Franco Costabile
Calabria. Da sempre Terra di Scrittori e di Poeti . Terra di attese e di partenze, di speranze e di memorie, di briganti e di emigranti..
“Per non dimenticare “ è una rubrica del Sito jacursoonline con la intenzione di riproporre storie , persone e situazioni da portare alla conoscenza quando non trovano spazio negli abituali spazi dell’informazione locale. Un viaggio vero nella memoria del nostro piccolo Paese rivolta perciò a coloro che, forse lontani , non hanno avuto conoscenza o semplicemente disinteressati hanno dimenticato. La nostra è da sempre Terra di scrittori e di poeti , di Filosofi, Scienziati e Letterati ma ancor più Terra di attese e di partenze, di speranze e di memorie, di briganti e di emigranti.. E' facile dimenticare o peggio non essere interessati ai trascorsi certamente più appaganti del presente.
Nel nostro Jacurso in un'epoca abbastanza lontana una stradina veniva dedicata a Tommaso Campanella e certamente rimane la sola a ricordare uno dei tanti calabresi illustri.
Cortale. La Prof.ssa Carmen Mutone alla presentazione di un libro
Per portare il nome della nostra Regione oltre i confini locali sarebbe opportuno allora cominciare a prendere coscienza e conoscenza dei nostri tesori e della nostra storia alla pari delle opere , delle attività e non solo dei nomi, dei nostri figli più illustri.
Pur con la dovuta correttezza, considerati i fatti della Storia, non viene da pensare che Via Umberto, Via Manzoni , Via Fiume possano meritare più attenzione di Bernardino Telesio , L. Repaci, F.Cilea, A.Cefaly ,Mag.Jeradi e altri ancora.
Di recente abbiamo ripreso la tragedia di Marcinelle ( i morti di San Giovanni in Fiore) , Storie di emigrazione con l'emigrazione della famiglia Giangotti in Argentina, Eravamo Regnicoli (l'infamia generalizzata sui Briganti - che spesso difendevano la casa e le donne dagli stupri piemontesi di Cialdini ) e poi le speranze e le promesse anche su questa terra ormai senza figli.
In questo periodo estivo ,insieme ad altri eventi avremmo continuato a raccontare spaccati del nostro passato dialogando anche su di un futuro che, già difficile a pensarlo, appare sempre difficoltoso introdurlo. Riflessioni collaborative che sono già divenute e diventeranno invece ancora positive e fruttuose che tra Cortale e Curinga hanno proposto dibattiti pensati e animati dalle associazioni locali con iniziative e programmi “ sognati “ e disegnati sul territorio e il comprensorio . Encomiabili alcune serate a Cortale, Maida e Curinga mentre a Jacurso la nostra associazione non è stata presente pur avendo preparato i suoi eventi ma solo temporaneamente sospesi. Ricorrendo il centenario della nascita la nostra Associazione avrebbe sicuramente celebrato a Jacurso Franco Costabile .
Avrebbe introdotto e moderato la Prof.ssa Mutone con la partecipazione del Prof. Filippo D’Andrea ,filosofo e teologo che per primo ha fatto conoscere il Poeta di Sambiase .
Tra i libri di D’Andrea :
“Dal Sud del Sud. Per un ritorno all’uomo” (2021) e “Franco Costabile. I tumulti interiori di un poeta del Sud” (2023) .
Altro evento culturale, legato al precedente , il ricordo e la giusta collocazione di un altro dimenticato in vita e da morto. Lorenzo Calogero Medico Poeta di Melicuccà ripreso in considerazione dagli intellettuali del Sud quanto Costabile . Lorenzo Calogero va ricordato dalla nostra Ass. KaloKrio per aver soggiornato a Jacurso espletando la professione medica nel nostro Comune. Anche per questo motivo avevamo già pensato a qualcosa di più tangibile che non mancherà il momento favorevole a divenire realtà.
Intanto partecipiamo condividendo le tante iniziative (tra le ultime quella della Cooperative “Scherìa” e Comune di Tiriolo) dove il Prof. D’Andrea ha ricordato alcuni aneddoti familiari che lo legano alla persona di Franco Costabile, mettendo in evidenza i tratti “inquieti, irrequieti e tumultuosi della sua anima”. “Anche un poeta morto suicida può rappresentare una memoria di futuro per la Calabria e, in generale, il Meridione d’Italia”, ha detto lo studioso che ha proposto al comune di Lamezia Terme di erigere un monumento in suo onore.
Franco Costabile
«Il poeta nacque a Sambiase, il 27 agosto 1924. Il padre dopo il matrimonio si reca in Tunisia per dedicarsi all’insegnamento, abbandonando moglie e figlio. Nel 1933 la madre Concetta si reca col figlio in Africa per convincere il marito a riunire la famiglia, ma lo trova accasato.
Questa esperienza segnerà il poeta, a cui farà riferimento nel componimento giovanile “Vana Attesa” (…) Dopo la maturità classica conseguita a Nicastro, si iscrive alla Facoltà di Lettere, prima a Messina e poi – dal 1946 – a Roma. In questo periodo stringe un forte rapporto con Giuseppe Ungaretti, suo professore di Letteratura Contemporanea.
(…) Nel 1950 pubblica a proprie spese il suo primo libro di poesie, “Via degli ulivi”, recensita favorevolmente da Giorgio Petrocchi.
Nel 1953 sposa Mariuccia Ormau, sua ex allieva. Da questo matrimonio nascono le figlie, Olivia (1955) e Giordana (1957). Sono anni duri per il poeta, che ancora nel 1961 lavora come insegnante precario nella scuola. In questo stesso anno pubblica “La Rosa nel bicchiere”, raccolta di poesie, che viene segnalata per il Premio Viareggio. Alla RAI viene fatta una lettura dei suoi versi da parte di Valeria Moriconi.
La moglie, intanto si trasferisce a Milano portando con sé le due bambine: è un secondo abbandono familiare. In questo periodo si rompono definitivamente i rapporti col padre lontano, mentre nel 1964 muore la madre, affetta da un male incurabile. Nello stesso anno sono pubblicate in un volume collettaneo “ Sette piaghe d’Italia ”, tra le poesie vi è “Il canto dei nuovi emigranti”, per la quale riceverà il Premio Letterario Frascati. Il 14 aprile del 1965, si toglie la vita.»
tratto da Caterina Verbaro, “Franco Costabile”, Dizionario Biografico della Calabria Contemporanea)
In Costabile, Ungaretti rivede il figlio perduto da poco in Brasile, in Ungaretti il poeta Calabrese trova invece l’assente figura paterna. Un altro abbandono che lo segnerà profondamente sarà quello della moglie e delle sue figlie che da Roma si trasferiranno a Milano. Ed in fine, i mancati riconoscimenti per le sue composizioni poetiche e la morte della madre per un male incurabile, saranno un mix letale che farà piombare il poeta in una solitudine disarmante che si tradurrà alla fine dei conti con il gas inalato a pieni polmoni nella sua abitazione romana.
Alcune opere di Franco Costabile
Il canto dei nuovi emigranti
Ce ne andiamo.
Ce ne andiamo via.
Dal torrente Aron
Dalla pianura di Simeri.
Ce ne andiamo
con dieci centimetri
di terra secca sotto le scarpe
con mani dure con rabbia con niente.
Vigna vigna
fiumare fiumare
Doppiando capo Schiavonea.
Ce ne andiamo
dai campi d’erba
tra il grido
delle quaglie e i bastioni.
Dai fichi
più maledetti
a limite
con l’autunno e con l’Italia.
Dai paesi
più vecchi più stanchi
in cima
al levante delle disgrazie.
Cropani
Longobucco
Cerchiara Polistena
Diamante
Nao
Ionadi Cessaniti
Mammola
Filandari…
Tufi.
Calcarei
immobili
massi eterni
sotto pena di scomunica.
Ce ne andiamo
rompendo Petrace
con l’ultima dinamite.
Senza
sentire più
il nome Calabria
il nome disperazione.
Troppo tempo
siamo stati nei monti
con un trombone fra le gambe.
Adesso
ce ne scendiamo
muti per le scorciatoie.
Dai Conflenti
dalle Pietre Nere da Ardore.
Dal sole di Cutro
pazzo sulla pianura
dalla sua notte, brace di uccelli.
Troppo tempo
a gridarci nella bettola
il sette di spade
a buttare il re e l’asso.
Troppo tempo
a raccontarci storie
chiamando onore una coltellata
e disgrazia non avere padrone.
Troppo
troppo tempo
a restarcene zitti
quando bisognava parlare, basta.
Noi
vivi
e battezzati
dannati.
Noi
violenti
sanguinari
con l’accetta
conficcata
nella scorza
dei mesi degli anni.
Noi
morti
ce ne andiamo
in piedi
sulla carretta.
Avanzano le ruote
cantano i sonagli verso i confini.
Via!
Via
dai feudi
dagli stivali dai cani
dai larghi mantelli.
Ussahè…
Via
Via!
Via
dai baroni.
I Lucifero
I conti Capialbi
I Sòlima e gli Spada
I Ruffo
I Gallucci.
Usciamo
dai bassi terranei
dal sudario
dei loro trappeti
dai parmenti
della vendemmia
profondi
a lume di candela
e senza respirazione.
Via
dai Pretori
dalla Polizia
dagli uomini d’onore.
Non chiamateci
non richiamateci.
È scritto
nei comprensori
È scritto
nei fossi nei canali
È scritto
in centomila rettangoli
alto
su due pali
Cassa del Mezzogiorno
ma io non so
che cosa
si stia costruendo
se la notte
o il giorno.
Ci sono raffiche
su vecchie facciate
che nessuno leva: l’occhio
del Mitra
è più preciso
del filo a piombo della Rinascita.
Addio,
terra.
Terra mia
lunga
silenziosa.
Un nome
non lo ebbe
la gioventù
non stanchiamoci adesso
che ci chiamano col proprio cognome.
Noi
Noi
ce ne siamo
già andati.
Dai Catoi
dagli sterchi orizzonti.
Da Seminara
dalle civette di Cropalati.
Dai figli
appena nati
inchiodati nella madia
calati
dalle frane
dall’Aspromonte
dei nostri pensieri.
Spegnete
le lampadine della piazza.
Scordiamoci
delle scappellate
dei sorrisi
dei nomi segnati
e pronunciati per trentasei ore.
Cassiani
Cassiani
Cassiani
Cassiani
Foderaro Galati
Foderaro
Antoniozzi
Antoniozzi
Cassiani
Cassiani
La croce
sulla croce,
diceva l’arciprete.
E una croce
sulla croce,
segnavano le donne.
andavano
e venivano.
Foderaro
Antoniozzi
Antoniozzi
È stato
sempre silenzio.
Silenzio
duro
della Sila
delle sue nevicate a lutto.
È stato
il pane a credenza
portato
sotto lo scialle
all’altezza del cuore.
Sono stati
i nostri occhi stanchi
guardando
le finestre illuminate
della prefettura.
Carabinieri,
fermatevi.
Guardate,
giratevi
non c’è nemmeno un cane.
Siamo
tutti lontani
latitanti.
Fermatevi.
Restano
gli zapponi
dietro la porta,
i cieli,
i vigneti.
La pietra
di sale sulla tavola.
I vecchi
che non si muovono
dalla sedia,
soli
con la peronospera nei polmoni.
Le capre
la voce lunga
degli ultimi maiali scannati.
L’argento
a forma di cuore, nella chiesa.
Le ragnatele
dietro i vetri, le madonne.
La ragnatela del Carmine
la ragnatela di Portosalvo
la ragnatela della Quercia.
Restano le donne
consumate da nove a nove mesi
con le macchie
della denutrizione
della fame.
Le addolorate
Le pietà di tutti gli ulivi.
Lavando
rattoppando
cucinando su due mattoni
raccogliendo
spine e cicoria.
Cancellateci
dall’esattoria.
Dai municipi
dai registri
dai calamai
della nascita.
Levateci
Scioglieteci
dai limoni
dai salti
del pescespada.
Allontanateci
da Palmi e da Gioia.
Noi
vivi
Noi
morti
presi e impiccati
cento volte
ce ne siamo già andati
staccandosi dai rami
dai manifesti della repubblica.
Di notte
come lupi
come contrabbandieri
come ladri.
Senza un’idea dei giorni
delle ciminiere degli altiforni.
Siamo
in 700 mila
su appena due milioni.
Siamo
i marciapiedi
più affollati.
Siamo
i treni più lunghi.
Siamo
le braccia
le unghie d’Europa.
Il sudore Diesel.
Siamo
il disonore
la vergogna dei governi.
Il Tronco
di quercia bruciata
il monumento al Minatore Ignoto.
Siamo
l’odore
di cipolla
che rinnova
le viscere d’Europa.
Siamo
un’altra volta
la fantasia
il 1° giorno di scuola
senza matita
senza quaderno
senza la camicia nuova.
Toglieteci
dalle galere.
Non ubriacateci.
Liberateci
dai coltelli di Gizzeria
dal sangue dei portoni.
Non chiamateci
da Scilla
con la leggenda del sole
del cielo
e del mare.
Siamo
bene legati
a una vita
a una catena di montaggio
degli dei.
Milioni di macchine
escono targate Magna Grecia.
Noi siamo
le giacche appese
nelle baracche nei pollai d’Europa.
Addio
terra.
Salutiamoci,
è ora.
( tratto da “Sette piaghe d’Italia”)
LA ROSA NEL BICCHIERE
Un pastore
un organetto
il tuo cammino.
Calabria,
polvere e more.
Uova
di mattinata
il tuo canestro.
Calabria,
galline
sotto il letto.
Scialli neri
il tuo mattino
di emigranti.
Calabria,
pane e cipolla.
Lettera
dell ‘ America
il tuo postino.
Calabria,
dollari nel bustino.
Luce
d’accetta
l’alba
dei tuoi boschi.
Calabria,
abbazia di abeti.
Una rissa
la tua fiera
Calabria,
d’uva rossa
e di coltelli.
Vendetta
il tuo onore.
Calabria,
in penombra,
canne di fucili.
Vino
e quaglie,
la festa
ai tuoi padroni.
Calabria,
allegria
di borboni.
Carrette
alla marina
la tua estate.
Calabria,
capre sulla spiaggia.
Alluvioni
carabinieri,
i tuoi autunni,
Calabria,
bastione
di pazienza.
Un lamento
di lupi,
i tuoi inverni.
Calabria,
famigliola
al braciere.
Francesco di Paola
il tuo sole.
Calabria,
casa sempre
aperta.
Un arancio
il tuo cuore,
succo d’aurora.
Calabria,
rosa nel bicchiere.
IL GALLO CANTA
Al Muraglione
il gallo canta
e il bracciante
è già nella vigna
che si sputa le mani
e incomincia a zappare.
QUATTRO PALLATE
Morì
proprio qui,
salute a noi.
Lo presero alla schiena,
quattro pallate.
Brutto paese, caro mio.
Amaro chi ci capita.
CALABRIA INFAME
Un giorno
anche tu lascerai
queste case,
dirai addio,
Calabria infame.
Solo
ma leale
servizievole,
ti cercherai
un’amicizia,
vorrai sentirti
un po’ civile,
uguale a ogni altro uomo;
ma quante volte
sentirai risuonarti
bassitalia,
quante volte
vorrai tu restare solo
e ripeterti
meglio la vita
ad allevare porci.
Ce ne andiamo via. Ce ne andiamo via perché affamati. D’altronde “meglio la vita ad allevare porci” . E così gli uomini in fame abbandonano la loro terra, la loro “Calabria rosa nel bicchiere” inseguendo il sogno di una vita migliore. Così Franco Costabile decide di andarsene via, via per sempre, suicidandosi
La Calabria infame e perduta
Come un Giano Bifronte, continuamente proiettato al suo nido – il passato –, il poeta criticava l’indifferenza e le ambiguità dei governi, la scaltrezza dei politici, quale che sia il colore e l’ideologia. Costabile rendeva poesia “un bisogno di giustizia inappagato da secoli”, citando Libero Bigiaretti nella prefazione de La rosa nel bicchiere.
Come scriveva Iacopetta, “Costabile si era identificato nei poveri emigrati del suo paese, nei braccianti che vi erano rimasti, nelle donne che subivano quotidiane violenze, perché sia lui che la madre, a loro volta, erano stati emarginati e aveva subito una violenza”.
Assistente di paleografia all’Università La Sapienza e docente di liceo, a Roma Costabile si sentiva un estraneo, così legato alla sua “Calabria infame”; percepiva la vita nella Capitale come un esilio, anche negli anni più vivaci del boom economico e della cosiddetta Dolce vita.
“Mio sud, / mio brigante sanguigno, / portami notizie della collina. / Siedi, bevi un altro bicchiere / e raccontami del vento di quest’anno.”
Un altro poeta morto suicida
Pure il periodo relativamente sereno fra la fine degli anni cinquanta e i primissimi sessanta era tale soltanto in superficie, in attesa di un ferale avvenimento che potesse riportare il poeta nell’abisso. E l’avvenimento giunse fra il ’61 e il ’64, prima con l’abbandono della moglie Mariuccia, partita per Milano assieme alle due figliole, dopo avere vinto un concorso alla Accademia di Brera, e poi, in maniera ancora più lancinante, con la morte, lenta e straziante, dell’amata mamma Concetta, l’ultima pagliuzza che lo legava al nido di Calabria.
Il poeta si chiuse così in sé, allontanandosi anche dagli amici più cari, si lasciò avviluppare da un profondo stato di abbattimento che lo accompagnò sino al 14 aprile 1965, giorno in cui mise la parola fine alla sua angosciosa esistenza, lasciandosi morire silenziosamente nella sua casa di Roma, quartiere di Montesacro.
Franco Costabile si unì in questo modo a quel gruppo di poeti calabresi accomunati dal destino funesto del suicidio: Lorenzo Calogero di Melicuccà (1910-1961), Michele Rio di Lungro (1920-1965), Domenico Zappone di Palmi (1911-1976).
Una tragedia che, riprendendo le analisi a ritroso sviluppate nel corso degli anni da amici del poeta e studiosi, non fu istantanea, ma lenta, datata, partita dai dolori dell’età azzurra.
Un addio meditato a lungo, ma risoluto, netto, come i righi conclusivi de Il canto dei nuovi emigranti: “Addio, / terra, / Salutiamoci, / è ora”,
Un estremo saluto, scrisse Saverio Strati, “così teso e insieme così sbrigativo, così tipico dell’uomo calabrese che una volta deciso a compiere un gesto, un’azione, agisce con irremovibile fermezza e senza indugi”.
Insieme a Costabile, quelli dell'associazione KaloKrio, vogliono anche menzionare e invitare a leggere sulla vita e le opere di Lorenzo Calogero
Il poeta che pregò di non essere sotterrato vivo
Nel ’37 Lorenzo Calogero consegue la laurea in Medicina e ottiene a Siena l’abilitazione alla professione che, dopo nuovi tentennamenti, inizia a esercitare in Calabria: prima nella natia Melicuccà, poi, sempre per parentesi brevi o brevissime, in numerosi paesi come Sellia Marina, Gimigliano, Zagarise, Jacurso e San Pietro Apostolo.
Oltre la morte non si può andare
Oltre la morte non si può andare.
Non si dorme, non si ama.
Si riposa infinitamente.
Oltre la morte non si può andare.
Non si dorme, non si ama.
Si riposa infinitamente.
un palco alla morte.
E quel che mi rimane
è un poco di turbine lento di ossa
in questo orribile viavai
dove è alzato anche
un palco alla morte.
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