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Lorenzo Calogero

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Lorenzo Calogero

Il 25 marzo 1961 moriva Lorenzo Calogero, nato il 28 maggio 1910 a Melicuccà, in provincia di Reggio Calabria. Medico e Poeta . Sul finire degli anni quaranta Medico Condotto  a Jacurso . L’Associazioe Kalokrio e il Sito jacursoonline , a sessantaquattro anni dalla morte , vuole ancora ricordare questo figlio del meridione che , dopo anni di oblio, viene riconosciuto essere stato Poeta tra i più grandi del Novecento.

 

 

Il 25 marzo 1961 viene trovato morto  nella sua abitazione . Presumibilmente ,però, il decesso risale al 21 marzo perchè l'ultima volta che lo hanno incontrato risale a tre giorni prima.

Il Prof. Filippo D’Andrea , a Jacurso per un evento, non mancò di ricordare il Dott. Calogero con la stessa intensità riconosciuta  a Francesco Costabile , poeta della sua Sambiase.

Sono loro i due testimoni della Calabria perduta, abbandonata, colma di tenerezza come appunto appare nella composizione  "La rosa nel bicchiere " di Costabile, traboccante di disperazione. Testimoni della marginalità e del dolore particolare, i due poeti consacrarono nella poesia e nel suicidio l’appartenenza viscerale alla terra e la condivisione del suo destino. Concludeva sottolineando  che “Anche un poeta morto suicida può rappresentare una memoria di futuro per la Calabria e, in generale, per il Meridione d’Italia”.

L’Associazione kalokrio e il Sito jacursoonline , a sessantaquattro anni dalla morte  di Lorenzo Calogero , Medico Condotto anche a Jacurso ,vuole ricordare questo figlio del meridione che ,dopo anni di oblio, viene riconosciuto essere  stato tra i più grandi del Novecento.

Anche quest’anno si era dunque  nel proposito per un evento commemorativo in memoria di quest’uomo così  celebrato in altri  comuni calabresi. Riconoscendo però le difficoltà del momento  nonché le condizioni necessarie per concretizzare l’evento ,ci si è affidati ad un miglior  proponimento futuro ritenendo bastevole l’attenzione e il ricordo profuso tra coloro che hanno contribuito a raccontare Jacurso e quanti , nativi o cittadini occasionali hanno saputo lasciare l'impronta del loro passaggio .

Come in ogni luogo anche nel minuscolo Jacurso nacquero, vissero o semplicemente soggiornarono persone  e personaggi famosi nell’ambito locale , a volte provinciale, che hanno lasciato un’impronta indelebile . Andando a spasso per il centro storico è facile passare ,senza neanche rendersene conto, davanti alla casa di….Davanti al Palazzo di ….nel luogo dove successe…

Fermarsi e guardare indietro. Ogni tanto andrebbe  fatto. Ricordarsi di chi siamo, da dove veniamo , capire lo sforzo di chi ha camminato sulla nostra strada prima di noi. Capirne i perché . Tutto questo per dare anche senso a quello che si fa oggi per tenere la rotta giusta.

Al Medico Poeta di Melicuccà  un filo di ricordo e di appartenenza continuerà perciò tenerlo ancorato a  questo nostro piccolo Jacurso che lo accettò tra la sua gente nella seconda parte degli anni quaranta quando il Medico Poeta ,arriva  da Melicuccà per ricoprire la Condotta Medica . Diciamo la verità .Era solo arrivato il Medico- «Io sono uno strano mendicante che chiede amore e parole, sono un solitario emigrante verso le terre della luce e del sole» osava dire

Estraniato dalla politica del tempo e interessato a osservare ,ad ascoltare  e riflettere , ebbe modo di osservare la realtà di questo  abitato e della sua gente , a trascorrere notti insonni o giornate  legate nel travaglio del suo pensare. - «Io sono uno strano mendicante che chiede amore e parole, sono un solitario emigrante verso le terre della luce e del sole».

Sarà infatti medico a Jacurso sebbene per un periodo non troppo lungo come succederà negli altri pochi Comuni dove andrà per via della sua Patofobia che presumibilmente lo condurrà alla decisione estrema.


Lorenzo Calogero, «lo strano mendicante che chiede amore e parole»

Cappotto pendulo e cappello inclinato sul capo, cravatta con righe oblique, occhiali con gli angoli smussati e quella valigia stretta nella mano destra, così lo si ricorda.

 

Il poeta Lorenzo Calogero, viaggiatore in cerca di parole nel tempo -

«Io sono uno strano mendicante che chiede amore e parole, sono un solitario emigrante "

Penna di liriche vibranti, fu poeta apprezzato soltanto dopo la morte, complici l’isolamento dovuto alla geografia fisica del luogo natio e a quella interiore della sua anima inquieta, che molta disponibilità all’ascolto richiedeva.

«Frammenti di vita / buttati così a caso / sulle liquide onde / fra terreni disseminati di pietra/ sono le mie poesie (…) ».

Rifiutato dalle case editrici e ignorato dalla critica in vita, Lorenzo Giovanni Antonio Calogero, terzo di sei figli, medico con la vocazione poetica, nacque e morì a Melicuccà, oggi nel territorio metropolitano di Reggio Calabria, il 28 maggio 1910 ed il 22 marzo 1961, giorno in cui si tolse la vita (il suo corpo fu trovato dopo tre giorni).

Tra il suo lasciare il luogo natio per studiare a Bagnara, a Reggio Calabria e a Napoli, e il suo tornare a casa vinto dalla nostalgia per la madre, si dipanava il suo esistere, sotteso all’opera ininterrotta della sua poesia. Un moto perpetuo di parole pesanti e pensanti mosso da istinti ponderosi e poderosi che lo spingevano a tornare ai suoi luoghi, quando era lontano, e a fuggire da essi, quando lì si trovava.

Un’inquietudine irriducibile per la quale le parole non erano mai abbastanza. Il poeta per antonomasia che per le parole e la loro ricerca nutrì un amore sconfinato.

Negletto e spaurito, Calogero si sentiva un pessimo uomo, capace di un unico meraviglioso dono per uomini: la Poesia. Grande nella sua fragilità, che instancabilmente esplorava, scrivendo con urgenza di amore, morte ed eternità come fossero impalpabili, inscindibili e perennemente inafferrabili, Calogero cercava e scriveva, scriveva e cercava in un incessante andare per anni oscuri, senza amici e senza complici.

Solo dal decennio successivo alla sua morte, egli cominciò ad essere conosciuto. Celebre l’articolo pubblicato sul Corriere della Sera a firma di Eugenio Montale, vincitore nel 1975 del Nobel per la Letteratura

 

Accostarsi alla sua poesia è un’ardua impresa perché in lui la parola è del tutto spogliata del suo contenuto semantico e ridotta a semplice segno(...).

Fu dotato di uno reale temperamento poetico ed è quindi da escludersi un abbaglio da parte di coloro che oggi vogliono rendergli l’onore che gli fu negato in vita. Egli non scriveva la sua poesia, la viveva in un modo del tutto fisico e per lui l’attesa era qualcosa di inimmaginabile. Se avesse potuto distaccarsi almeno per un attimo dai suoi versi, sarebbe ancora vivo", scrisse Eugenio Montale.

Lorenzo Calogero fu molto legato alla madre, Maria Giuseppa Cardone con cui, durante la sua vita travagliata, intrattenne una lunga ed intensa corrispondenza. Completati gli studi a Reggio Calabria, iniziò l’università di Medicina a Napoli per poi tornare, per motivi economici in Calabria dove studiò ma soprattutto lesse e scrisse poesie.

Questo fu il periodo delle raccolte "25 Poesie", "Poco suono" e "Parole del Tempo".

Gli anni Trenta furono appunto gli anni della prima pubblicazione a sue spese (“Poco suono”, edizione Centauro, Milano, 1936), gli anni dell’abilitazione ad una professione medica che “vive come se scrivesse versi” e che esercitò anche in Calabria, gli anni dei malesseri sempre più frequenti culminati nel 1942 con il primo tentativo di suicidio.

Nel ’37 Lorenzo Calogero consegue la laurea in Medicina e ottiene a Siena l’abilitazione alla professione che, dopo nuovi tentennamenti, inizia a esercitare in Calabria: prima nella natia Melicuccà, poi, sempre per parentesi brevi o brevissime, in numerosi paesi come Sellia Marina, Gimigliano, Zagarise, Jacurso e San Pietro Apostolo.

poco suono giunge

al mio orecchio assorto

ad ascoltare l’eterno

che come un angelo passa

 

I Quaderni scritti a Villa Nuccia

L’ombra della morte è visibile in tutte le sue raccolte poetiche :                                                       da Poco suono a  Perpendicolarmente a vuoto a I quaderni di Villa Nuccia.


Ma c’è un altro elemento a legare i due ambiti poetici, la cosmicità, l’oltre il mondo materiale, la sete di infinito ed invisibile. Il tema della morte è centrale specie ne I quaderni di Villa Nuccia:

“Lo sussurravano, lo bisbigliavano talvolta i morti in una luce che li abbaglia.”

Qui l’accostamento della morte alla luce è davvero straordinario e così rapido da lasciare senza fiato.

Oppure: “Com’è  dolce e lieve il cielo dei morti”.

Vicino al suo corpo il 25 marzo del ’61 viene trovato Inno alla morte, che è forse la sua ultima composizione.

Gli anni Quaranta furono quelli della fidanzamento con la studentessa di Reggio Calabria, Graziella, poi rotto definitivamente, nonostante i suoi tentativi per ricucire. Continuò a scrivere e ad interpellare le case editrici, ma senza successo. Scrisse in pochi giorni “Avaro nel tuo pensiero”, rimasto inedito fino al 2014, quando fu pubblicato con i caratteri della Donzelli, nell’ambito del progetto “Recupero del patrimonio letterario di Lorenzo Calogero”, finanziato con il Por Calabria e realizzato dal dipartimento di Filologia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria.

Nel 1955 da Siena Calogero fece ritorno nella natia Melicuccà. Le nevrosi peggioravano e così andò incontro al primo ricovero a Villa Nuccia, struttura sita a Gagliano di Catanzaro. Nel 1956 il secondo ricovero, la morte della madre (il 9 settembre) e un secondo tentativo di suicidio.

Chiedeva di non essere sotterrato vivo nel biglietto trovato accanto al suo corpo in casa a Melicuccà, il 25 marzo 1961.

Ad essere stato sotterrato è stato solo il suo corpo già esanime e ad essere ancora viva, sempre più viva, dopo anni di imperdonabile oblio, è la sua poesia. Dunque, un soffio di quiete potrebbe averlo lambito.

‘Con la sua poesia, ci ha diminuiti tutti’, scriveva Giuseppe Ungaretti, ma quanti hanno conosciuto e amato le liriche calogeriane hanno in molti modi, invece, testimoniato come e quanto Lorenzo Calogero, con la sua poesia, ci abbia illuminato.

Mangia pochissimo, sostenendosi con sonniferi, sigarette, caffè. Nella stanza residui  del macinato fuori dalla macchinetta e cicche della sigaretta consumata sino all’estremo.

Oramai divorato dai suoi demoni, in un primo momento Calogero non accetta l’invito ed è soltanto grazie all’intervento dell’amico Sinisgalli che decide di presentarsi alla cerimonia. La serata, però, è un colpo allo stomaco per chi vi assiste. Minato nella salute e incapace financo di camminare con fluidità, Lorenzo Calogero viene praticamente trascinato sul palco e ritira senza un sorriso il riconoscimento.

L’episodio ricalca i contorni della premiazione di Cesare Pavese al Premio Strega 1950, consegnatogli sessantaquattro giorni prima del suicidio nella notte tra il 26 e il 27 agosto. “Tornato da Roma, da un pezzo. A Roma, apoteosi. E con questo? Ci siamo. Tutto crolla.” Queste le meste parole dello scrittore langhetto qualche giorno dopo la vittoria.

«Mi cugghjuniàru».

Questa la colorita ma tetra risposta, in dialetto calabrese, di Lorenzo Calogero a un compaesano che gli aveva chiesto come fosse andata al Premio Villa San Giovanni.

La Morte di Lorenzo Calogero


E quel che mi rimane

è un poco di turbine lento di ossa

in questo orribile viavai

dove è alzato anche

un palco alla morte.


Abbandonato da tutti, al termine del 1960 si ritira in solitudine nella dimora di Melicuccà riempendo le sue giornate di innumerevoli cuccume di caffè, manate di sigarette e boccette di sonniferi.

Gli ultimi anni del poeta sono segnati dai continui ricoveri e susseguenti fughe da Villa Nuccia.

Qui l’inquietudine di una vita cessa, quando il 25 marzo 1961 è trovato morto. Le circostanze del decesso di Lorenzo Calogero non sono state mai chiarite. Con buone probabilità si era tolto la vita da almeno tre giorni con un sovradosaggio di barbiturici, altro episodio che ne paragona la parabola esistenziale a quella di Pavese. Un ultimo punto in comune con lo scrittore de La luna e i falò è il biglietto d’addio che, all’apparenza semplice ma pregno di delirio, arrendevolezza, distacco, apprensione,

Melicuccà oggi ricorda il suo insigne figlio con una via e un monumento, sito lungo la principale via Roma, dell’artista scillese Carmine Pirrotta. L’opera (datata 1966) è stata finanziata con fondi degli emigrati d’Australia e commissionata dal Circolo culturale Lorenzo Calogero

Anche quest’anno si era dunque, anche noi,  nel proposito per un evento commemorativo in memoria di quest’uomo così  celebrato in altri  comuni calabresi. Riconoscendo però le difficoltà del momento  nonché le condizioni necessarie per concretizzare l’evento ,ci si è affidati ad un miglior  proponimento futuro ritenendo bastevole l’attenzione e il ricordo profuso tra coloro che hanno contribuito a raccontare Jacurso e quanti , nativi o cittadini occasionali hanno saputo lasciare l'impronta nel loro passaggio.

Come in ogni luogo anche nella minuscola Jacurso nacquero, vissero o semplicemente soggiornarono persone  e personaggi famosi nell’ambito locale , a volte provinciale, che hanno lasciato un’impronta indelebile . Andando a spasso per il centro storico è facile passare ,senza neanche rendersene conto, davanti alla casa di….Davanti al Palazzo di ….nel luogo dove successe…nella casa dove abitò…

 

Fermarsi e guardare indietro. Ogni tanto andrebbe  fatto. Ricordarsi di chi siamo, da dove veniamo , capire lo sforzo di chi ha camminato sulla nostra strada prima di noi. Capirne i perché . Tutto questo per dare anche senso a quello che si dovrebbe fare  oggi per tenere la rotta giusta.

Fonti

Parte del testo è tratto  da :

Rhegium Julii :  «lo strano mendicante che chiede amore e parole»

di Anna Foti

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francesco  casalinuovo  - Associazione Cult. KaloKrio  - www.jacursoonline.it

27 marzo 2025

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