Marcinelle
Dopo la fine della guerra la gente dell'Italia si ritrovò in miseria e al Sud, in particolare, si pativa anche la fame. Emigrare, la soluzione .Tanti manifestini gialli affissi in ogni comune suggerivano di andare a Marcinelle, in Belgio. E da San Giovanni in fiore partirono in tanti. E molti furono i morti.
"Antò mangiasti ? Ben poco ! E chi mangiasti ! Tre spicchi d'aglio e pocu pocu nu stuazzu de pane. "Al Sud la fame veniva curata con lo sfruttamento e l’emigrazione ". E' quanto già raccontato di recente in una delle ultime pubblicazioni " I Giangotti a Jacurso "
In quegli anni lasciare un Sud arretrato sotto tutti gli aspetti convenne a tutti i governanti in quanto sarebbe stato un popolo da emigrazione forzata e successivamente anche possibilmente un Sud “consumatore” di prodotti del Nord Italia che intanto si rafforzava anche con il Piano Marshall. Piano Marshall, ufficialmente chiamato piano per la ripresa europea (in lingua originale "European Recovery Program"). Ideato dal generale Marshall e voluto dal presidente Truman per sostenere la rinascita dell'Europa. Spiccioli di sostentamento per il sud e risorse adeguate alla ricostruzione produttiva del Nord.
I Paesi europei, comprensibilmente motivati e stimolati, sia i vinti quanto vincitori iniziavano ad emularsi per la ripresa economica e il Belgio a Marcinelle ,percorrendo la corsa dell'economia,fu l’episodio che fece uscire fuori una terribile realtà :
Uomini in cambio di carbone.
In quel periodo anche al nord-est esisteva una condizione di sottosviluppo come al meridione . Il Veneto era terra di emigrazione già prima che al sud . Bisognerà dare atto alla voglia di riscatto e al lavoro che farà uscire dall'emigrazione quella "Questione Meridionale del Nord ". Il 23 giugno 1946 viene firmato a Roma il protocollo italo-belga per il trasferimento di 50.000 minatori italiani in Belgio. In cambio il governo belga si impegna a vendere mensilmente all’Italia un minimo di 2.500 tonnellate di carbone ogni 1000 minatori immigrati.
La manodopera non deve avere più di 35 anni e gli invii riguardano 2.000 persone alla volta (per settimana). Il contratto prevede 5 anni di miniera, con l’obbligo tassativo, pena l’arresto, di farne almeno uno.
In quella fase storica, scriveva sul Bollettino della Società geografica italiana Ferdinando Milone pochi anni dopo, “lo sviluppo delle industrie e dei commerci” consentiva a una parte dei belgi di “abbandonare una fatica quanto mai ingrata ed abbrutente, nociva, mal retribuita e pericolosa”. Nelle miniere, a prendere il loro posto, arrivano gli italiani, completamente ignari di quel che li attende.Le pattuizioni tra i due governi sono dettagliate e minuziose in merito al reclutamento e allo spostamento dei lavoratori, ma nulla viene scritto relativamente ai loro diritti, alla loro salute e sicurezza. E infatti in miniera i morti saranno migliaia.
Era il Governo De Gasperi.
Pittori di grande fama lo hanno dipinto. Ma bisogna andarci per capirlo fino in fondo, nel respirarne il clima, per sentirne l’oppressione. I villaggi, le strade, i baraccamenti si susseguono uno accanto all’altro e diventa impossibile distinguerli l’uno dall’altro. D’inverno le strade gelano, sono avvolte da impenetrabili brume, la neve si sporca di carbone: e minatori passano dai 45 gradi sottoterra ai 35 sotto zero alla superficie. La strada sulla quale cammini è della miniera, la casa che abiti della miniera, dei padroni della miniera è lo spaccio, il piccolo cinema, la ferrovia, il pullman, il terreno da costruzione, i mobili, i letti, il bar, la birra che bevi, il pane che mangi. Tutto è del patron. Se manchi un giorno dal lavoro l’affitto del mese ti viene conteggiato al 50% in più; se manchi due giorni ti viene raddoppiato. Se perdi una pala sotto una frana la devi pagare, se non capisci l’ordine di uno chef che parla in dialetto fiammingo prendi una multa che va a finire alla congregazione religiosa del luogo.Contro tutto questo lottavano i minatori morti a Marcinelle e contro tutto questo continueranno a lottare i loro compagni.
Gli alloggi proposti agli italiani sono la loro più grande delusione. Vengono alloggiati in campi costruiti dai nazisti per i prigionieri russi, costretti nel corso della prigionia a lavorare in miniere situate vicino a mucchi di terra o in terreni abbandonati. Sono delle baracche precarie con tetti di lamiera, molto calde in estate e gelide d’inverno. Acqua e servizi igienici si trovano all’esterno e in inverno l’acqua è spesso congelata. I letti non sono che telai di legno sovrapposti, muniti di materassi di paglia e coperte sporche.
Molti italiani che hanno vissuto queste condizioni dolorose si considerano dei deportati economici, venduti dall’Italia per qualche sacco di carbone. In quelle baracche lasciate dagli oppressori tedeschi durante l'occupazione.
Come per tante altre storie.. poca chiarezza
La gran parte dei morti erano “italiani del sud”, i “terroni”. E se vogliamo anche i Macheronì ."Emigrati in base ad un accordo che il governo italiano, a guida De Gasperi-Nenni (De Gasperi era Primo Ministro e Nenni era Ministro per gli affari esteri) fecero per far arrivare il carbone dal Belgio. Quel trattato-capestro fu sottoscritto con il Be-Ne-Lux e con la Germania.Le tragedie per i poveri si ripetono mentre i ricchi contano i soldi
Dopo mezz’ora, un carrello rimane incastrato, ma l’ascensore parte, non si sa bene perché, tranciando, due o tre metri più in alto, le condutture dell’olio, i tubi dell’aria compressa e i cavi dell’alta tensione. Il fuoco divampa in un attimo. Vaussort corre da una parte, Iannetta fugge dall’altra, raggiunge un ascensore e arriva in superficie urlando che la miniera è in fiamme: i soccorsi saranno lenti e inadeguati. Le mogli e i figli hanno visto una nuvola densa che oscurava il cielo quel giorno insolitamente azzurro, sono corsi subito al cancello della miniera aspettando giorni e giorni, finché due settimane dopo un soccorritore italiano esce dal pozzo gridando: «Tutti cadaveri». 262 morti, 136 dei quali italiani. Tra le vittime c’è anche Vaussort, che aveva cercato riparo dalla parte sbagliata.
Iannetta è morto a Toronto a 87 anni. Era l’unica persona che avrebbe potuto raccontare esattamente come andarono le cose, perché i processi non hanno chiarito nulla, ma era malato di Alzheimer da tre anni e la memoria chissà in quale miniera del suo cervello era sepolta.
Il minatore timido e impaurito, come viene ricordato , sparì pochi mesi dopo l’incidente. Aveva cambiato sette versioni nel suo racconto. Ma quando ottenne il permesso dalle autorità belghe di andarsene in Canada, il processo era ancora in corso.
Nell'ultimo periodo e nei paesi ricchi aumentano i morti e gli invalidi, in genere per altri lavori, ma nei paesi poveri ? Immaginiamo soltanto cosa possa accadere, con l’informazione zittita quasi sempre. La comunicazione pubblica in mano ai ricchi ed ai potenti che governano fornisce sempre la stessa versione dispiaciuta per “le inevitabili tragedie che colpiscono il paese”. Ipocrisia allo stato puro e quasi sempre mistificazione dei fatti.
A fine della seconda guerra mondiale si riavviò il processo di fuga dal meridione. Lo Stato ed il Governo guardavano con attenzione al “triangolo industriale” posto al nord e, come già nel 1870, e dopo la prima guerra mondiale nel 1918, “aiutò” lo spopolamento del Sud per evitare problemi sociali e politici.
Eravamo già nell'Economia Differenziata.
Un sud povero, già abbastanza spopolato , ignorante e con gli “emigrati spinti dalla fame e con l’inganno dai cartelli nei Comuni”, usati senza riguardo come merce era l’unico “paesaggio sociale” che esisteva nel secondo dopoguerra dalle nostre parti.
Carne da macello in cambio di carbone.
Firmato, distrattamente, da De Gasperi, Nenni, Merzagora, Fanfani.
Alle 8,10 dell’8 agosto 1956, nella miniera di Marcinelle scoppiò un incendio alimentato da 900 litri di combustibile. Morirono 262 persone, 136 italiani. Il processo si concluse nel 1964. Nessuno pagò per quella strage, il tribunale addossò la colpa agli stessi operai.
Le famiglie non furono risarcite, ebbero un simbolico sostegno per seppellire i loro morti. Uomini mandati a morire in periodo di pace dalla nascente Repubblica Italiana.
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Qualche cosa avevamo in comune:
la Patria
il lavoro
la miseria.
Quasi non capivo
il tuo dialetto strano
ché dell’Italia eravamo
ognuno ad un estremo (…)
Ma nel fagotto
che portavamo nella fossa
c’erano le stesse cose: pane
margarina
e caffè amaro (…);
la carne segnata da ogni pietra caduta
e nelle vene lo stesso sangue:
sangue d’emigrante.
Il masso quel giorno cadde
e fu crudele e pesante
troppo pesante
per te, piccolo leccese.
Sono i versi che il parmense Walter Vacca dedica ad un compagno leccese, ucciso dalla miniera, apparsi in una raccolta di immagini e parole dell’emigrazione italiana in Belgio
francesco casalinuovo jacursoonline
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