Ciccarì
Racconti Brevi
Tarallo Francesco detto Ciccarì
Visita del re Vittorio Emanuele III a Catanzaro.
Tarallo Francesco chiamato da tutti Ciccarì, era un bambino come tutti gli altri in paese, condivideva con gli altri bambini la povertà, l'allegria dell'età e la mancanza di fantasia.
Era un periodo grigio e Ciccarello aveva la fantasia grigia del tempo in cui viveva.
Il sabato fascista sul Timpone si facevano le adunate paramilitari e lui non poteva andare perché non aveva la divisa.
A scuola ci andava per altri motivi un giorno si e 10 no.
Il padre lo portava con se a farsi aiutare. In famiglia avevano il mulo e con quello, con il lavoro del mulo, la famiglia andava avanti. Sapeva come caricare e scaricare pesi dal dorso del mulo e la notte quando si coricava stanco non aveva tempo nemmeno per sognare, figuriamoci se aveva fantasie.
Nel 1942 la locale sezione del fascio venne scelta dal federale di Catanzaro per rappresentare con una delegazione numerosa la fascia della popolazione fascista che dai comuni di Curinga porta a Cortale .
Il segretario del fascio, il maestro Pensabene un uomo grigio, pericolosamente grigio, (minacciava continuamente di dare purghe ai facinorosi antifascisti e si sussurrava che l'avesse anche dato), che non aveva potuto fare il soldato perché era alto un metro e cinquanta, ma che invece con la divisa del fascio faceva un figurone, riunì gli 'alti' dirigenti e nell'esprimere contentezza per la 'fortuna' che aveva avuto la sezione di Jacurso, si adoperarono a stilare un elenco che comprendesse tutta la componente maschile e femminile di tutti gli iscritti (tutto il paese era fascista tranne uno che ogni volta che si faceva una manifestazione, due giorni prima della stessa veniva prelevato dai militi e chiuso in una cella del comune sotto strettissima sorveglianza). Le massaie rurali, i balilla , i figli della lupa , e chi più ne ha più ne metta furono avvertiti della fortuna loro capitata e fu data grande pubblicità alla cosa e provvidero anche ad avvertire tutta la popolazione interessata che per non commettere 'ingiustizie' considerato che tutti avrebbero voluto partecipare a una simile grandiosa manifestazione avrebbero scelto le persone con un pubblico sorteggio. Il sorteggio fu fatto con tutti i crismi della regolarità e
quaranta persone furono estratte a sorte e agli interessati maggiorenni fu comunicato a voce, per quelli minorenni furono avvisate le famiglie per il giorno e per quell'ora dovevano essere pronti per andare alla sfilata a Catanzaro davanti alla tribuna delle massime autorità alla presenza del Re Vittorio Emanuele III Re d'Italia.
Nell'elenco dei sorteggiati tra gli altri “fortunati” c'era anche Tarallo Francesco detto Cicco.
La comunicazione fu fatta al padre e questi dovette impegnarsi a trovare per il figlio una divisa da Balilla perché lui i soldi per fargliela cucire non ce l'aveva.
A Ciccarello il padre senza molto entusiasmo disse che doveva prepararsi per andare a vedere il re.
Ciccarello ebbe per la prima volta Fantasia.
Incominciò a pensare al re.
E la notte riusciva anche a ritagliare un po' di tempo per sognarlo.
Ma non ne parlò con nessuno.
La mattina che si doveva andare a Catanzaro la madre gli fece indossare il costume di Balilla e lo accompagnò alla corriera affittata per l'occasione dal segretario Don Ciccio Pensabene.
Fu in quella occasione che vide signore vestite non da pacchiana belle e profumate.
I gerarchi nella loro divisa nera sembravano invece degli uccelli di malaugurio.
Ciccarello in un angolo della corriera si eccitò solo per quello che vedeva. La corriera correva come non aveva mai visto e cosa ancora più bella scoprì che le case e gli alberi ...camminavano e a volte anche correvano. E questo fatto gli sembrava una magaria dovuta forse alla sua fantasia.
Chiudeva gli occhi, li riapriva e quella casa sulla destra della strada camminava. Gli girava la testa per l'emozione, ma, per paura di fare la figura dell'ignorante, non si meravigliò e non chiese perché gli alberi e le case camminavano . Si godeva lo spettacolo in silenzio e nessuna emozione traspariva sul suo viso già vecchio.
In paese la giornata passò tranquilla.
Le persone continuavano la loro battaglia, non sempre vittoriosa, per poter mangiare e al tramonto la corriera strombazzando e rumoreggiando arrivò in paese.
Tutti se ne tornarono alle loro case e Ciccarello imbalsamato in quella divisa che a lui non piaceva, ancora stordito per quelle case che camminavano, in modo svogliato tornò a casa. I ragazzi della sua età erano molto orgogliosi di essere andati a vedere il re e trasmettevano questo orgoglio schiamazzando e ridendo. I gerarchi con il petto gonfio scesero anche loro dalla corriera e sul loro volto c'era soddisfazione per il modo corretto ed educato della partecipazione dei balilla, la futura classe dirigente, alla sfilata.
Erano entrati in punta di piedi anche loro nella Storia e questo li rendeva orgogliosi fino al parossismo.
Allinearono tutti i viaggiatori e il segretario Don Ciccio li fece mettere sull'attenti e con voce stentorea gridò tre volte : “per il Duce” risposta in coro “ Eia eia alalà”. A voce ancora alta gridò- sciogliete la riga.
E ognuno prese la via di casa.
Ciccarello non era atteso da nessuno, il padre stanco per il lavoro si era seduto al focolare dopo aver consumato il solito piatto di verdure senza olio accompagnato da pane de 'ndiano, e si era appisolato.
La giornata era stata faticosa più del solito perché aveva dovuto fare il lavoro da solo. Il sonno era profondo e russava.
Ciccarello tornando a casa, continuò ad avere negli occhi le case e gli alberi che camminavano e l'aria fresca che entrava dai finestrini del postale che don Ciccio chiamava , non sapeva perché lo chiamasse, corriera - non aveva una faccia allegra come gli altri suoi camerati.
La madre non si preoccupò eccessivamente del muso lungo del figlio. Era abituata ai suoi silenzi e non ebbe nemmeno la curiosità di sapere. La curiosità non aiutava a fare. Era un lusso che non si poteva permettere, anche se era gratis.
Gli tolse la divisa gli preparò il solito piatto con la verdura in un angolo della vecchia tavola gli mise vicino la lumera e lo lasciò mangiare.
Il padre alla rumorata del piatto con la forchetta si svegliò di soprassalto si stiracchiò, sbadigliò e senza guardare Ciccu aprì la bocca e chiese allegro:
”Ciccarì lu vidisti lu rrè?”
Non ci fu risposta da parte di Ciccu. Pensando non avesse sentito, gli uscì la seconda domanda: “Ciccarì com'era lu rrè?”
Con la bocca piena della stessa verdura che lui aveva mangiato qualche ora prima il figlio nauseato rispose:
“ oh tà, avia la testa de cristianu”.
Il padre non commentò.
Si alzò dal ceppo dove era seduto e strascicando le scarpe si avviò a dormire sul saccone di spojjiuli.
Dopo aver ingoiato l'ultimo boccone Ciccarello spense la lumera e andò a letto e quello spazio di fantasia acceso sulla figura del re venne spento definitivamente e sognò il mulo e i carichi che lui doveva aiutare a mettere o a togliere dalle sue spalle.
In paese nessuno riuscì mai a sapere come Ciccarello avesse immaginato il re.