sociali. Dalla ricchezza esagerata di pochi grandi signori che vivono nel lusso e nell' abbondanza, alla miseria più assoluta di un popolo che paga l'avidità di altri, e non riesce ad emergere. Uomini che lavorano senza sosta per vivere di stenti, in un sistema che non permette loro di migliorarsi. Di conseguenza anche il carattere, le abitudini, lo stile di vita si uniformano a questo stato di cose. Tutto a danno della gente comune, ma anche, più in generale a tutta la regione, che da questi uomini avrebbe dovuto ricevere lo slancio necessario a crescere insieme alle altre, e che invece tenta ancora oggi di emergere, rallentata si, dagli eventi storici, ma anche da una sorta di immobilismo che pervade gli abitanti e che non lo arricchisce di nuove esperienze e conoscenze

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SEGUITO nuova inserzione: Istituzione e Fallimento della Cassa Sacra 

  

 

4     Istituzione e fallimento della Cassa Sacra

L'intervento dello stato napoletano si concretizzò nell'istituzione della Cassa Sacra di cui Placanica ha illustrato bene il funzionamento e il fallimento. 19 Il  desiderio di liquidare la feudalità fu solo una truffa regia che non fece altro che arricchire la borghesia e lasciare nella miseria un popolo che aveva bisogno di risollevarsi. Vennero si aboliti passi e pedaggi e i privilegi del baronaggio, ma la Calabria era ancora lontana dalla presa di coscienza di quei principi che, intanto, in Francia alimentavano la rivoluzione.

Placanica analizza l'intervento della Cassa sacra in Calabria dal 1784 al 1796 e ci permette, inoltre, di raccogliere notizie importanti sulla struttura socio-economica della regione nel periodo considerato. Dalla sua ricostruzione emergono gli aspetti che determinarono l'affermazione della borghesia in quelle terre a cui tanti contadini aspiravano e, che finirono nelle mani di poche grandi famiglie.

La Cassa Sacra fu istituita nel 1784 dal governo napoletano nell'ambito degli interventi presi per sostenere la popolazione della Calabria Ulteriore sconvolta dal terremoto del 1783. TI suo compito era quello di incamerare e amministrare i beni (immobili, mobili e rendite) di quasi tutti gli enti ecclesiastici e di vendere ai privati i fondi rustici e gli immobili urbani per sostenere con i proventi una generale ricostruzione. Tutti i conventi, i monasteri e i luoghi pii furono aboliti o sospesi e contemporaneamente furono allontanati tutti i religiosi e sequestrati tutti i relativi beni.

Si tentava, in tal modo, di soddisfare le volontà di riforma ed aumentare il numero di proprietari per avvantaggiare la piccola proprietà coltivatrice e incentivare l'aumento della popolazione e il recupero di vaste porzioni di terra dal regime arcaico della manomorta. 19 A.PLACANICA, Alle origini dell'egemonia borghese in Calabria. La privatizzazione delle terre ecclesiastiche: 1748 1815, Salerno ­Catanzaro, Società Editrice Meridionale, 1979.

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Ben presto però la Cassa Sacra si conquistò una pessima fama: un ente dilapidatore, mal progettato, pessimamente amministrato. Le autorità ne coglievano i limiti e l'accusavano di aver deluso le aspettative che aveva fatto nascere. Nonostante i tanti programmi d'intervento, le iniziative furono mal progettate e mal predisposte. Cosi come il Galiani aveva predetto, poche famiglie approfittarono del momento per impadronirsi del maggior numero di terre e i contadini poveri non ottennero nulla. Nel 1791 anche Giuseppe Maria Galanti visita la Calabria e osserva che, naturalmente, la gravità della situazione non consentiva una soluzione veloce. Nonostante varie agevolazioni, nel 1788 ancora molte terre erano invendute.2o Le tensioni sociali si scatenavano proprio a causa delle nuove occasioni d'arricchimento. A causa della scarsezza di contante, le fasce meno protette erano escluse dall'accesso alla proprietà e, inoltre, perdevano anche il controllo di quelle fonti di reddito integrativo costituite dal possesso precario o dal fitto di terre ecclesiastiche. Queste, in genere, erano concesse a condizioni accettabili. Persino la borghesia faceva fatica a competere con i nobili nelle trattative, a causa della scarsa disponibilità di contante e all'impossibilità di rinunciare ad altri investimenti per l'acquisto di terreni. Quindi tutto andava a favore delle vecchie oligarchie fondiarie che, non proponendosi di migliorare le rese dei loro terreni e di investire capitali nelle loro proprietà fondiarie, si "contentavano" di mantenere l'ordine vigente attraverso il semplice sfruttamento delle risorse naturali e del lavoro dei contadini. Venivano cosi mantenuti i vecchi rapporti di produzione e i tradizionali assetti produttivi.

Al di fuori della Calabria, intanto, si verificava una forte crescita demografica e per la regione ciò costituiva un incentivo ad accentuare la tendenza all'estensione della coltivazione granaria e ad aumentare gli oliveti. Queste ultime erano le colture più richieste e le meno bisognose di investimenti ma penalizzavano quelle che invece erano le antiche produzioni tipiche come il gelso e la seta.

Si giunse anche ad un momento in cui la corsa alle terre subì un arresto che indebolì il mercato immobiliare e, nel 1794, provocò un

 20 Placanica (a cura di), Opere di Giuseppe Maria Galanti, Cava de'Tirreni, Di Mauro, 1993.

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aumento dell' estensione dei fondi e un calo del valore medio per tomolata.21 Tutto ciò non fece altro che rinvigorire l'attività speculativa dei nobili e di alcuni borghesi che ripresero i loro acquisti, finché non si giunse all' esaurimento dell' offerta e all' annullamento della Cassa Sacra.

Nel 1796 la Cassa Sacra fu soppressa a causa della generale insoddisfazione. Nonostante ciò questa istituzione giocò un ruolo importante per l'economia e i rapporti sociali del tempo. Circa 5500 fondi, pari a 38000 tomolate, passarono dalle mani della Chiesa a quelle dei privati; da una parte ciò accentuò alcuni caratteri tipici dei rapporti di produzione delle campagne calabresi, dall' altra inserì qualche elemento di novità. In generale si può dire che la Cassa Sacra rafforzò le preesistenti strutture economico-sociali della regione e, certamente, fu il banco di prova della politica riformi sta del governo napoletano, che in questa occasione dimostrò la difficoltà di tradurre concretamente le proprie idee innovatrici.

< ... > "il disegno eversore della proprietà ecclesiastica calabrese non ebbe uguali nell'attività riformatrice dell'Europa del tempo, per ampiezza e profondità di intervento.,,22

Tuttavia, nel lungo periodo le evoluzioni economico-sociali determinarono, quindi, l'accumulazione fondiaria, la speculazione commerciale e monetaria, l'espulsione di coloni e fittavoli dalle terre ecclesiastiche e la migrazione verso le città a causa del tracollo della produzione domestica della seta nelle zone rurali. Come ho già detto, fu alimentato il contrasto tra chi, all'indomani del terremoto, aveva saputo sfruttare la situazione a proprio vantaggio, cioè una parte dei

21 La tomolata, in Calabria, è l'unità di misura del terreno e i suoi sotto multipli sono la stoppellata e la spicciolata. Ha origini antiche, ma il boicottaggio baronale dei decreti monarchici miranti ad uniformare il sistema ostacolava la realizzazione di questo progetto. Da tempo contava più di 400 unità di misura diverse. Sulla falsariga delle misure per le estensioni, per gli elementi solidi le unità erano il tomolo, il pìcciolo e lo stoppello. La tomolata equivaleva quindi all'ettaro e il suo corrispettivo variava da zona in zona ma si aggirava intorno ai 0'333 ha, da Misure e pesi consuetudinari nel pianeta rurale della vecchia Calabria, in "Calabria Letteraria", Numeri 1,2,3, anno LUI.

22 PLACANICA, Opere di Giuseppe Maria Galanti, cit. p.28.

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borghesi e chi invece assisteva impotente a questi sviluppi perché non aveva potuto partecipare agli acquisti. TI contrasto c'era anche nei confronti di chi credeva in un diverso tipo di evoluzione sociale, ad esempio gli imprenditori e i mercanti interessati alla commercializzazione dei prodotti tipici, o alle industrie di trasformazione e agli investimenti produttivi in agricoltura.

Anche in queste terre avrebbero potuto crearsi le condizioni per un decollo economico, ma occorreva estendere la superficie dei terreni, migliorare le tecniche, e intensificare le produzioni. Ma le caratteristiche ormai radicate del sistema non permettevano cambiamenti. Occorreva annullare sì i troppi benefici goduti da pochi, ma anche unire la varie terre, polverizzate nel territorio. Formare una sorta di cooperativa di possidenti che investissero in attività produttive, piuttosto che sfruttare le risorse per vivere di rendita.

Nel 1864, Vincenzo Padula osservando lo stato dell'industria, dei terreni e delle persone, sostiene che, ai contadini, sarebbe stato utile un'Unione del Credito.23 Associandosi, i contadini, sarebbero risultati maggiormente solvibili nelle richieste di credito ai proprietari. Istituendo poi una Cassa Agraria, i piccoli capitalisti avrebbero dovuto mettere a disposizione terre e strumenti ed anticipare le sementi, e i contadini, con le loro famiglie avrebbero dovuto vivere sul fondo e coltivarlo, ricevendo, al momento del raccolto, quanto era necessario per la loro sussistenza. Uno sviluppo capitalistico dell'agricoltura avrebbe determinato qui, come al Nord, una produzione rivolta al mercato. Ma i nobili continuarono ad acquisire terreni mantenendo immobilizzati anche i vecchi possedimenti, senza che questo servisse a introdurre elementi innovativi nei rapporti sociali e produttivi. Essi miravano esclusivamente al proprio benessere e non avevano a cuore, né la vita di chi lavorava già le loro terre, né tanto meno pensavano a contribuire ad uno sviluppo più generale della regione. I pochi grandi prìncipi non risiedevano neanche in queste terre, ma preferivano vivere in città, a Napoli, e non avevano certo interesse a rendere produttivi i propri possedimenti. A loro importava mantenere la

23 V. PADULA, Industrie terreni stato delle persone in Calabria, in "Il Bruzio", CarloM. Padula editore, Roma, 1978.

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posizione sociale attraverso le proprie ricchezze, arricchendosi sempre di più a scapito degli altri. Nessun miglioramento veniva apportato alle campagne e i braccianti non avevano nessun motivo per accrescere la produttività o migliorare le tecniche lavorative. Ci si aspettava forse un atteggiamento diverso dall'affermazione borghese, ma cosi non fu. Insomma l'economia di mercato non giunse nelle campagne calabresi e tutto proseguiva per la mera sussistenza. Penso sia possibile ricondurre, in parte, a questo momento storico, il mancato sviluppo economico della regione che avrebbe potuto sfruttare i potenziali della propria terra per farne, ancora oggi, la propria ricchezza. Tradizioni e colture antiche sono andate perse e non sono state coltivate, e proprio ora, che si  guarda al passato con un senso di rimpianto, risulta più difficile recuperarle.

5 Baroni, borghesi ed ecclesiastici nelle terre calabresi

La Calabria non era molto diversa dalle altre regioni del Mezzogiorno prevalente montuosità, regime torrentizio delle acque superficiali, presenza di pianure caratterizzate da un alto tasso di aridità e quindi granicoltura estensiva e pascolo transumante, olivicoltura disseminata senza grandi specializzazioni produttive, scarsità di frutteti e di piante industriali se non il gelso oltretutto in declino. L'agricoltura a livello intensivo interessava solo alcune aree della regione; per il resto si trattava di autoconsumo o produzioni destinate a raggiungere Napoli. Tutto questo rendeva modesto l'incremento della popolazione. Già prima del terremoto la densità della popolazione era di 167 abitanti per miglio quadrato e il bassissimo reddito agricolo non incentivava certamente un incremento delle nascite. Nella Calabria Ulteriore 90.813 persone vivevano sotto dominio regio mentre ben 312.988 erano soggette al potere feudale. Nelle terre calabresi erano i Ruffo, i Serra, gli Spinelli, i Carafa, i Pignatelli ad esercitare un ampio potere giurisdizionale e esercitavano anche un controllo diretto sulla vita delle famiglie loro soggette che legavano a sè in un rapporto personalistico e paternalistico.

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 La Chiesa svolgeva una funzione di ammortizzazione delle tensioni sociali affittando le terre in perpetuo o temporaneamente ed anticipando somme di denaro; da un lato rafforzava il potere della borghesia, dall' altro concedeva piccole terre ai braccianti aiutandoli a vivere. Nel lungo periodo la borghesia mirava a:

  •  conquistare un esclusivo controllo delle campagne attraverso     la dissoluzione della gestione ecclesiastica;
  • emarginare i contadini;
    • semplificare i rapporti giuridico-economici;
    • arretrare gli usi civici fino all'eversione del sistema feudale ed ecclesiastico.

 Di per sè certe volontà risultano consone all'economia di mercato vista la volontà di accumulare terreni a fini produttivi, ma il mantenimento di quell' atteggiamento assenteista e parassitario, che non venne mai meno, non permise lo sviluppo di profitti e imprese che avrebbero potuto dare un volto nuovo alla Calabria.

Intanto occorre dire che, nonostante tutto alla fine del '700 la Calabria visse un periodo di fermento e aspettative, grazie all'avvio di quelle riforme che il governo napoletano cercava di applicare per migliorare le condizioni in cui versava il Regno. Alcuni comuni dichiaravano guerra al feudatario e si crearono anche le condizioni affinché, un numero modesto ma significativo di contadini riuscisse ad acquistare piccoli terreni grazie allo sviluppo della produzione e all'incremento della produttività. Molti economisti meridionali sostenevano che occorreva incentivare la piccola e media proprietà al fine di realizzare uno sviluppo generale ma ciò risultò impossibile dato il mancato incremento delle terre dei contadini e il confermato predominio della nobiltà e della borghesia terriera.

 

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 Dalla vertenza tra il Principe Pignatelli da Monteleone e il Comune di Jacurso

 Prima di iniziare un discorso che vede tra i protagonisti Jacurso, credo sia utile almeno collocare geograficamente questo comune.

Esso è situato al centro della Calabria e nel punto più stretto da dove è possibile ammirare sia il mar Tirreno, sia lo Jonio. TI territorio è pari a 21,64 kmq e confina con i Comuni di Maida, Cortale, Curinga, S. Pietro a Maida, Filadelfia, Polia, nel versante tirrenico delle Serre proiettato verso l'istmo di Catanzaro.

L'abitato è su un contrafforte tra le valli dei torrenti Pilla e Rodia ed ha un'altitudine di 441 metri d'altezza sul livello del mare.

Pare che sorgesse nel secolo XV su un agglomerato costruito da un gruppo di pastori e contadini che per comodità nei loro lavori si era stabiliti qui. Casale di Maida, fece sempre parte di questo feudo, passando, dai Caracciolo di Nic,astro (1408-1560), ai Di Palma, ai Carafa di Nocera, ai Di Loffredo (1607), e dal 1699 al 1806, anno di eversione della feudalità, ai Ruffo di Bagnara.

Secondo le informazioni riportate dal Galati, nel 1791, la Calabria era divisa in vari Ripartimenti e Jacurso faceva parte del Dipartimento di Catanzaro, Distretto di Maida, diocesi di Nicastro, insieme ad altri Comuni.    In quest’anno contava 1218 anime

L'ordinamento amministrativo disposto dai francesi per legge 19 gennaio 1807 ne faceva una Università, nel cosiddetto Governo di Maida. TI successivo riordino per decreto del 4 maggio 1811 lo riconosceva Comune e lo manteneva nella stessa giurisdizione. Per effetto della legge 10 maggio 1816, veniva trasferito nel circondario di Cortale.

Tra i documenti che ho deciso di prendere in esame vi è una sentenza della Corte d'Appello di Roma in riferimento alla vertenza tra il Comune di Jacurso, e il Principe Ferdinando d'Aragona Pignatelli Cortez (24). Nonché Antonio Aragona Pignatelli Cortez, Rosina Aragona Pignatelli Cortez, Ica Aragona Pignatelli Cortez, Anna Maria Aragona

24 L'Archivio Comunale di Jacurso non possiede tanto materiale da richiedere una catalogazione in Fondi. Esistono registri restaurati e rilegati, conservati in ordine cronologico, ed alcuni fascicoli contenenti copia di documenti catastali o come in questo caso di atti giudiziario Casualmente ho notato questi fascicoli e leggendo questa sentenza ho pensato di poterne fare uso.

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 Pignatelli Cortez di Monteleone, tutti quali eredi di Diego Aragona Pignatelli Cortez di Monteleone. Leggendola ho trovato interessanti alcune informazioni riportate, che ci aiutano a comprendere la gestione assenteistica e parassitaria delle terre calabresi e le consuetudini derivanti da tale condizione.

Alla voce "Oggetto" leggiamo:

"Appello avverso sentenza del Tribunale Civile di Calabria, sedente in Catanzaro in data 23 dicembre 1840 in punto a rivendica di territori. ,,25

Il Principe Pignatelli accusò il Comune di Jacurso di avergli usurpato due terreni, le cosiddette "Stagliate", Silelli e Cannavolo. Gli eredi Pignatelli non furono mai presenti in sede di processo. Pur risiedendo lontano, rivendicavano  la proprietà di dette terre, a loro dire, usurpate dal Comune di Jacurso. Questi nobili signori vivono dislocati tra Roma e Napoli, ma possiedono terre, oltre che nel territorio Jacursese, anche in altre zone. Da una ricerca svolta da Mariuccia Giacomini su Belmonte, risulta che, nel periodo a cui la ricerca si riferisce, 17361' 60 i Pignatelli furono principi di questa città ma risiedendo presso la corte di Napoli, solo di rado si recarono in questa località, e ciò si evince anche da un atto preliminare del catasto onciario concernente la casa "palaziata" della Principessa di Belmonte

" quale casa serve per sua abitazione qualora soggiornasse in detta terra, ed in sua assenza la abitano li suoi Ministri [ ... ]"  26

L'assenza dei proprietari determina consuetudini tra la popolazione e anche la dove le terre vengono lavorate, la gestione non mira a creare attività produttive. La coltivazione è affidata a quei contadini che prendono in affitto porzioni di proprietà o lavorano per i signori stessi. Nella  sentenza del Tribunale, è possibile cogliere alcuni dei meccanismi di gestione delle campagne jacursesi

 25 Fascicolo Comunale Vertenza Pignatelli /Comune di Jacurso, p 3.

26 M. GIACOMINI, Sposi a Belmonte nel Settecento. Famiglia e matrimonio in un borgo rurale calabrese, Milano, Dott. Giuffrè Editore, 1981, p 2.

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 agli inizi dell'Ottocento che penso abbiano riguardato molti altri paesi della Calabria.

 Le fasi del procedimento giudiziale sono diverse. Nel 1822 Pignatelli trasse in giudizio il  Comune di Jacurso rivendicando il rilascio di due territori denominate "Stagliate" che erano state assegnate al padre nella divisione dei demani "che lo stesso comune aveva tentato di usurparsi e che erano stati compresi nella parte assegnata ad esso istante dal Commissario del Re sulla divisione dei demani feudali tra l'ex feudatario e i comuni dipendenti". Ma il Comune si appella alla Corte e, in seconda udienza, questo è assolto perché il Pignatelli non aveva fornito tutte le prove necessarie a dimostrare la veridicità dell'accusa. Al Principe era stato infatti chiesto di fornire i documenti che mostrassero se:

  • " ( ... ]detti immobili negli antichi catasti ed in seguito nei ruoli fondiari erano stati intestati al Duca o al Comune di Jacurso. Se negli stati discussi di detto Comune e nei conti annuali degli amministratori avesse figurato la rendita di tali beni, da quanto tempo e per quale causa,,27

Il Comune negava di aver mai goduto di queste terre, sostenendo invece di possedere terreni in località Timpe Rosse e Madonna Laura ottenute con la divisione dei demani feudali. TI Principe, dal canto suo, non aveva prodotto tutte le prove, quindi la sua richiesta, di sottoporre a giudizio il Comune era stata respinta. Successivamente il Pignatelli ricorre in appello e il Comune questa volta viene condannato alla restituzione del bene e al pagamento delle spese istruttorie. Tra vari appelli e ricorsi si giunge al 1845 con un altro ricorso del Comune, che si appella alla mancata esposizione dei documenti che attestino il suo possesso o il godimento delle terre contestate. Vengono raccolte anche prove testimoniali, che dimostrarono una turbati va del possesso ma non la tesi del possesso illegittimo. Infatti anche dopo la divisione del feudo, il duca di Monteleone, aveva mantenuto il possesso di quelle terre, che continuarono ad essere coltivate da alcuni contadini jacursesi che lo facevano ormai da tempo.

 

27 Fascicolo Comunale Vertenza Pignatelli /Comune di Jacurso, p 6.

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 "I testimoni escussi [ ... ] hanno deposto sulla pertinenza di quelle Stagliate al Duca di Monteleone, per conto del quale le coltivarono essi e i loro antenati o le tennero in amministrazione

da tempo antichissimo [ ... ] nessuno ha detto che le due stagliate sono state occupate dal Comune di Jacurso, ma anzi l'hanno tutti esplicitamente escluso e dichiarato che esse sono sempre state in possesso del Duca."

Il Giuseppe Bertuccia nel dicembre del 1822 dichiarò:

"da sette o otto anni addietro i Jacursiani SI sono continuamente introdotti in queste stagliate, prendendosi forzosamente gli animali dei bovari di Filadelfia, che quivi si trovavano al pascolo, conducendo li nel loro comune e volevano obbligare i bovari suddetti di fidare forzosamente, ma questi si sono sempre ricusati, sapendo benissimo che queste stagliate appartengono al detto ex duca di Monteleone. ,,28

       Il  teste Francesco Serratore ha deposto:

 

"nel mentre coltivava la suddetta Stagliata Silelli unitamente con altri, per averla ultimamente avuta in fitto dal sig. Erario Masdea dello stesso duca si recavano ivi alcuni Jacursani e si presero un manipolo di grano dalla bica che egli aveva quivi fatto, dicendo gli che la suddetta bica gli era sequestrata e che di allora in avanti doveva pagare a loro, essendo quella stagliata di pertinenza del Comune di Jacurso; e che egli essendosi astenuto per quell'anno di pagare a chicchessia nel seguente anno fu astretto giudiziariamente dal menzionato Erario Masdea e lo dovette pagare; ma da detta epoca in qua, avendone egli abbandonata la coltura per evitare ogni inquietudine ha veduto che porzione di quella stagliata Silelli era coltivata da Mastro Eliseo Defrancesco per conto del signor Duca, porzione da Jacurso ed altra è rimasta incolta ,,29

28 Fascicolo Comunale Vertenza Pignatelli IComune di Jacurso, p 29.

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Viene quindi dimostrato che il Comune di Jacurso non possedette mai quelle terre. Alcuni Jacursesi avevano certamente turbato il possesso delle Stagliate, ma non occuparono mai in modo definitivo quei terreni, in modo tale da far supporre che il Comune percepisse delle rendite. Infatti i frutti di detti terreni erano goduti da chi le lavorava e lo stesso duca di Monteleone ne incamerava un canone d'affitto.

Il Comune di Jacurso viene quindi assolto, ma questo processo Cl racconta quale era lo stato delle campagne jacursesi, e, suppongo, di tante altre località calabresi.

Quando viene detto che i testimoni sono stati chiamati a dichiarare se quelle terre appartenessero al Duca, viene detto anche che per suo conto, loro e i loro antenati, tennero in amministrazione da tempo antichissimo dette terre. Si deduce quindi che la coltivazione delle loro terre, era affidata ad alcuni braccianti o contadini affittuari che per molto tempo rimanevano impegnati con la famiglia proprietaria. Nonostante la continuità dell'impiego, tali contadini e le loro famiglie non diventavano certamente ricchi, e subivano inoltre le molestie, in questo caso di alcuni jacursesi, che in maniera illegittima, e con la forza turbavano il possesso di quelle terre sottraendo i buoi ai bovari o pretendendo quote di raccolto dai contadini.

Probabilmente era lo stato di necessità a spingere alcuni uomini di queste zone a reagire cosi alle necessità di cui nessuna istituzione si preoccupava. Ma per chi lavorava quelle terre, era un ulteriore gravame. Dal canto suo anche il Duca condanna una presunta usurpazione da parte di un'istituzione pubblica dubitando quindi della sua onestà. In questo caso il comune potè dimostrare la falsità dell' accusa, ma in questo periodo storico certamente le usurpazioni furono tante e riguardano sia "Università" che Signori.

29 Ivi, p 30.

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Ne risultava una perdita del senso della legalità che rendeva labile il confine tra legittimo e illegittimo, mancano forti figure governative e la popolazione cerca modalità alternative di sopravvivenza e di promozione. Ma pochi contadini Jacursesi, e calabresi, riuscirono ad accrescere i propri averi in modo tale da migliorare ulteriormente le loro condizioni di vita.

Quelle terre continuarono ad essere coltivate da affittuari non motivati all'investimento per anni, garantendo la pura e semplice rendita dei proprietari, che restava stazionaria.

Nella campagna jacursese rimane oggi un delizioso paesaggio fatto di tante piccole proprietà acquistate nel tempo da uomini che con essa speravano in una maggiore dignità.

Ma senza quegli incentivi alla piccola impresa di cui gli economisti parlavano la situazione non poteva migliorare. Certo negli anni i calabresi hanno saputo lavorare e sono andati avanti migliorandosi piano, piano. In alcuni luoghi della Calabria i segni del passato possono risultare più sfumati, ma soprattutto nelle piccole comunità, è possibile leggere nel presente i tratti indistinguibili di consuetudini lontane che ancora regolano la vita della gente. Oggi forse nessun uomo si aggira per le campagne molestando i contadini, anche se la criminalità c'è, ed ha determinato situazioni di cui, in questa sede, è inopportuno discutere. Gli uomini spesso sono stati impiegati in settori diversi e ciò ha permesso di raggiungere la sicurezza di un, se pur modesto, reddito. L'agricoltura ha però perso la forza lavoro necessaria ad una valorizzazione del settore e molte terre sono rimaste semplici "campagne" in cui si possiede un orto e una casetta mantenendo in questo spazio quel contatto con la terra che il tempo ha allentato.

Ma negli ultimi cinquant' anni erano maturati altri cambiamenti che stavano intervenendo a scrivere nuove pagine nella storia della regione.

Negli anni successivi al 1789 la rivoluzione francese ebbe vaste ripercussioni in molte regioni europee ed in particolare negli stati italiani. Anche nel Regno di Napoli, gli intellettuali, incoraggiati   

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dagli eventi francesi, aprono un dibattito sui problemi della penisola e iniziano a formulare idee repubblicane e giacobine che suscitano violente risposte da parte dei governi.

Il dibattito antifeudale si focalizzava su due questioni:

  • i feudi devoluti, ossia ritornati allo stato per mancanza di eredi legittimi rispetto ai quali si proponeva che lo stato li rivendesse come proprietà allodiale (borghese) realizzando cosi con moderazione la distruzione del sistema feudale
    • le precarie condizioni finanziarie del Regno e la prospettiva di un aumento delle spese militari data la minaccia di una guerra con la Francia. Chi avrebbe sopportato il peso di tutto ciò?

I Francesi si insediarono a Napoli nel 1806 per rimanervi fino al 1815, cercando di portare e applicare i principi economici che caratterizzavano la Francia e ai quali avevano ispirato la loro politica di sviluppo e cioè:

  • l'abolizione della feudalità
  • la confisca dei beni da manomorta
  • la restituzione allo stato della sovranità in materia di imposte e tasse.

In questa direzione si mossero all'indomani della conquista del potere segnando un cambiamento radicale nelle istituzioni e nel diritto di proprietà.

L'estensione del Codice Napoleonico al Regno di Napoli ebbe come principale conseguenza l'esaltazione del principio della proprietà privata e sulla base di ciò si intervenne per la privatizzazione delle terre, per la soppressione della feudalità e delle giurisdizioni baronali. L'affermazione del principio di proprietà privata implicava l'eliminazione di tutti i vincoli alla sua libera circolazione.

Vennero così aboliti i vincoli

  • di maggiorascato, che destinava la maggiore eredità del feudatario al parente più prossimo o al più anziano;
    • di fedecommesso che affidava all'erede la conservazione di tutta o parte dell'eredità per trasmetterla ad altra persona al momento della morte.

  

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 Su questo argomento mi soffermerò anche in seguito.

La cessione delle terre demani ali riguardava il miglior offerente e questo non poteva essere di certo il cittadino povero. Quindi chi si avvantaggiò di queste alienazioni furono soprattutto borghesi e nobili e ciò non si traduceva per forza in un progresso dell' agricoltura del Regno. L'acquisto di queste terre comportava un forte esborso di denaro che passava dal privato allo Stato per essere poi impiegato nel settore militare e bellico.

Questa sottrazione di capitali all'agricoltura non poteva non avere conseguenze.

In seguito il governo borbonico non riuscì a smuovere il regno dalla stagnazione, dimostrando che da solo l'istituto della proprietà privata non era sufficiente per lo sviluppo economico se non veniva accompagnato da adeguate politiche di sostegno che nel Regno di Napoli non vennero realizzate e furono sostituite da altre politiche che neutralizzarono i benefici che dal diritto di proprietà potevano derivare.

Questo immobilismo politico fu rotto solo dagli eventi tragici del terremoto del 1835/36 che uccise % della popolazione, e del colera che giunse dalla capitale del regno.

 

 con questo capitolo ha fine la prima parte.Seguirà ,tra qualche giorno,la Seconda Parte con il capitolo :

 Per una Storia delle strutture familiari in Calabria

1 Modelli e teoria sulle famiglie nel Mezzogiorno

2 Don Antonio Bonello e gli Status Animarum a Curinga

 

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                                     Seconda parte

PER UNA STORIA DELLE STRUTTURE FAMILIARI IN CALABRIA

 

1 Modelli e teorie sullafamiglia nel Mezzogiorno

Le riflessioni maturate fino a questo punto, servono da premessa per un discorso sulle strutture familiari, in Calabria, in epoca moderna. Le trasformazioni della famiglia italiana hanno condotto all'affermazione del modello di famiglia nucleare che, al Nord, è incentivato dall'industrializzazione e dall'urbanizzazione. E' attraverso il passaggio della popolazione dall'agricoltura all'industria che SI afferma il modello nucleare, ossia quella struttura familiare costituita da una coppia sposata con o senza figli. In età moderna tale struttura era più diffusa nel Sud della penisola. Ciò era dovuto al fatto che in queste regioni tale modello era riscontrabile non solo nelle realtà urbane, ma anche tra la popolazione agricola. Nel suo testo la Casanova dice che:

"[ ... ] per l'Italia studi su aree regionali e la considerazione delle differenze socio-economiche sono servite a mettere in rilievo come le

forme di famiglia presentino una grande varietà che non si può irrigidire in modelli generali. Da questo approfondimento si è riscontrata una prevalenza della forma nucleare proprio nel Mezzogiorno. E' risultato inoltre sia il modello patrivirilocale in presenza di un'età tendenzialmente alta, sia il matrimonio precoce in presenza del modello neo locale. 30

La famiglia nucleare era più diffusa che ovunque nelle regIOnI meridionali, proprio qui dove vi era il più basso tasso di sviluppo e maggiore era il peso dell'agricoltura sull'economia della regione.

30 C.CASANOV A, La famiglia italiana in età moderna: ricerche e modelli, Roma, Carocci, 2000.

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 Questo fenomeno ha radici lontane ed è stato analizzato da molti studiosi a partire dalla fine dell'Ottocento. Marzio Barbagli si interroga su quali erano le differenze tra la popolazione agricola dell'Italia meridionale e quella dell'Italia settentrionale riguardo alla regola di residenza dopo le nozze e alla struttura della famiglia.3! "nell'Italia Centro-Settentrionale la famiglia nucleare è comparsa molti secoli prima di quella che ho chiamato coniugale intima.,,32

In effetti dalle riflessioni del sociologo è emerso che già dal XIV e XV secolo, buona parte della popolazione urbana viveva in famiglie che non erano complesse. Ciò non è influenzato solo dal!' elevato tasso di mortalità, che di sicuro non favoriva la formazione di famiglie con questa struttura, ma è stato dimostrato che, anche quando qualche parente era in vita, la gente prediligeva la residenza neolocale, andava quindi a vivere in una nuova casa e creava famiglie nucleari. Gli strati più poveri della popolazione o gli immigrati provenienti da altre città, si comportavano in modo simile. Questi ultimi spesso creavano famiglie senza struttura o vivevano da soli.

In città, vivevano in famiglie complesse o multiple, solo i ceti più elevati, seguendo la regola di residenza patrilocale, andando ad abitare in casa dei genitori del marito, e trascorrendo molti anni in famiglie multiple, sia verticali che orizzontali.

La popolazione della campagna si comportava in modo abbastanza diverso. Qui le famiglie complesse erano presenti in tutti gli strati sociali, ma soprattutto in quelli che vivevano sui poderi.

Nonostante vari fattori abbiano influenzato le strutture familiari, nel tempo queste hanno dimostrato una certa stabilità, ricostituendosi alla fine di ogni crisi destabilizzante. Per quanto riguarda il grado di complessità della famiglia, possiamo individuare dei momenti e dei fattori che hanno contribuito a modificare tali strutture. Nell'arco di

tempo che va dal XV al XIX secolo:

"[ ... ] i più importanti mutamenti di tali strutture furono due, profondamente diversi l'uno dall'altro. Per gli esiti che ebbero,

3\ M. BARBAGLr.:::totto lo stesso tetto Mutamenti della famiglia in

Italia dal XV al XX secolo:Il Mulino,~1984, pp 20 segg.

32 Ivi, P 22.

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innanzitutto perché il primo portò ad un aumento delle differenze di struttura familiare fra città e campagna, il secondo invece ad una diminuzione di tali differenze fra i ceti sociali urbani. Ma anche per le cause che li produssero, i periodi in cui avvennero, gli strati della popolazione che investirono. li primo mutamento si verificò nelle famiglie della popolazione agricola, che assunsero a poco a poco una struttura sempre più complessa. Esso fu provocato da un insieme di profonde trasformazioni economiche e sociali delle campagne, ma soprattutto dalla diffusione dell'organizzazione produttiva poderale e dal passaggio della popolazione agricola da un tipo di insediamento prevalentemente accentrato ad uno sparso. li secondo mutamento ebbe luogo invece nelle famiglie dei ceti urbani più elevati, in quelli della nobiltà e della borghesia mercantile, che acquisirono sempre più spesso una forma nucleare. Avvenuto nella seconda metà del Settecento e nei primi decenni dell'Ottocento, questo mutamento fu provocato da più vaste trasformazioni sociali e culturali, in particolar modo nei cambiamenti avvenuti nelle regole di trasmissione della proprietà da una generazione all'altra nei ceti più agiati".33

L'ampiezza media delle famiglie addette all'agricoltura è bassa nelle

regioni meridionali e ciò è dovuto, secondo lo studio demografico di Livio Livi de1191S34, a tre variabili

  • il regime colturale prevalente
  • L'ampiezza dei fondi coltivati
  • Le forme di insediamento della popolazione agricola.

L'obiettivo di tale studio, è costituito da un'analisi della composizione familiare, per dimostrare quali sono stati in passato i fattori di coesione familiare, e come questi siano cambiati nel tempo, trasformando quindi anche i modi e i presupposti secondo i quali la famiglia si costituisce in certe forme piuttosto che in altre. La famiglia è considerata la prima forma di aggregato demografico e le ragioni per cui le persone vivono unite, possono essere svariate. Di conseguenza

33 Ivi,p 24.

34 L.LIVcta composizione delle famiglie, Firenze, Tipografia di M. Ricci, 1915~

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 possono esservi molteplici forme di famiglia. La ragione più importante può ricondursi ai legami di sangue che determinano quelle che sono definite, famiglie naturali. D alI ' analisi condotta emerge che anche nella formazione delle famiglie non interviene solo il fattore naturale, ma, giocano un ruolo importante, anche altre variabili. La nuzialità, la fecondità, la mortalità, ad esempio, influenzano lo sviluppo del focolaio domestico, ma questo è altresì condizionato da fattori economici. Lo stesso Livi sostiene infatti che per le famiglie contadine l'ampiezza è spesso determinata dalla grandezza del terreno da coltivare. Infatti, mentre nelle regioni in cui è diffusa la mezzadria la famiglia è estesa per il bisogno di coltivare estesi appezzamenti di terreno, nelle regioni in cui l'agricoltura è caratterizzata dalla presenza del latifondo e dei giornalieri, la famiglia difficilmente è estesa o multipla. I figli crescendo tendono a distaccarsi dalla casa dei genitori, preferendo, dopo il matrimonio, una residenza neolocale, in modo da gravare in minor misura sull'economia della famiglia, andando a creare un nuovo aggregato domestico per il proprio sostentamento. TI vincolo affettivo è fondamentale tra padre e figlio, ma solo eccezionalmente porta all'unione di più famiglie. Per quanto questo vincolo sia forte, se non concorrono certe condizioni economiche, il figlio lascerà la propria famiglia per crearne una nuova. Pensiamo al bracciante calabrese, alla sua casa un po' malmessa, alla sua famiglia. Si reca ogni giorno nelle terre dei proprietari a lavorare, e coltiva~ proprio orticello in un piccolo appezzamento di terra che può offrire loro, solo il giusto per sfamarsi. Le Inchieste Parlamentari sulle condizioni di vita dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia hanno confermato che al momento del loro matrimonio, i figli abbandonano la casa paterna. Come può crescere economicamente questa famiglia? Come può migliorare la propria esistenza? In certe condizioni è ovvio che i figli, crescendo,prendano la propria strada per creare nuove condizioni atte a lavorare per vivere. Lo stesso Livi attesta che laddove è diffuso l'affitto di porzioni di terreno sufficienti al nutrimento di piccoli nuclei domestici, i figli si distaccano dalla

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casa paterna all'atto del matrimonio,35 ma il fattore econOIlllCO interviene anche in altri modi. Dove le risorse economiche sono

collegate alla consistenza patrimoniale, l'ampiezza della famiglia è maggiore, soprattutto per le persone addette al commercio o all'industria. E' più facile in questi casi che, i figli rimangano con la propria famiglia per meglio amministrare i beni. Penso sia possibile affermare che nel Sud d'Italia avvenga l'esatto contrario di ciò che avviene invece al Nord.

 

Ampiezza media delle famiglie addette all'agricoltura 1901

  Regioni                   medio di persone per famiglia

Piemonte                         4.66

Liguria                            4.66

Lombardia                       5.63

Veneto                           6.29

Emilia                            5.63

Toscana                         6.43

Marche                           5.91

Umbria                           5.83

Lazio                             4.80

Abruzzi e Molise              4.55

 Campania                       4.23

Puglie                            4.17

Basilicata                       3.90

Calabria                         4.06

Sicilia                            4.28

Sardegna                       4.35

Regno                           4.95


 Cosi Livio Livi giustifica questi dati:

"[ ... ] la costituzione dei focolari domestici addetti all'agricoltura è in relazione in primo luogo col regime di coltura preponderante, ed in secondo luogo colla ampiezza maggiore o minore delle porzioni di terreno assegnate a ciascuno di essi. Per questa ragione l'ampiezza delle famiglie degli agricoltori subisce nelle regioni del regno delle forti

35 UVI, La composizione della  famiglia,cit, p 39.

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oscillazioni ... nel Veneto, nell'Emilia, nella Toscana, nell'Umbria e nelle Marche il terreno, generalmente soggetto a coltura intensiva,è ripartito in grossi poderi dati in affitto o a mezzadria, la popolazione agricola vive sparsa per le campagne in comode case coloniche. Ciò spiega la grandezza delle famiglie che si riscontra in queste regioni. [ ... ] Nel Mezzogiorno il sistema di coltura è molto diverso: in talune regIOnI predominano i latifondi coltivati da giornalieri, in altre la proprietà, data più spesso in affitto e non in mezzadria, è oltremodo frazionata; la popolazione vive accentrata in grossi borghi e perciò in queste regioni le famiglie dei contadini sono assai piccole." 36

E' interessante confrontare alcuni dati dello stesso censimento In riferimento alla classificazione dei maschi agricoltori in base alla loro condizione. Prendiamo ad esempio i dati della Calabria e confrontiamoli con quelli della Toscana:

Su 1000 agricoltori, i maschi dai 9 anni in su erano cosi ripartiti:

 

 

 CalabriaToscana

Coltivatori di terreni propri

139

150

Enfiteuti

2

4

Fittaioli

47

18

Mezzadri e coloni

111

532

Contadini a lavoro fisso

134

38

Contadini a giornata

469

209

Fattori

12

8

Giardinieri

7

8

Boscagliuoli e taglialegna

9

15

Allevatori di bestiame

70

18

Vediamo ora come erano ripartite le famiglie addette all'agricoltura in base al numero dei componenti prendendo sempre ad esempio i dati riguardanti la Calabria e la Toscana:

36 Ivi, P 34.

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Famiglie formate da:

Toscana

Calabria

1 persona

3.0

7.1

2 persone

9.3

18.7

3 persone

12.3

19.8

4 persone

13.7

17.3

5 persone

14.0

14.6

6 persone

11.9

9.6

7 persone

9.5

6.2

8 persone

7.5

3.5

9 persone

5.2

1.7

lO persone

3.9

0.8

Il persone

2.7

0.3

12 persone

1.9

0.1

13 persone

1.5

0.1

14 persone

1.1

0.0

15 persone

0.1

0.1

2 Don Antonio Bonello e gli Status Animarum di Curinga

I dati utilizzati dal Livi sono quelli del censimento del 1901 e risultano utili per un discorso che miri a collegare dati di un'epoca più recente con quelli che è stato possibile utilizzare per il mio caso studio. Tra questi una ricerca svolta dal parroco Antonio Bonell037 in riferimento al comune di Curinga, piccola comunità, confinante con il territorio del Comune di Jacurso. Credo si possano cogliere molte analogie tra le tradizioni dei paesi del circondario. Anche questo parroco, come tanti altri, nei suoi anni di reggenza della parrocchia ha voluto studiare i documenti che la sua storia aveva prodotto e, in questo caso, aveva fortunatamente conservato. La fortuna,. appunto, consiste nella possibilità di avere a disposizione gli Status Animarum in riferimento a svariati anni tra 1600 e 1800. Nel suo studio, il sacerdote, ha voluto, attraverso lo Stato delle anime del 1835 e altri documenti sia dell'epoca che bibliografici, scoprire e proporre svariati aspetti della vita sociale della comunità. Ho sperato anche io di poter trovare questi documenti nella parrocchia di Jacurso ma purtroppo

--------­37 A. BONELLO, Curinga. Recuperi di storia e di vita sociale, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore,1984.

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non è stato cosi. Leggendo le ricerche svolte sulle strutture familiari sia per il Mezzogiorno che per altre regioni d'Italia, mi sono resa conto che è difficile e dispendioso condurre una ricerca su Jacurso alla luce di tale assenza di documenti. E risulterebbe altresì azzardato sostenere tesi non avallate da documenti dell'epoca. Ma è qui che interviene a mio avviso il "metodo" della Natalie Zemon Davis per non rinunciare al desiderio di comprendere una realtà solo perché non ci viene raccontata direttamente da qualcosa. Allargando la visuale dell'osservazione, è possibile riflettere e anche supporre, cercando di arricchire un quadro di interpretazioni possibili che ci aiuti a conoscere meglio una realtà. li tentativo di analizzare le strutture familiari del mio paese non può essere esaustivo o enunciativo di teorie certe, ma mi piace pensare che questo mio lavoro serva almeno come spunto da approfondire per conoscere e capire l'importanza della storia della pròpria regione. Anche il sacerdote di Curinga sperava che qualcuno prima o poi avrebbe preso in mano i documenti che egli stesso aveva usato, per illuminare la storia di questo paese. A me è servito a cogliere, nelle informazioni che fornisce, delle forti analogie con i dati che già avevo ottenuto su Jacurso. Ai fini del discorso condotto fin qui vorrei riportare alcuni valori tratti dall'elenco delle famiglie riunite per rioni registrate a Curinga nel 1835. E' un anno molto vicino a quelli da me esaminati (1810,'20, '30), e confermano le riflessioni sulla ampiezza e le caratteristiche delle famiglie calabresi in questo periodo.

Nel 1835 Curinga contava 2946 abitanti raggruppati in 642 famiglie cosi composte:

231 famiglie con 1 / 2 figli

176 famiglie con 3 / 4 figli

53 famiglie con 5/6 figli

7 famiglie con 7 / 8 figli

1 famiglia con 9 figli

9 famiglie rette da un vedovo

18 famiglie rette da una vedova

  

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Si nota subito la prevalenza di famiglie nucleari e composte da u numero ridotto di persone.

Per il resto si trattava di varie famiglie costituite da solitari; è il casI di alcune giovani nubili, ad esempio Anna Concetta Trovato di 2: anni, oppure da fratelli che avevano continuato a vivere insieme cornI Demajda Concetta, 18 anni, nubile che vive con due sorelle e UI fratello. In pochi altri casi, due, alcuni uomini soli avevano preso ir affidamento qualche giovane orfano o altre famiglie prendevano a servizio qualche ragazzo che i genitori offrivano come servo per poterlo sfamare. In altri casi si tratta di famiglie allargate. La forma nucleare era certamente la più diffusa, ma esistevano anche famiglie allargate, estese più che multiple. In circa 70 famiglie, insieme al nucleo principale, viveva un parente o un suocero, ma credo di poter dire che questo dipendesse da fattori diversi da quelli legati alla coltivazione della terra. Con questo intendo dire che in tali famiglie erano presenti altre persone, non perché servisse maggiore forza lavoro, ma perché, per questioni legate alla casualità dell'esistenza, si erano trovate a vivere insieme ai parenti. Ad esempio la famiglia Anello Viscumi abita con un nipote, immagino per due possibili motivi: o i genitori erano morti e questa coppia aveva deciso di occuparsi di lui, oppure stavano abbastanza bene da occuparsene per far vivere meglio il ragazzo. Ho riscontrato anche la presenza di donne nubili, spesso benestanti, che vivevano anch'esse con qualche nipote. Ma più frequentemente era la miseria che dava impulso alla solidarietà, per cercare di offrire un'esistenza migliore a chi non aveva la possibilità di sopravvivere senza aiuto, o magari solo per avere un po' di compagnia. Laddove ho visto convivere con la famiglia qualche fratello, cognati e servi, ho supposto si trattasse di famiglie proprietarie dove, comunque, la presenza di altre persone poteva essere legata all'attività della famiglia. Di certo queste conducevano un'esistenza abbastanza agiata se potevano prendere a servizio una persona o far convivere con loro i fratelli; per quanto non esistesse una retribuzione in denaro per i servi, bisognava comunque offrire loro un pasto, che non era una cosa cosi semplice per tutti.

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E' stato dimostrato che l'incidenza delle famiglie con servi era comunque bassa perché poche erano le famiglie benestanti o nobili che potevano permetterselo, o anche gli ecclesiastici che davano lavoro a numerose donne. Mettersi a servizio era comunque una prerogativa femminile, anche perché non richiedendo una qualifica, esigeva piuttosto la disponibilità al tutto fare, compito che una donna poteva assumere.

Garantire il cibo ai propri figli per certe famiglie non era cosi facile e per questo l'agricoltura era essenzialmente rivolta alla sopravvivenza. Se una famiglia doveva faticare per mangiare, figuriamoci se poteva pensare di creare un'attività produttiva. Tutto ciò che la famiglia faceva o produceva era legato al proprio sostentamento. Nell'osservare certi aspetti del passato della mia regione non posso non cogliere un continoum storico tra ciò che ho potuto apprendere direttamente dai documenti rispetto all' Ottocento e ciò che mi è stato raccontato da libri e persone in riferimento a non troppi anni fa. Negli studi che si riferiscono, ad esempio, agli anni Cinquanta del Novecento, è possibile riscontrare uno stato di cose molto simile a quello di cento anni prima. Non credo si possa sostenere che oggi in Calabria si viva come un secolo fa, anche se in certi luoghi le consuetudini hanno origini antiche, ma osservando l'evoluzione delle altre regioni d'Italia, penso sia possibile asserire che nel Mezzogiorno vi era un certo ritardo, ancora in epoca contemporanea, rispetto alle trasformazioni che avvenivano al Nord. Certo questo dipendeva da una profonda differenza nella storia delle due aree, ma sembrerebbe che al Sud il ritmo del cambiamento sia stato più lento. Con questo non intendo fare un discorso sull'arretratezza della regione, ma vorrei mostrare come dalle caratteristiche economiche della regione, i calabresi abbiano plasmato il proprio modo di essere. Lo sviluppo economico, avvenuto nel Nord d'Italia, ha modificato la società e velocemente l'ha adattata ad un assetto diverso da quello del passato. Se nel Mezzogiorno, negli anni Cinquanta del Novecento, l'ammodernamento procedeva a rilento è facile notare la persistenza di certe caratteristiche nello sviluppo sociale.

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"I viaggiatori del '700 e dell'800, pur vagheggiando l'incanto idilliaco che li aveva spinti a partire, non appena si erano guardati intorno, avevano dovuto scoprire immancabilmente questo quadro umano stridente e contrastante con l'idillio e l'armonia . Furono costretti ad

un' ulteriore scoperta del Sud, del tutto diversa: un Sud più umile e più vero, presente nella Storia, anche se ne sembrava rimasto fuori".

La Calabria di Norman Douglas sembrava vecchia e antica insieme, e "questa vecchiaia non è vista come un aggregato di polverose strutture, pregiudizi e consuetudini superate ma come un complesso di condizioni storiche che ha permesso a questi uomini di vivere da secoli una loro vita più intensa, più schiva delle dispersioni del progresso, delle tecniche e del dubbio critico". 38 Forse ciò può essere affermato ancora oggi.

Per confermare alcune riflessioni svolte, rispetto alla famiglia a Jacurso, ho pensato di parlare, o se vogliamo intervistare, qualcuno, di una certa età, che potesse raccontarmi qualcosa sulla propria storia familiare.

3 Da fonti dirette: frammenti di storie di famiglie Jacursesi in età    contemporanea.

Avrei voluto in questa circostanza intervistare ogni abitante anziano di Jacurso. E' stato interessante raccogliere alcune testimonianze resemi da poche persone che comunque hanno accettato di raccontarsi. Parlando di famiglia non è facile per la gente riportare informazioni che definirei personali, soprattutto a Jacurso, dove le persone difficilmente rendono pubbliche le proprie storie e ancor di più se si riferiscono a periodi in cui la vita non era cosi facile.

Le informazioni che riporto mi sono state raccontate da una signora di Jacurso, Vincenza ------------, detta Enza nata, in questo paese, il 6 Marzo del ----. Lei ha un'ottima memoria e ha potuto spiegarmi cose che riguardavano i suoi genitori o addirittura i suoi nonni.

38 F.ROSSI, Itinerari e viaggiatori inglesi nella Calabria del '700 e '800, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2001.

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I genitori di Enza, Elisabetta e Francesco, si erano sposati a Jacurso nel 1927. Entrambi all'età di 25 anni. Francesco era un falegname intagliatore e aveva una bottega propria, la madre era una proprietaria, ma essenzialmente era ciò che, come avrò modo dire, nei registri comunali era detta faticatrice, ossia non aveva un'occupazione specifica ma faceva svariati lavori per la famiglia. La famiglia di Enza non era contadina ma dal suo racconto è possibile comunque trarre diverse informazioni su usi condivisi con i contadini. Questa coppia aveva avuto quattro figli. TI primo nasce nello stesso anno del matrimonio, e viene chiamato Francesco come il padre, perché nel dare il nome al neonato i nomi dei genitori del papà avevano la precedenza e anche il nonno si chiamava appunto Francesco; nel 1928 e nel 1930 nascono rispettivamente ----- e ------- e nel 1936 nasce Enza. La nonna di Enza era morta quando la madre aveva solo 15 anni, lasciando le in eredità la casa che aveva portato come dote al momento del matrimonio. TI padre di Elisabetta inoltre era un ricco proprietario che, grazie ai suoi fratelli, che avevano rinunciato al matrimonio per non dividere la terra del padre, aveva ottenuto un'eredità di 50 ettari di terreno. Francesco, il marito di Elisabetta era uno dei quattro falegnami che avevano una propria bottega a Jacurso. Questi avevano numerosi allievi che andavano "a lu mastru" per imparare un mestiere. Infatti svariati sono i falegnami che ho incontrato nei documenti che ho analizzato, e questi producevano i mobili per chi se lo poteva permettere, o le casse da morto. Le ragazze invece andavano dalla "maistra" che insegnava loro a cucire, ricamare, lavorare ai ferri o all'uncinetto. Questa figura è presente anche nei racconti di Don Antonio rispetto a Curinga e come a Jacurso questa oltre al lavoro con le fanciulle del paese, produceva la biancheria intima, vestiti femminili, capi della dote e abiti da sposa.

I lavori che faceva il padre di Enza non gli venivano pagati subito, perché come per altre cose, si comprava a credito, ossia si pagava appena SI Incassava o vendeva il raccolto . Infatti chi aveva un esercizio commerciale apriva la cosiddetta "libbretta" OSSIa un quademino su cui venditore e acquirente segnavano i rispettivi crediti

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e debiti. Nessuno possedeva denaro, e per questo il credito era necessario. Un allevatore, ad esempio, pagava quando vendeva gli animali. Avendo diverse terre, cercavano di utilizzarle in modo tale da ottenere più frutti possibili, non per un mercato ma per il sostentamento della famiglia. Nel paese vicino, Maida, si svolgeva una fiera dove si recava chi aveva da vendere qualcosa. Possedendo un bosco avevano legna da ardere durante l'inverno; in 6 tomolate di terreno in montagna veniva coltivato il grano che, condotto nei mulini di Jacurso, veniva trasformato in farina. In paese, in quegli anni, vengono ricordati quattro mulini di cui oggi rimangono solo pochi resti. Lavoravano dal 15 Settembre al 15 Maggio perché in estate l'acqua serviva alle campagne. Francesco De Fiore, intorno alla fine dell'Ottocento, nel narrare la storia di Maida, dice che dal Monte Contessa, oggi come allora territorio di Jacurso, i fiumi scendono come lunghi nastri d'argento, animando parecchi mulini e frantoi di ulivi. La professione di molinaro ricorre spesso nei documenti dei registri comunali , a dimostrazione del fatto che, pur parlando di 100 anni prima, l'attività era presente. E il Padula ci riferisce che:

" i trappeti sono tutti fatti ad un modo. La pila (fonte) è un piatto circolare di pietra a fondo piano, sulla quale ruota la macine, mossa per mezzo di una stanga, che vi è attaccata, o da un mulo, o da un bue [ ... ] A destra infondo è il torchio, e a sinistra il focolare, con una caldaia sul fuoco. La popolana vi porta la sua sacca di olive, una somella di legna, l'acqua per la caldaia e la minestra di fave, o fagioli e pane, formaggio e salame per spesare i fattoiani.,,39

I fattoiani erano coloro che gestivano il frantoio che spesso apparteneva a galantuomini. Infatti il Padula ci dice che nessun galantuomo si sentiva davvero proprietario se non possedeva almeno un trappeto.

"Si versano le olive nella pila, e' lavoro comincia".

Dei mulini ci viene detto che sorgono presso i fiumi vicino all'abitato e sono pochi e vecchi perché appartenevano già agli antichi baroni che "[ ... ] soli avevano il diritto di costruirne, questi occuparono lungo i

39 PADULA, Industrie terreni, cit. p 54.

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fiumi tutte le piazze ed ora quando anche per altrui si trovasse un punto buono ad edificarvi, i proprietari dei vecchi mulini gliene caverebbero di presente la voglia [ ... ] e lo costringerebbero a spingersi in una piazza cosi remota dall'abitato, che come mostra l'esperienza, non gli torna gran fatto conto l'edificarvi.,,  40

Altre terre nella montagna di Jacurso erano concesse al pascolo ad alcuni allevatori che, per ricambiare la concessione dell'erba, In occasione delle feste, portavano in casa di Enza qualche chilo di carne. Ma un po' di carne veniva anche comprata e consumata più spesso la domenica. Solitamente i piatti erano a base di verdure o legumi e si cucinava sempre perché non vi era modo di conservare i cibi, se non con il sale o con altri sistemi che hanno dato alla tradizione gastronomica calabrese numerose prelibatezze, che, nate dalla povertà, sono oggi apprezzate per la loro bontà. Inoltre Bettina aveva destinato un piècolo appezzamento di terra ad orto, e aiutata da tre garzoni, lo coltivava lei stessa. Si faceva aiutare da questi uomini che erano sempre gli stessi, perché erano gli unici che lei voleva, e lo coltivava per la famiglia.

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Ho chiesto ad Enza se ricordava com' era fatta la casa e devo dire che la sua famiglia era molto fortunata, perché gia in quegli anni possedeva più stanze. Al piano terra vi era un magazzino, mentre al secondo piano vi era la cucina e tre stanze da letto, ossia una per i genitori, una per il figlio maschio e una per le tre femmine. Nella stanza delle ragazze inizialmente vi erano solo i tre letti; in seguito il padre aveva costruito per loro tre comodini. La madre aveva un letto in ottone che suo marito aveva rotto, quando era stato morso dalla tarantola perché aveva ballato per cinque giorni, accompagnato dai musicisti guaritori.

In cucina vi era il caminetto, il forno e la fornacia, ossia un piano cottura a mo' di stufa che separava i cibi dal fuoco, e ciò evitava l'affumicazione dei pasti. Naturalmente erano in pochi a possederla. Alla parete, dove era collocato il caminetto, vi erano appese le pentole e tutti gli utensili da cucina. Ho detto che era una famiglia

fortunata perché, nonostante Enza mi abbia spiegato che anche chi stava bene aveva qualche difficoltà, comunque cosi male non stavano. Tra i loro vicini di casa vi era una famiglia composta da 8 figli più genitori che vivevano in una casa fatta di una sola stanza in cui si cucinava e si dormiva, e si teneva anche qualche animale. Fuori dalle porte veniva creato un manto di paglia che serviva ad assorbir~ l'urina che veniva vuotata davanti alle case, e quando la coperta era satura veniva raccolta e portata lontano. La miseria era tanta ed Enza ha ricordato la povertà della gente quasi commovendosi. I poveri morivano di fame, di tifo e i più piccoli morivano spesso per le scarse condizioni igieniche o per il freddo. In casa non c'era l'acqua, che arriverà solo nel 1970, ma in paese vi erano diverse fontane, e vi erano alcune donne che, per ottenere un pasto, trasportavano l'acqua, riempiendo "lu varrile", dalle fontane alle abitazioni. Loro che stavano bene si lavavano una volta al mese scaldando l'acqua al focolare. Naturalmente al mattino provvedevano a rinfrescarsi, ma l'igiene della persona per altri poteva rappresentare un lusso. La casa possedeva un'unica lampadina che veniva chiamata "luce a forfait" che, con un filo scorrevole, poteva essere spostata nelle diverse stanze. Ma questo era già tanto perché in paese erano poche le famiglie che l'avevano, e i più poveri usavano la "lumera", semplici lampade ad olio.

La povertà degli altri, come ho già detto, alimentava la solidarietà, infatti Enza ricorda che sua madre quando faceva il pane,ogni tre giorni, ne faceva sempre più del necessario e chiedeva alle figlie di portarlo a chi non ne aveva. Elisabetta aveva anche provveduto a fare la dote ad una nipote che non stava bene come loro, vendendo tutto l'oro ricevuto in dono dal suo sposo al momento del matrimonio. Inoltre al momento della costituzione del corredo, la mamma di Enza aveva ceduto alla nipote la sua "gunnesja" più bella, ossia il grembiule di velluto nero, che fa parte del vestito da "pacchiana", l'abito tradizionale calabrese. Chi poteva pensava anche agli altri e soprattutto con i propri garzoni e con le loro famiglie si creava un rapporto di fratellanza. Forse non tutti erano cosi generosi, ma in tutto

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il paese regnava un grande rapporto di buon vicinato, come se tutti gli abitanti facessero parte di una grande famiglia. Oggi questa solidarietà è rara, ma in qualche casa calabrese non si prepara mai qualcosa di speciale senza portarne una pietanza al vicino. Questo, spesso, era più di un amico e poteva succedere, come ad Enza, di voler cosi bene alla vicina di èasa, da decidere di diventare "comari". Questa era una pratica diffusa e veniva ufficializzata con un rito incentrato su uno scambio di regali, spesso dolciumi, in occasione di due ricorrenze. TI primo regalo avveniva nel giorno di San Pietro, e la comare scelta doveva ricambiare il dono nel giorno di San Giovanni, da qui appunto la dicitura farsi "lu san Giuanni", ossia scegliere una comare. Ho riscontrato questa usanza anche nella ricerca antropologica svolta da Maria Manicuci nel 1975, sulle strategie matrimoniali in una comunità che viene chiamata con la lettera Z, paesino in provincia di Catanzaro. L'autrice dice che qui:

" il comparaggio (avere il San Giovanni) si costituisce con il battesimo, soprattutto, con la cresima e più raramente con il matrimonio( compare, comare d'anello). Nessun tipo di comparaggio è ritenuto istituire rapporti di parentela.41

I termini compare e comare istituiscono una relazione tra i soggetti specifici e le loro famiglie.

I genitori di Bettina volevano darla in moglie ad un uomo di un paese vicino, Filadelfia, perché era un proprietario e maestro di musica. Ma la ragazza era già innamorata del bel falegname e la sera in cui il musicista era stato invitato per il fidanzamento, Elisabetta aveva visto davanti alla porta di casa il suo Francesco, e notando un guasto al bidone che conteneva l'acqua, aveva chiesto alla madre se poteva farlo riparare da Francesco. La madre aveva acconsentito e quando questo fu in casa Bettina lo informò di ciò che stava per accadere. Alla notizia Francesco cercò di trattenersi in casa e la mamma di Bettina lo invitò a mangiare con loro. Mentre cenavano il musicista si

41 M. MANICUCI, Strategie matrimoniali in una comunità calabrese Saggi Demoantropologici, Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 1981, p 50 segg

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accorse degli sguardi che i due si lanciavano ed il giovane non parlò più per tutta la cena e, uscito da quella casa, non si fece più vedere. Cosi Elisabetta potè sposare Francesco. I festeggiamenti per il loro matrimonio si tennero in casa dove Bettina in seguito ospiterà diversi banchetti di matrimonio, per i quali cucinerà lei stessa. Non tutte le case erano grandi da permettere un festeggiamento e per questo chi poteva metteva a disposizione la propria. Un'altra festa veniva fatta in occasione della prima promessa, durante la quale l'uomo consegnava l'oro che doveva comprare per la moglie, e la donna a sua volta consegnava la dote. Ricordo che non molti anni fa doveva trasferirsi vicino casa mia una coppia che doveva sposarsi e un giorno tornando a casa , avevo notato sul viale d'ingresso un addobbo floreale e tanti petali di fiori e confetti a terra. Pensavo che i due si fossero sposati, ma mia madre mi spiegò che, in passato, la consegna della dote era accompagnata da una processione di donne che con la futura sposa portavano nella nuova casa ogni bene. La sera prima del matrimonio le due suocere andavano insieme a preparare il letto degli sposi e il giorno dopo le nozze andavano a controllare se, sulle lenzuola, vi era la fatidica macchia di sangue che attestava la verginità della ragazza. Alcuni sostengono addirittura che queste venivano appese al balcone per rendere noto il responso. Ad ogni modo era meglio per la ragazza che il lenzuolo fosse macchiato, perché in caso contrario, oltre alle percosse della madre, correva anche il rischio di essere rinnegata dal neo marito. Vi era insomma una notevole intromissione dei genitori nella vita di coppia. Marito e moglie non uscivano mai insieme: la donna stava a casa o nella "ruga", davanti alla porta, il marito dopo il lavoro si recava nelle taverne a bere un po' di vino. Questo accomunava tutti gli uomini, che poi allegramente tornavano a casa, a volte nemmeno troppo allegri visto che spesso finivano per litigare e si arrivava ai coltelli o ai pugni. La mamma di Enza era una donna di polso e quando aveva visto il marito tornare a casa troppo ubriaco, lo aveva sempre lasciato fuori dalla porta.

Quando nacque Enza, suo padre andò a registrarla all'anagrafe comunale insieme ai suoi amici, appena uscito da una taverna e cosi

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fece scegliere un nome ad ogni suo amico, e cosi oggi il nome Enza è seguito, tra gli altri, da quello di Adua, in onore alla battaglia vinta dagli Mussolini.

Quando a Jacurso nasceva un bambino, le partorienti erano assistite dalla mammana, una vera e propria ostetrica arriverà solo più avanti. Alla neo mamma veniva dato del brodo di gallina perché si pensava che aiutasse nella produzione del latte. TI neonato veniva subito avvolto in fasce di stoffa prodotte al telaio, almeno fino al settimo mese, per far crescere la schiena dritta. Un po' come era d'uso nel Medioevo. Inoltre nella culla, ossia nel sacco in cui il bimbo era adagiato, si teneva un sacchetto rosso di stoffa che conteneva alcuni ingredienti contro il malocchio: palma benedetta, incenso e sale. Questa informazione mi è stata riferita da Vittoria, l'altra signora con cui ho parlato e tutto ciò mi ha fatto pensare ad un perfetto mix tra sacro e profano che viene utilizzato ancora oggi.

In casa era la moglie a tenere i soldi e a gestire le spese della famiglia e se qualcuno aveva bisogno di un vestito nuovo o di qualsiasi altra cosa era a lei che doveva chiedere e quando era possibile il vestito nuovo arrIvava. Bettina, come altre, si dilettava anche nell'allevamento del baco da seta. Aveva un piccolo magazzino destinato solo a quest' attività, anche se molte donne dovevano farlo nella stessa abitazione, e lo faceva per ottenere la seta da utilizzare per il corredo delle proprie figlie. Rispetto a questa pratica mi ha molto colpito vedere una coperta di seta su cui hanno lavorato quasi tutte le

() donne di questa famiglia. Bettina aveva, come al solito, fatto "lu siricu", allevato il baco, e aveva filato la seta che sua figlia Mariangela aveva utilizzato per tessere al telaio una coperta. Purtroppo Mariangela morì precocemente e questa coperta rimase da ricamare. Così Enza decise di prenderla in mano e ricamarla, e con l'aiuto di un pittore, che le indicava in che modo disporre i colori, ha ultimato la coperta con lo stile di un dipinto. Quando le doti furono pronte Bettina iniziò a vendere le sue creazioni.

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 Prima di andare avanti vorrei soffermarmi sulla vicenda del morso della taranta al padre di Enza, perché il tarantismo è un fenomeno strettamente legato alle caratteristiche socio-culturali della popolazione, quindi credo che l'argomento possa fornire ulteriori spunti di riflessione su quello che poteva essere il bagaglio culturale dei J acursesi.

" il tarantismo è l'effetto del morso di un animale, la taranta o tarantola, curato mediante un cerimoniale musicale, coreutico e cromatico.

La taranta, il morso, il veleno, l'avvelenamento, la musica, la danza, i colori, insomma crisi, cura, guarigione, costituiscono un sistema simbolico, un nesso culturale che, nella sua dinamica cerimoniale, assolve una funzione risolutrice, riequilibratrice e reintegratrice di conflitti, frustrazioni, traumi individuali e collettivi" .42

Chi veniva morso dalla tarantola, veniva guarito attraverso la danza e l'utilizzo di fazzoletti di stoffa dai colori arancione, verde, rosso ... e i musicisti dovevano inoltre determinare la musica idonea alla cura, perché a diversi tipi di tarantola, corrispondeva una melodia. In Puglia il rito veniva rinnovato nel giorno di San Paolo, il 28 e 29 giugno, in cui i famigliari conducevano il tarantolato in Chiesa per lo svolgimento del rituale.

Vi è un'ideologia del gruppo di appartenenza, che dà un giudizio, su un fenomeno che non riesce a spiegare, attraverso i propri strumenti culturali. Ecco perché il tarantismo è considerato un fenomeno storicamente determinato e legato ad un ambiente socio culturale. Anche Jacurso aveva fatto proprie queste spiegazioni e soprattutto possiamo avanzare l'ipotesi che anche qui gli strumenti culturali della gente erano simili a tal punto da far condividere queste teorie.

In Calabria il fenomeno è meno importante rispetto a quanto viene vissuto in Puglia. Il Salento è stato al centro di ricerche importanti sulI. argomento, proprio per la presenza fino ad epoca contemporanea di episodi di aracnidismo. Se oggi la danza della pizzica, o la tarantella vengono vissute come tradizioni folkloristiche, in passato

42 A. TURCHINI, Morso, morbo, morte. La tarantola tra cultura medica e terapia popolare, Milano, Franco Angeli Libri, 1987, p 15.

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queste riassumevano aspetti della cultura e della vita della gente del sud. Un misto di sacro e profano in occasione di un evento inspiegabile che esorcizzava e guariva dalle nevrosi collettive.

Se in Puglia questo rito è complesso e ricco di particolari, a Jacurso forse il fenomeno aveva perso un po' dei colori e di quella complessità, ma nella sostanza manteneva gli stessi valori.

La danza come tecnica di guarigione è volontaria, essendo evocata chiamando i suonatori e facendo suonare le musiche adatte a stimolare il ballo. La musica permette la reintegrazione risolutrice dopo una fase di sofferenza e contemporaneamente costituisce una sorta di penitenza svolta pubblicamente davanti alla comunità, e a San Paolo.

Il ballo rende il soggetto nuovamente accettabile dalla comunità che lo compatisce e lo comprende, giustificandolo per i suoi mali, per i suoi gesti e i suoi comportamenti, furori repressi che altrimenti avrebbero potuto sfociare in comportamenti antisociali.

Il soggetto accetta questa penitenza perché la considera voluta da San Paolo per liberarlo, quindi se il morso e la possessione sono riconducibili al ragno, è però il santo ad avere in mano la grazia dell'individuo. E' San Paolo a decidere della guarigione dell'uomo. "L'incertezza delle condizioni di vita, situazioni di rischio e di pericolo del raccolto, importantissimo per popolazioni a struttura agricola, determinano stati di depressione individuale e di angoscia collettiva che si proiettano in un animale nocivo alle campagne e ritenuto dai contadini venefico per le persone. Alla lotta con la taranta succede la vittoria che reintegra l'individuo colpito dal male, che riscatta una situazione critica collettiva. Ciò si ripete ad ogni inizio della fase culminante dell'annuale lavoro dei campi.,,43

Inoltre è stato ipotizzatd ~ la Chiesa sia intervenuta su questo complesso rituale, perché non riuscendo a sradicare il rito, lo ha pri vato dei suoi elementi magici cristianizzandolo e compendiandolo nella cappella di San Paolo a Galatina dove, il 28 e il 29 giugno, convergono i taratati.

43Ivi, P 20.

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Cosi se alcuni mali erano riconducibili a certi santi, veniva in tal modo garantita la rispettiva devozione.

li tarantismo può quindi essere considerato come

"un insieme di comportamenti e ideologie che in quanto tradizionali sono sempre indotti, cioè mediati dall' ambiente culturale, ma in quanto fenomeni isterici e nevrotici hanno le loro radici in una storia personale di sofferenze e di frustrazioni."

Nello specifico, credo che il padre di Enza non avesse nessuna frustrazione da sfogare, e inoltre non era un contadino e non era stato morso durante la mietitura. Ugualmente era profonda la convizione che quel tipo di rito era necessario alla guarigione. Ciò vuoI dire che tutto questo faceva ancora parte, in quegli anni, della cultura della comunità di Jacurso. Se il rito si era svuotato di alcuni dei suoi significati, certamente il mantenimento di questo tipo di cura esprime comunque il modo in cui un popolo pensava e si rapportava agli eventi dell'esistenza. Analizzando meglio certe pratiche quindi emergerebbero certamente aspetti importanti della cultura meridionale.

Ernesto De Martino in occasione di un'intervista diceva:

"Molto probabilmente si dirà che, da un punto di vista pratico, queste ricerche di storia religiosa del Sud sono inutili perché si tratta di fenomeni che scompariranno da sé in breve volger di tempo, travolti dalla civiltà moderna. Ma troppe cose, nel nostro Sud, muoiono da sé, senza che la coscienza e la ragione ne avvertano in termini di trasformazione le pungenti contraddizioni. lo credo che il significato pratico di ricerche di questo genere sia nella presa di coscienza che ne deriva, e nella nuova sensibilità meridionalistica che ne risulta.,,44

Se negli anni ' 50 il De Martino si poneva questo problema, ossia la scomparsa di aspetti della storia del Sud, mi viene da pensare che forse oggi molto sia già andato perso. Eccezion fatta per alcune poche e più importanti realtà, si può dire che in molti dei piccoli e piccolissimi paesi della Calabria certi aspetti della propria storia

44E. DE MARTINO, in IA.TURCHINI, IMorso, morbo,morte. La tarantola tra cultura med~opolare,'Milano, Franco Angeli Libri, 1987.

 

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rimangono solo nel ricordo di poche persone, senza cne nessunu auuU1 l'interesse di conoscerle.

Oltre che con Enza, ho voluto fare una chiacchierata anche con Vittoria, detta Vittorina, incuriosita dal fatto che ancora oggi, all'età di 82 anni, lavora con il suo telaio di legno, oltre a dedicarsi alla campagna.

Forse questo racconto, come i seguenti, risulterà meno ricco di particolari rispetto a quello di Enza, ma è pur sempre una testimonianza.

I genitori di Vittoria si erano sposati nel 1905, lui all'età di 23 anni, lei all'età di 25. Lei indossava l'abito bianco, segno che la famiglia aveva potuto comprarlo perché chi non poteva, si sposava con il vestito tradizionale, che comunque veniva comprato dalla famiglia della sposa, mentre lo sposo, come ho già detto, acquistava l'oro per la sposa.

TI primo figlio nato alla coppia, muore alla nascita, il secondo nasce nel 1913 e muore all'età di 32 anni per morte improvvisa. Nel 1922 nasce il terzo figlio Alessio e nel 1924 nasce Vittoria. Come tradizione vuole, a questi due figli vengono dati i nomi dei nonni. Questa famiglia viveva nella casa che la nonna materna di Vittoria aveva lasciato a sua figlia ed era composta da due stanze: in una si cucinava e si tenevano le galline, e nell'altra si dormiva.

Nella cucina c'era un caminetto, una cassa, e gli scaffali ricavati nei muri. Sul soffitto veniva fissata una sorta di mensola di legno, sulla quale veniva tenuto il pane che la madre di Vittoria faceva ogni dieci giorni. Anche loro davano un po' del loro pane a chi non ne aveva e Vittoria mi ha detto che i "pezzari", cosi erano chiamati, venivano soprattutto da Polia, una frazione di montagna. Questi bussavano alle porte delle case chiedendo un pezzo di pane e ricevevano quelle che erano chiamate le "pittelle della votatura". Le persone povere andavano anche in giro per le campagne a raccogliere ciò che gli altri lasciavano, come, ad esempio, le olive che ormai erano andate a male, lasciate al suolo. Essenzialmente questi poveri erano vagabondi o

 

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ubriaconi o persone che non avevano nulla, ma proprio nulla di che vivere. A Jacurso fino a non troppi anni fa, a Natale, i bambini usci vano per le strade bussando alle porte delle case, chiedendo "la strina", qualche dono che la loro famiglia non poteva permettersi. Una sorta di Halloween fatta di canti ben auguranti per chi faceva un dono, e di malaugurio per chi sgridava i bambini e li mandava via. Alcune strofe dicevano:

"fammi la strina chi mi su ali fare (fammi la strenna che mi fai di solito)

Ca de lu friddu non si po campare .. (perché dal freddo non si può vivere)

Amminzu sta casa pende na catina sta figghia mu la vi una regina (in questa casa pende un gioiello, mi auguro che tua figlia diventi una regina)

Ammianzu sta casa pende nu zuppune stu figghiu mu lu viu nu barone ( in questa casa pende un ceppo di legno, vedremo tuo figlio barone) Fammi la strina e fammela de nuci stanotte mu ti portanu li cruci. ( se mi fai la strina di noci stanotte morirai)

Anche Vittoria ricorda inoltre che in paese capitava che vemssero trovati dei bambini abbandonati, che qualcuno poi registrava al Comune, e molto spesso venivano portati alla Ruota a Nicastro. Vittoria non ha saputo spiegare bene cosa era questa struttura ma sostiene che si trattava di un luogo di religiosi.

Altri bambini invece morivano spesso per malattie viscerali.

Fino agli anni Trenta la casa di Vittoria era illuminata con i lumi a petrolio, poi anche loro avevano avuto la luce a forfait.

Anche Vittoria da bambina andava a prendere l'acqua a Castanò, la fontana che ora si trova proprio nel centro del paese.

Tra gli svariati utilizzi dell'acqua, vi era ovviamente anche quella del bucato. Ho chiesto a Vittoria se anche in quegli anni utilizzavano il sapone ottenuto con il grasso del maiale, che si fa ancora oggi. Lei ha risposto che quando era bambina si produceva poco sapone, perché il grasso serviva, anche per cucinare e quindi il bucato veniva fatto preparando la "lissìa". I panni venivano bolliti in acqua e poi

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venivano piegati e adagiati in una cesta di vimini. Sul cumulo di panni veniva versato un composto di acqua calda con le ceneri più chiare del camino. Sia Enza che Vittoria mi hanno garantito che i vestiti risultavano puliti e profumati.

La madre di Vittoria era una tessitrice, ossia lavorava al telaio, creando coperte e lenzuola, asciugamani per chi ne faceva richiesta, soprattutto per gente di Jacurso e a volte per persone dei paesi vicini. Ogni canna di lavoro, ossia ogni due metri tessuti, guadagnava una lira, o riceveva qualche prodotto alimentare, mentre il cotone, la seta, il lino o la ginostra, veniva fornita da chi richiedeva il lavoro.

I guadagni di quest' attività permettevano alla donna di non dedicarsi ad altri lavori, se non a quelli per la sua famiglia.

Il nonno materno di Vittoria era un boscaiolo e proveniva da Reggio Calabria.

Anche Enza mi ha detto che la sua famiglia vendeva il bosco ad alcuni boscaioli che provenivano da Reggio e questi soggiornavano a Jacurso per tutto il periodo del lavoro, prendendo case in affitto.

TI padre di Vittoria era affittuario di un terreno nel comune di Maida e qui vi coltivava grano, granoturco, e legumi. Inoltre lavorava "alla giornata" dove c'era lavoro.

Tutto ciò era stato reso possibile dai risparmi che aveva potuto accantonare, andando in America a lavorare per sei anni. Nel raccontare Vittoria ha distinto l'Argentina, "America mala", dalla "America bona" (Nord) dove il padre era riuscito a lavorare.

Vittoria ricorda che quando lei era piccola, le famiglie proprietarie di Jacurso erano i Maiolo, i Serratore e i Dattilo.

La madre di Vittoria si faceva aiutare da questa nella gestione dei fili durante la tessitura e cosi anche Vittoria, guardando aveva potuto apprendere l'arte. Quando Vittoria aveva 13 anni, sua madre morì e cosi lei rilevò il telaio di legno e iniziò a lavorare. lo e Vittoria abbiamo fatto un rapido calcolo e abbiamo capito che il telaio che ancora lei possiede, e che apparteneva a sua madre, ha più di cento anni. TI suo nonno boscaiolo lo aveva costruito per sua figlia insieme ad altri quattro per le sue sorelle, preservando il legname migliore che

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recuperava con il suo lavoro. Di tutte le sue figlie, solo la madre di Vittoria era divenuta una tessitrice, e solo Vittorina ha proseguito il lavoro di sua madre.

Anche in questa famiglia i soldi erano gestiti dalla moglie ed era lei che decideva per le spese da fare. Molti degli acquisti venivano fatti a Maida, mentre le scarpe ad esempio venivano acquistate dai calzolai Jacursesl.

Vittoria mi ha riferito che gli anni della II Guerra Mondiale erano stati molto difficili perché la gente aveva già poco e in quel periodo quel poco divenne nulla ed andava inoltre a rispettare gli apporti richiesti da Mussolini per contribuire al conflitto. La gente cercava di nascondere il grano per versarne poco all' "ammassu", l'ufficio del Comune dove le quote di grano venivano raccolte.

Il padre di Enza ad esempio aveva costruito un nascondiglio murato in cui aveva riposto i loro averi per non dichiararli. Veniva richiesto anche il rame e quindi si nascondevano anche le "coddare" i grandi pentoloni che servivano per la preparazione dei prodotti del maiale e per altre faccende domestiche.

Dopo la guerra, nel 1958, anche Vittoria, all'età di 34 anni, si sposò portando in dote la casa, perché la tradizione assegnava alla donna !'immobile e all'uomo la terra.

I festeggiamenti si erano tenuti nella casa di "Donna Giovanna" e negli otto giorni precedenti il matrimonio, erano stati preparati dolci e biscotti per il banchetto.

I genitori erano felici del matrimonio perché era un bravo ragazzo e possedeva una vigna nel territorio di Maida e questo poteva bastare a far vivere bene la loro figlia.

Non è stato molto semplice gestire queste interviste perché ho avuto davanti persone anziane che nel raccontare confondono e che, per quanto siano state disponibili, erano comunque più o meno titubanti a raccontarmi aspetti della loro vita di famiglia.

Quando successivamente ho iniziato a scrivere le loro storie, tante altre domande mi sono venute alla mente e sono certa che se avessi

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potuto parlare ancora con loro, sarebbero emerse altre storie molto interessanti. Quel poco che sono riuscita a fare è stato comunque interessante e capace di raccontare qualcosa della vita della gente, per questo lo riporto in questo lavoro.

Durante una chiacchierata con un'altra signora di Jacurso, Angela, 85 anni, ho ascoltato una figlia parlare del padre partito nel 1922 per l'Argentina e morto, nel 1931, in quella che Vittoria ha chiamato "America mala" senza rivedere la sua famiglia. La madre di Angela dovette darsi da fare per allevare tre figli. Questi vivevano in una casa con una sola stanza dove si cucinava e si dormiva, quattro persone in due letti. Il pane era di granoturco e la madre di Angela lo faceva ogni 8 o 15 giorni, nel forno che avevano in casa.

Solo dopo la II Guerra Mondiale, le cose iniziarono a migliorare e con il suo lavoro, la madre di Angela era riuscita ad acquistare un terreno che coltivava per la sua famiglia dando anche occupazione a qualche garzone.

Anche Antonio, che oggi ha 82 anni, da bambino viveva in una casa di 12 metri per 4, in un'unica stanza senza pavimentazione, che ospitava criceti e galline oltre ai due letti, al forno e al caminetto.

I genitori erano contadini si erano sposati nel 1923 e avevano avuto cinque figli maschi. Successivamente erano divenuti coloni di una masseria che si trovava un po' fuori dal paese. TI padre di Antonio aveva anche un piccolo appezzamento di terra in montagna ma non rifiutava certamente il lavoro giornaliero presso le terre degli altri. Antonio mi ha detto che suo padre partiva da casa con le scarpe in spalla e camminava a piedi nudi per non consumarle, e a volte camminava tanto perché si andava a lavorare anche a Maida.

Nelle terre della masseria coltivavano granoturco e legumi. Essi possedevano qualche pecora e da queste nascevano i piccoli che venivano venduti alle fiere che si tenevano in giro per la Calabria. Inoltre si otteneva la lana che veniva utilizzata per fare vestiti, oltre ai formaggi.

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Attraverso questi racconti ho potuto capire che a Jacurso, come in altri paesi della Calabria, la gente non viveva nella ricchezza, o almeno non tutti perché certamente vi erano famiglie a cui non solo non mancava niente ma avevano anche più del necessario per vivere. La maggior parte delle famiglie invece doveva lavorare sodo e credo che questo le abbia portate a sviluppare con una certa creatività ma anche con fatica le cose necessarie a vivere.

      Seguirà la pubblicazione del  capitolo 4

4 Piccolo contributo documentario: dai registri del comune di Jacurso 1810,1820,1830

Il mio discorso predilige la popolazione contadina piuttosto che quella nobile o borghese, perchè questa è pari al 50/70% del totale. Anche dall' analisi dei registri comunali di Jacurso emerge che la maggior parte degli uomini erano "di professione bracciale". Quindi impiegati nell'agricoltura, non tutti contadini possidenti, ma prestatori delle proprie braccia per il lavoro nelle terre dei grandi proprietari terrieri aristocratici e borghesi. Nel corso dell'età moderna questa è una figura prevalente, il "bracciale", contadino salariato che integra i proventi derivanti dal possesso di piccolissimi appezzamenti di terra, insufficienti al sostentamento della famiglia. Un'economia essenzialmente basata sull'agricoltura ma con diversi sistemi di conduzione della terra, e dove a tali diversi sistemi corrispondono diversi meccanismi demografici.45 A proposito delle tre variabili che stanno alla base delle differenze tra strutture famigliari del Nord e del Sud, possiamo dire che in ampia parte del Mezzogiorno, per tutta l'età moderna, la forma prevalente di gestione della terra era il latifondo. TI rapporto che si veniva ad instaurare tra proprietario e salariato risultava individuale e precario, tale da non legare il bracciante alla terra. Questi, diversamente dal mezzadro, non solo non risiede sul fondo, ma nella stagione favorevole cambia spesso proprietario. Per il bracciante meridionale, privo di un' azienda agricola da condurre, la presenza di altri congiunti nell'aggregato domestico equivaleva ad un

45 G. DELILLE, Agricoltura e demografia nel Regno di Napoli nei secoli XVIII e XIX, Napoli, Guida editori, 1977.

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