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Storie de Casa Nostra

Come tanti piccoli abitati Jacurso sta scomparendo sotto il peso degli anni e del lento abbandono. Case senza finestre o senza porte , ormai , non sono poche  e, sullo stipite qualcuna resta mantenuta per l’apporto di quattro chiodi e uno spezzone di legno che rende più sofferente qualunque riflessione.

“Nessuno che li abita da troppi anni”. Lo stesso “ abitato “, privato del significato stesso , è ormai senza  abitanti. Il venti di gennaio è San Mbestianu , come si diceva sino a non so quando. E’ ancora il Patrono ma alla processione si era in ventisei . Più musicanti che fedeli!. In tempi più lontani ,in questo giorno, in paese c’era la neve e per consentire di portare il Santo in processione , si trovava conveniente canalizzare tutto l’acquaro montano per aprire  “ Salita San Sebastiano “ e le altre strade a scendere dal Calvario.

Jacurso fa ormai parte di quelli che sono I borghi abbandonati e , che secondo una stima dell'Istat , in Italia  dovrebbero essere più di sei mila ma  il numero è destinato a salire perché il fenomeno dello spopolamento non è un affare del passato, ma ,per Jacurso come potrebbe essere per Maida o Curinga o Cortale ,vive ancora sotto forma di addio alle frazioni ,alle contrade e al paese stesso dei suoi abitanti storici.

Le contrade montane  sono vuote , le case di campagna abbandonate , cadenti e spesso aggrovigliati dall’edera e dalle spine , i campi incolti ….I campi da arare , da seminare ,da mietere il grano che non c’è . E’ quanto rimane  dietro i motivi  che ha spinto centinaia di persone ad andare altrove per salvarsi. E’ stata necessità, scomodità  o semplicemente destino ?

Alcune di queste case sono saltuariamente  vigilate da qualche parente ma , per la maggiore, tutte le altre  rimangono solo nella memoria, se resta mantenuta ,  di chi le ha abitato e poi è andato via.

Dopo tali considerazioni , questo  non vuole essere l’invito per un viaggio nelle case, nelle vite e nelle storie che ancora si potrebbero raccontare perché è vero che tornare indietro è sempre più difficile che guardare avanti. Questa volta vorremmo  invece, raccontare, e non solo , della vitalità che animava questi luoghi ed in particolare la “ vivacità “ con la quale cresceva Jacurso quando in appena uno due locali convivevano spesso otto / dieci persone e a salvare il sovraffollamento si manifestava   la necessità di sedersi fuori la porta, dove gli angusti locali disponevano di  un travicello su due pietre, oculatamente cercate, per sistemare quel piccolo asse e sedersi.

Curiosi e irriproponibili posti di riposo passato ai ricordi ma allora capaci di mettere in moto rumori, risate , qualche serale attività “ artigianale di poco conto. Perché il travicello creava la “ Ruga “ . Cos’era la Ruga ? Tutte quelle piccole case a cielo aperto !.

Ruga  è prima ancora una parola dialettale che nel nostro , e quello calabrese in senso diffuso, vuole identificare  una stradina ,più stradine popolate ,  quasi in modo esclusivo, appartata , stretta e corta . Che corre tra due fila di case spesso uguali» e la cui somiglianza produce tante identità e parecchie affinità». Una tra tutte l’interdipendenza .

D’inverno ,qui , il vento faceva  suonare strani strumenti, diversi da ruga a ruga , di casa in casa per il modo come erano esposte al sole o all’intemperie. Effetto degli infissi in legno o di ferri e travi ,ciminiere e tetti piantati nei muri.  La calura estiva animava , invece , le viuzze sino a tardi e in ogni stagione ognuno aveva in mente  il passo di chi ci abitava. Una pedata diversa da quelle incastonate in ogni orecchio , ancora in quegli anni , portava l’occhio della “fhimmina curiusa “ ( curiosità femminile)  dietro la fessura abituale da cui  sbirciava. Tutto il paese aveva le rughe e le  rughe formavano l’abitato di Jacurso  cioè il ventre del paese  che mai si potrebbero chiamare quartieri o rioni .

La Ruga era una cosa  a se. Dove si nasceva, si apriva famiglia , si cresceva e si finiva di campare. Dove nascevano amori e liti furibonde per una gallina che non si ammasunava *. Dove si parlava da una finestra all’altra quando pioveva. Dove si prestava e si dava di tutto. La Ruga , che dovrebbe derivare dal francese Rue, era uno spazio a se con almeno tre minuscole vie tra loro interconnesse , spesso senza sbocco e con una sola via di accesso principale.

In quel ventre antico fatto di queste rughe , le notizie viaggiavano veloci perché le trasportava e li diffondeva  il vento.

Il matrimonio nella cultura popolare è considerato il momento più importante per la fanciulla contadina di quel tempo, per mezzo del quale si raggiunge una posizione sociale: “‘A fimmina senza statu e cumu u pane senza levatu”, ed ancora “viatu chijha casa duve lì trase lu cappiajhu” *.

Oltre al travicello/ritrovo delle rughe , a Santa Maria ancora un altro travicello .C’è tuttora ma non è più quello che ne aveva sentite tante durante e dopo le due guerre .Fatto per non dimenticare quello vero. Anche prima e dopo il ventennio fascista, particolarmente animato a Jacurso da quei pochi notabili del periodo .Uomini Imprenditori e  Donne Camicette Nere. Portate ad approfittare dell’evento politico ,si strapparono i capelli quando il Fascismo finì e con esso il bel vivere fatto di potere e privilegi. Gli uomini Soprattutto e non di meno le Donne di una certa età. Per emergere dovettero essere indubbiamente dotati di forte personalità e, coscienti di osare, tentarono , riuscendo ,  di emanciparsi e  dedicarsi acutamente ad attività imprenditoriali pure interessanti. Paradossalmente rimangono forti i ricordi  di costoro che ebbero ad esporsi con maggiore visibilità ai jacursani e fino a Catanzaro per alcune imponenti opere realizzate da alcuno di questi.

Il Municipio , unico nello stile Impero in questo comprensorio , le maestose mura al Timpone, tutte a facciavista con due imponenti scalinate e un Belvedere aperto sull’istmo , su tutti i paesini della Pre-Sila ,su due golfi , Lamezia e Catanzaro. E poi ancora le Briglie lungo il Pilla e le altre opere come la Bonifica o la SACAL con Autobus , Camion ed una rinomata Officina con la scritta “ GARAGE “. Perché in quel Garage stavano custodite tre autobus dei quali uno funzionava “ a Legna “ , due Calesse e due Camion. Fuori il garage hanno resistito al tempo due pompe di carburante. Poi con Don Battista è finito tutto.

Oggi sono in pochi a sapere di questi fatti ,  anche la parte che dovrebbe tutelare non i ricordi ma queste opere d’arte che oltre al valore monumentale sono le ricchezze da conservare e mantenere in stato di agibilità e anche di rispetto per il valore di quella generazione. Stiamo assistendo , invece, ad un degrado amministrativo e sociale sconcertante. Vuoi per pigrizia che  per lo sguardo vagabondo di chi si gingilla al cellulare , fa ghirigori se metti a proporre o ignora , non legge o non sa leggere… .Semplicemente non sa!.

Oltre ai travicelli degli argomenti futili , del chiacchiericcio e pure delle cose serie nel nostro abitato avevamo, a mente di generazioni, cinque pioppi diventati enormi di statura :Invecchiati nei secoli. Nei Secoli . L’ultimo è caduto giorni addietro sotto l’incuria culturale e la mancanza di rispetto di quanti erano tenuti invece a tutelarlo e salvaguardarlo. Un albero si cura come le persone malate di cuore, non gli si recide il Cuore.  Perché sono indifesi ed è banale diventare vigliacci con i fragili. I cinque dovevano rappresentare, nell’originario principio di chi li aveva pensati ognuno al loro posto, a rappresentare la solidarietà e la convivenza.

il Kalafrica :

Il travicello, quello effettivo , stava li da anni ad invecchiare insieme alle persone che più volte doveva sopportare. Posto in un incavo ricavato su due grosse pietre accuratamente lavorate , sembrava essere la chiave di volta sulla quale poggiavano gli equilibri dell’intero paese .Il Mascaro,  che aveva pensato a sistemarlo, di fatto aspettava i suoi clienti li seduto per poi servire gli alimentari che commerciava. Era semplice e funzionale all’attività del proprietario e , di abitudine , era molto utilizzato come luogo di conversazione durante le ore della giornata .

A Jacurso, come colpevolmente ancora oggi , non ha mai avuto punti di aggregazione significativi e neanche tuttora pur annoverando un paio di associazioni ed un patrimonio edilizio in parte disponibile. Allora si prestavano come passatempo propositivo il locale del falegname , la fhorgia  …la bottega del calzolaio. Le Bettole , che non erano poche , non erogavano solo vino ma funzionavano , anche , a modo di  ufficio di collocamento. E funzionavano bene in entrambi i ruoli. Ondulazioni serali e impegni di Zappa per il giorno dopo !  Gestite tutte da Donne che sapevano alzare la voce. Poca e al tempo giusto !La Petrantona , Vittoruzza , Angiluzza , La Smelarda, La Parisa…

Tra la gente di campagna , invece  , ricorrere al travicello non capitava per diletto o passatempo ma per necessità, considerati i ristretti spazi interni .. Ricavato da un tronco acutamente “ occhiulijato “ veniva usualmente posato appena fuori lo scalone della porta e diventava  il supporto necessario nei diversi momenti della vita contadina . Di estate per consumare un pasto con il piatto posato sulle ginocchia , di sera ad affilare accette, falci e forbici.

La figliolanza, assolte le incombenze agricole di competenza, poteva magari ritrovare riposo osservando una lucertola che ti guardava curiosa e incantata , il gatto che , sonnecchiando furbamente , osservava la lucertola per farla fuori , una farfalla , dei passerotti , un profumo d’erba …un alito di vento .. D’inverno un ceppo vicino al focolare e i gradini piatti della scala  in legno diventavano il riparo al freddo vicino al  focolare occupato da nonni , genitori  e dai più piccoli in prima fila.

A Santa Maria  , il travicello ,quello più  nobilitato , era “ il miele “  pomeridiano e come ’Incontro serale “ tra le persone di mezza età  , di un certo impegno sociale , per Don Adolfo  che passando veniva ossequiato ,  che a volte si fermava , e per chiunque trovasse piacevole una conversazione .

Di politica nazionale e locale quel muro  e quel travicello, potessero parlare ,ne avevano sentite e sopportato tante . Podestà ,, al tempo del Fascio , il proprietario del negozio animava le discussioni ,le moderava  ed era abituato a riprendere il ruolo dopo aver assolto alle necessità dei clienti  tra i quali contavano , per la maggiore , le donne villaggiote tutte con la libretta a seguito.

Sulle pagine di quelle librette  venivano annotate le spese giornaliere. Pasta, sarde, baccalà ,mortadella , la conserva rossa di pomodoro avvolta nella carta verde  . Il pane si infornava ancora in casa ma gli altri generi venivano prelevati a Pizzo . A fine mese “ si tirava la riga” e , come si poteva… si pagava. La pasta era infagottata in una carta verde , una sorta di tubo lungo appena poco di un metro. Per mezzo chilo  toccava tranciare a metà quel cartoccio e mi piaceva quel rumore di strozzatura che durante il taglio metteva in vista  la mandibola pronunciata di Don Ferdinando impegnato nell’impresa ! Io ci andavo, spesso, curioso ma ero compagno di giochi anche di Carluccio.  Compravo con poche lire “delle piccole  Pastette “ cioè piccoli biscotti a forme di coniglietto , gattino , colomba tra quelli che ricordo insieme ai “ Fru-Frù “. Spesso si comprava anche mezzo litro di petrolio per il lume .Un liquido bianco , ricordo , trasparente , limpido e con un suo caratteristico odore . Quel profumo  mi incuriosiva, anzi mi  piaceva per il suo odore caratteristico.

Senza più potere dopo la caduta del Fascio, non pochi di quei frequentatori, rammentavano qualche torto come quando, per la Patria, per la carica e il potere, il Mascaro  Potestà segnò la sorte di tante belle  ringhiere forgiate ad arte dai fabbri locali, balconate e recinzioni in ferro battuto destinate alle fonderie fasciste. E non solo queste. Coddare di rame , almeno una per famiglia quasi d’obbligo e regola, mentre non poche venivano sotterrate,  più che nascoste, insieme alle Macchine per Cucire Singer.

Il travicello era ,dunque ,la panchina. Cioè un luogo di sosta, quasi un’utopia realizzata dopo le purghe e la tracotanza dei Militi ! Una  “vacanza” serale a portata di mano nel periodo estivo quando le vacanze , a Jacurso , non si conoscevano. Seduti su quell’accattivante strumento di distrazione si poteva contemplare lo spettacolo del mondo, oltre a quello locale , si poteva guardare attorno senza essere visti, sbirciare e commentare chi passava nonché impicciarsi degli affari altrui  e , mentre tanto capitava, a rilento, ci si dava  anche il tempo di perdere il tempo. Che tempi!

Senza saperlo era un buon antidoto, cioè normale e spontaneo com’era nella logica di lavorare , rilassarsi, socializzare lontani dalle odierne frenesie . Il paese apparteneva a tutti, quasi nessuno escluso già che tutti occupavano un ruolo , senza insoddisfazioni, presunzioni , arrivismi ed egoismi . Insomma, anche se esisteva , era meno che adesso.

Il paese apparteneva a tutti e tutti occupavano un ruolo senza discussioni e distinzioni  .

La citatejha, la parte di più antica conoscenza , manteneva di fatto il modo abitativo di quei greci che qui arrivarono per primi costruendo le “ loro “ case. Un basso e una corta scala esterna, con pochi gradini ed il mignano ,per accede al vano superiore ,quando c’era .

Il catojio,il modo di vestire , cucinare e vivere .Gli eventi principali come il matrimonio  e il  funerale. Nella stessa tradizione greca. In quest’area antica si possono scrutare ancora gli originali “ materiali poveri “ dei quali sono ancora testimonianza alcuni muri o pareti fatte di fango impastato con  paglia .Addirittura ho potuto osservare una rete di canne intrecciate, tra loro legate  e sulla superficie, finita ad intonaco  composto da fango e argilla. Una soluzione molto efficace sotto l’aspetto termico , ma precario come arte di struttura. Qui in entrambi i terremoti ,le vittime non ci sono state se non due anziane donne morte per altra causa. Danni materiali ai tetti e solai non sono stati un sorpresa ma potevano reggere ancora senza lo scossone. Si disse .Nel secondo Terremoto si ricordano cinque soldati, il tenente Fabre e il Caporale Segre .

Venuti qui dal Distretto di Catanzaro portarono sollievo e vennero ricordati per la grande opera incessante prestata quasi da Jicurzani che non erano !

Un monolocale per abitare e spesso un locale dove custodire gli attrezzi agricoli, i prodotti della loro agricoltura, legna per cucinare al focolare e qualche animale di necessità oltre l’asino e la capra che sarebbero tornate  in campagna il mattino dopo . Il contadino in groppa all’asino e la capra appresso. L’asino e la capra. Il mezzo di trasporto e il latte appena munto per la mattina. Un basso, spesso incassato dentro al terreno in pendio, una breve scala esterna col suo ridotto pianerottolo (mignano) e quindi il locale per viverci.

 

MATRIMONIO : Sorrisi e Lacrime Bianche

La fhimmina a diciuattu e luamu de vintuattu .L’uomo doveva riuscire a mettere qualcosa da parte ed inoltre era in uso che, nonostante il giovane fosse pronto per convolare a nozze, egli dovesse cedere il posto alle sorelle da maritare, anche alla minore e, con il proprio lavoro, provvedere sia a sostenere la famiglia che alla loro dote, poiché esse non potevano andare a lavorare per evitare di essere compromesse nell’onore. A quei tempi la nascita di una figlia femmina non era certo un augurio da fare!

Diversamente dall’uomo, la donna si sposava prestissimo ( i mesi designati erano tutti tranne maggio, agosto e novembre perché mal augurali) e per prima doveva toccare alla figlia maggiore, alla quale al corredo già si pensava alla giovanissima età.

Era sogno di tutte le ragazze non rimanere zitelle (condizione ritenuta umiliante) e pertanto come si soleva dire …” ognuna si dava da fare !

Purtroppo non sempre poteva andar bene ,in particolare quando il giovane ,  costretto a sottrarsi per i motivi sopra accennati o altra ragione , segnava  il tormento dall’idea di essere cacciata di casa o il triste percorso dell’aborto clandestino. Anche da noi nulla veniva fatto per scoraggiare l’aborto, l’infanticidio e l’abbandono che erano considerati comportamenti comuni e risolutori.

La complicità della “ Mammana “ ed altre figure come  le “  Praticone “ non potevano ,oltretutto , essere evitate nel triste percorso dell’aborto clandestino: il tavolo di cucina di una mammana, una sonda rudimentale piantata in corpo, un dolore atroce, spesso una grave infezione.

Per farci un'idea su questo imbarazzante argomento, ci siamo avvalsi dei racconti  le cui rilevazioni statistiche ci hanno illustrato quanto si è potuto poi riscontrare negli atti di nascita oltre che civili anche in quelli parrocchiali. Consultando si è potuto constatare come tale fenomeno , a Jacurso ,  fosse diffuso, fino a tutto l'800 e prima metà del novecento..

Le cause erano principalmente le pessime condizioni economiche, che unite all'ignoranza di metodi contraccettivi, spesso sfociavano in rudimentali pratiche abortive. Per questi motivi a molte mamme povere non restava altra soluzione che lasciare i propri figli nelle stradine di campagna , ai piedi delle scale, alla porta di una famiglia senza figli o di una donna sola o nei pressi di una delle due Chiese. Le cosiddette Ruote presumibilmente per la difficoltà della lontananza e dell’anonimato vennero usate poche volte.

Capitò alla Sig.ra Bilotta (moglie del medico Serratore - casa a Stretto di Mezzo) che, sentendo i vagiti tipici del neonato, aprendo la porta ,lo trovò adagiato sul gradino della scala .

La madre ( o chi per lei ) lo aveva posato avvolto in povere fasce ( stracci nella descrizione ) e tra questi una medaglietta della Madonna . Piccoli segni, cioè oggetti simbolici , con l’illusione di un futuro ricongiungimento o “un filo d’Arianna “ per seguirlo. Di certo un abbandono doloroso.

In un atto di nascita che interessa un abbandono viene descritta la testimonianza del Sagrestano del tempo … che portatosi alla chiesa per suonare la campanella dell’alba (  campana de lù matutinu ) trova questo fagotto con dentro un neonato abbandonato.

 

Un altro Caso

dal testo integrale di un REGISTRO

Numero di ordine: venti

L’anno mille ottocento cinquantasette il di  Decennove del mese di Agosto

alle ore undaci avanti di Noi Francesco de Vito Sindaco e ufficiale dello stato civile di Jacurso ….Provincia di Calabria Ultra Seconda , è comparso Giuseppe Tassone …. Figlio di/fu Francesco… di anni trent’otto di professione Eremita ..

domiciliato in Jacurso.. quale ci à presentata … una… bambina proietta secondo che abbiam ocularmente riconosciuto, ed à dichiarato che la stessa è nata da madre incerta di anni -------------------domiciliata ---------------- -------- e da padre incerto di anni ----------------- di professione ---------------------------- domiciliato -------------------------------

nel giorno Dicedotto del suddetto mese alle ore due di notte nella casa uscio della porta della chiesa di Santa Maria ov’egli  à casa d’eremita sita vicino l’abitato di questo Comune ,ravvolta fra laceri cenci venne esposta.

Lo stesso inoltre à dichiarato di dare alla bambina Proietta il nome di Maria Devito

La presentazione e dichiarazione anzidetta si è fatta alla presenza di Domenico Graziano di professione bracciale regnicolo domiciliato in jacurso e di Giuseppe Antonio Limardi di professione bracciale regnicolo domiciliato in Jacurso .

Testimoni intervenuti al presente atto e da esso signor Giuseppe Tassone prodotti .

il presente è stato letto al dichiarante ed ai testimoni, ed indi si è firmato da noi ..mentre l’altri intervenuti dissero non sapere scrivere .

Francesco De Vito sindaco

Nota

Questo Atto di Nascita documenta che a Jacurso esisteva un romitorio dalle parti dove sorgeva l’antico Convento dei Padri Carmelitani che, a quel tempo, non aveva ancora le navate laterali.

L’ora in cui viene rinvenuta la bambina abbandonata corrisponde al tempo in cui l’eremita abitualmente si alzava per mettere in essere le sue attività di preghiera. Nella stesura dell’atto si nota la grande diffusione degli analfabeti, le professioni più diffuse e il posto conveniente per l’abbandono di un figlio non voluto. Ma di un figlio da non far morire nel gesto di consentire e facilitare il ritrovamento.

Un luogo appartato, l’ora adatta e la certezza del ritrovamento.  L’abbandono, come in tanti altri casi , poteva essere indubbiamente un atto di amore . Che non si è riscontrato in qualche altro caso come quando un corpicino venne rinvenuto in fondo a un pozzo ed un altro nell’acqua di un ruscello.

Quanto all’eremita si tratterebbe dell’ultimo “ frate “che alcuni anziani ancora ricordavano abitasse al Convento. La “Cella “ dell’allora Monastero dei Monaci Carmelitani fu l’ultima dimora ad ospitare quel Frate .In seguito veniva indicata come Chiesa di Santa Maria e poi della Salvazione sino al riconoscimento come Santuario.

A onta di quanto avviene oggi , le famiglie erano numerose di figli , piccole le abitazioni e davvero tanti i bambini che nascevano fuori dal matrimonio tanto che nel 1881 veniva istituito il Brefotrofio di Catanzaro con tre case subalterne a Nicastro, a Monteleone e Cotrone. Fatta eccezione per Cotrone ,troppo lontana, gli altri tre istituti,in più circostanze, ospitarono i bambini abbandonati o non voluti di Jacurso . Qualche volta si venne anche a creare un contenzioso con Maida sulle competenze di affidamento.

Il comune era  inserito nel circondario di Nicastro e nel mandamento di Cortale per cui era designata all' accoglienza la casa di Nicastro. In qualche documento , pertanto, troveremo citata la Questura o la Stazione Carabinieri di Cortale dalle quali Jacurso dipendeva.

L’atto dell’abbandono, compiuto per necessità ma con la voglia quasi di seguirlo a distanza e con segreta attenzione , fa riflettere quanto il gesto non annullasse la sofferenza della madre come negli altri casi quando questi sfortunati , abbandonati senza cura , venivano spesso rinvenuti morti o peggio deturpati dagli animali.

Baliatico

Ai giorni nostri e per la maggiore, non credo  che  si possa avere contezza di questo fenomeno  che ha interessato tutto l’ottocento ed i primi anni del novecento. Il baliatico, ovvero l’allattamento di un bambino che non è il proprio, sia come atto filantropico, sia come prestazione remunerata, è un fenomeno comunque , dalle origini antichissime.

Il baliatico, ovvero l’allattamento di un bambino che non è il proprio, sia come sentimento di amore e solidarietà, sia come prestazione remunerata, è un fenomeno dalle origini antichissime. A jacurso non pochi sanno di essere stati allattati da altre mamme quando la propria di latte ne aveva poco. Il ricorso all’allattamento da parte di un’ altra donna, avveniva, perlopiù, per prematura scomparsa della madre naturale, a causa del parto o durante il periodo di tempo immediatamente successivo alla nascita. Giova ricordare come il parto costituisse, ancora nell’Ottocento e nel primo Novecento, in cui l’assistenza era spesso svolta da levatrici e mammane coadiuvate dalle donne di casa, un evento potenzialmente rischioso (agli occhi odierni ), come testimoniano l’elevata mortalità neonatale ed in quella immediatamente successiva. Se nati in quaranta,  a Jacurso , sarebbero sopravvissuti certamente ridotti alla metà.

Il Baliatico , a Jacurso, si può certamente affermare essere stato presente e vissuto sotto una luce di solidarietà e correttezza. Istituito dalle Amministrazioni Comunali del tempo si faceva ricorso alle donne –madri disponibili ad allattare gli sfortunati “ trovatelli “ che a seguito degli abbandoni venivano presi a carico del Comune.

Quanto agli abbandoni consegnati, in forma anonima, presso le “Ruote” abitualmente si andava a Nicastro…

A volte, però, le cose non andavano a buon fine e si rischiava di perdere il viaggio. Già per Nicastro il percorso da fare non era agevole e per Catanzaro diventava ancora peggio.

Bisognava attraversare il Pesipe e solo nei mesi estivi , mediante larghi massi era possibile il passaggio a piedi e col carro. Col carro o col calesse si guadava in determinati altri posti .Tra andata e ritorno per sbrigare “ un affare “occorreva un giornata per Nicastro. Per Catanzaro ,invece, due giornate ed un pernottamento.

Capitò che ad accompagnare una neonata alla Ruota fosse la mamma della ragazza . Comprensibilmente, adirata per l’onta subita a seguito della gravidanza della figlia.

Di buon mattino, la scorsero partire con quell’unico postale per Catanzaro . Quanti la videro salire impacciata ,non mancarono di osservare lo scialle ingombrato e il pensiero si diresse verso quella creatura infagottata .Con un filo di pietà seguirono quel “postale “che li portava via.

Una delle due sicuramente sarebbe tornata con le stesso postale .Dell’altra non si sarebbe saputo più nulla, forse .

A Catanzaro, disse , bastò adagiarla in un specie di tiretto e dare una manata al piccolo battente di quel congegno. Chissà dov’è , chissà la sua vita!

Per un altro caso non si sa se …Andò male o andò bene !

Non si saprà mai dare una risposta giusta …avendo stravolto l’esistenza dei protagonisti !

Quel giorno non era più disponibile alcuna accettazione e la “porta “ della ruota stava chiusa.

 

A Jacurso ritornarono in due.

 

* fortunata quella casa dove ( per matrimonio ) entra un cappello. Il cappello lo portavano le persone di un certo rango.

 

 

 

 

 

francesco  casalinuovo  - jacursoonline

 

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