Pane e Zucchero
Resiste la generazione più rilevante del dopoguerra. Quella della merenda con pane e zucchero. Noi la generazione più fortunata . Quella che diversamente dai nostri padri ha scampato la guerra o , come capitato ai nostri nonni , addirittura due. In parte sarà pure vero ma prima andrebbe posizionato , accortamente , il punto di osservazione. Io sono tra quelli della fetta di pane nel cestino appeso al muro e alle Elementari stavamo in due classi anche numerose . A jacurso sono rientrato e sono il solo della mia " classe ". Classe fortunata ?
In Italia va aggiunto che noi ( i nati nei primi anni del dopoguerra ) abbiamo beneficiato dell’età cosiddetta dell’oro per quanto riguarda il lavoro. E’ quanto vien detto… sarà pure vero ma detto a posteriori . E’ vero che sarebbe stata probabile la ricostruzione dello Nazione ma poteva non avvenire oppure non essere uguale per tutti , come di fatto si è realizzato. Erano infatti nate le due Italie : Lavoro ed Emigrazione .
Sicuramente milioni di famiglie, le nostre , hanno fatto grandi sacrifici e noi con loro. E sarebbe anche vero che forse molti giovani di oggi non sarebbero stati disposti a condividere quelle condizioni. Ma per noi che , nascendo ,avevamo provato tutto l’amaro di quel brutto periodo , se c’era una prospettiva di crescita, una visione di futuro per noi figli , accettare la sfida è stata una necessità. Non abbiamo , però, conosciuto i voli low cost. Non c’era Internet, l’istruzione , l’Università , le conoscenze circolavano molto meno , mancava lo sballo e di contro eravamo anche educati. Di li a poco , questo è proprio vero, per noi sarebbe cominciata la grande emigrazione… La cosi definita Generazione dei Boomers quasi tutta emigrava ( noi tra 47 e 64). Quella generazione ha conosciuto certamente pure la fame , la miseria e quindi una infinità di sacrifici e difficoltà , privazioni e , per noi del meridione anche l’emigrazione. Noi siamo stati quelli della fetta di pane con poco zucchero sopra ( quando c’era ).
Quelli dello zucchero grezzo di barbabietola . L’aspettavamo ,eravamo soddisfatti a leccarci lo zucchero sulle dita ed ora siamo pure nostalgici e orgogliosi per quel pane di casa dal profumo unico. Senza perciò ricorrere a terminologie inglesi, di dubbio gusto che non dicono nulla ,preferiamo essere i nostalgici della merenda a pane e zucchero uguale per tutti.
Anche stavolta ,dopo questo preambolo per sgranchirci verso i ricordi, potremo capire meglio scrutando dentro le parole che incontreremo percorrendo il raccontare del nostro amico Dottore Mario Dastoli perché noi siamo stati cresciuti e anche semplicemente gabbati , con una fetta di pane.
Lu Pane cu lu ZZUCARU DE SUPRA
Lu pane cu lu zzuccaru de supa,
piacìa assai a li hfigghjiualii de na vota,
era nu prodottu prelibatu,
pe lu quale nescìamu
tutti pacci.
Doppu mangiare,
all’ura de merenda,
quandu lu stomacu
cominciava a scarmijiare,
era arrivatu lu momentu buanu.
Cu nna cucchjiarina
de lucidu metallu,
sparmava nu vellutu
de cristalli jianchi luccicanti,
supa n’affetta de pane de casa.
Aparìa la porta e
s’affacciava hfore,
guardava a nna via e a nn’atra,
era mìagghjiu si nno ‘nc’era nuddru
‘nta la strata…..
“ah bìaddru mio,
e cchi tti hfice chissu pane?,
e mmò tuttu ti lu mangi……?”
‘nce potìa essere ‘ncunu, chi
li vrusciava la panza e la volìa orgìata…..
Si nno ‘nc’eranu mancu
atri zzitìaddri,
si nda nescìa,
attentu no mmu perde nente
de chiddra superfice ‘nzuccarata.
Comincìava la prima azzannatina
ed era na sinfonia pe lu palatu,
lu duce si sciogghjia rapidamente,
hformava nu liquidu succosu,
lu sapure lu mandava ‘mparadisu.
Li labbra restavanu ‘mpacchjiati e
cu la lingua ripassava
‘ntuarnu-‘ntuarnu,
ricogghjiandu, chjianu-chjianu,
tuttu chiddru quantu ben di Dio.
Lu mussu, diventava ‘mpingìarrusu,
e ‘nce volia n’atra ripassata…..
La sicunda azzannatina,
la piazzava nta lu mianzu de l’affetta,
duv‘era tutta quanta la moddrica;
li labbra si ‘mpacchjiavanu de cchjiù.
No bbi dicu la bontà de chiddri morsi,
e la gioia de tutti li papilli stimolati;
chiddri granulicchi janchi,
si squagghjiavanu ‘nta nnente.
No ‘nce su paluari pe cuntare
com’era veramente chiddru duce.
La punta de la lingua pue,
jia sula-sula,
de la banda de supa a la banda de sutta,
‘nta tutti li ‘ngonagghji de la vucca,
e rricogghjia chiddri morziceddra
de zzuccaru rimastu.
Quandu avìa hhinutu,
azzannatina dopu azzannatina,
senza prescia,
si gustava hfin’all’urtimu morzicchjiu,
si sucava li jjidita,
si liccava li labbra,
n’atra vota,
e ssi stujiava lu mussu
cu la manu…….
e nno ‘nc’era de vìaru
cosa cchjiù bella….
di Mario Dastoli Jacurso 02 07 202
Il segreto del buon sapore del pane e … , il contentarsi per una fetta di pane …. .Ma ci pensiamo , oggi , alla importanza per una fetta di pane ? Ci rompeva la concentrazione persino l’ammirazione di chi ci osservava addentare una fettona con lo zucchero sopra .. Il desiderio … Il gusto in bocca mentre guardi distratto e lontano nel vuoto i monti della Sila. Un momento. Cè un piccolo guaio con quei corpuscoli bianchi. Silenzio e bocca chiusa.Con un amabile sorriso si diffonde pacatamente “ ..chi bella affetta de pane sapurita . È Bettina , la vicina de ruga , che al tempo sapeva salutare anche così i figli della citatejha!
Il pane , a Jacurso , già scarseggiava per vari motivi ma si era inasprito per via della guerra e delle sanzioni causa di nuove gabelle , tessere e tasse sulla farina che colpiva la produzione del pane cioè tutte le famiglie che di pane campavano. Ma a Jacurso i mulini ad acqua erano tanti e in nessuna famiglia mai si fece mancare “un ciarmello “ di farina per non privare il pane sulla tavola.
In quegli anni e nel passato in generale , il pane era diventato l’alimento più importante tanto che non a caso si era solito dire “ Quandu ‘ntà la casa ‘ncè lu pane , ‘ncè tuttu ! “ e si poteva aggiungere “ e ssì ‘ncè puru l’uagghju , la fharina e lu vinu … la casa è china “. Perché come si è già scritto, la farina abbisognava ai soldati e , dopo la disfatta, mancavano ancora le braccia giovanili per la coltivazione delle terre dalla quali proveniva il sostentamento alimentare. Sia per le famiglie che per gli animali che allevavano.
E’ triste scriverlo ma Uomini e Animali in quel periodo si ritrovarono equiparati per la fame. Tutti in cerca di un alimento per vivere. In quegli anni e nel passato in generale , il pane era divenuto l’alimento più importante tanto che non a caso si era solito dire “ Quandu ‘ntà la casa ‘ncè lu pane , ‘ncè tuttu ! “ e si poteva aggiungere “ e ssì ‘ncè puru l’uagghju , la fharina e lu vinu … la casa è china “. Perché come si è già scritto, la farina abbisognava ai soldati e , dopo la disfatta, mancavano ancora le braccia giovanili per la coltivazione delle terre dalla quali proveniva il sostentamento .
Ci sono odori e sapori che , dopo l’infanzia e l’adolescenza ,ti accompagnano per tutta la vita e uno di questi resta per noi il profumo di quel pane fatto in casa . Appena sfornato ha la crosta croccante e il suo morbido interno si scioglie quasi in bocca mentre ti inebria di profumo.
Siamo nei primi anni ’50 e gli effetti della guerra appena finita , hanno messo in evidente difficoltà la maggior parte della popolazione. La vita però continua e , quando tornano a casa i pochi superstiti , non sono poche le giovani donne che aspettano . Aspettavano da che erano ancora ragazze! Alcune saranno accontentate altre deluse . Siamo nati noi . Tanti tra il primo e il secondo anno di pace pur tra difficoltà e sacrifici ma c’era una prospettiva, un desiderio di vita , una visione sul futuro e la sicurezza di una mamma accanto... sempre .
A jacurso , alcune famiglie sono provate dai lutti di guerra , altre da ristrettezze di ogni sorta cosi che sono diventate più povere mentre la classe operaia appare decisamente segnata ancora più da una condizione di miseria.
Miseria , scritto oggi , vuol dire che ? Forse niente , forse uno sorrisetto difficoltoso senza opinione di chi non sa e per quanti non sapranno rispondere.
La Prova. Il pane rimosso da sotto le coperte " è cresciuto ". Ha fatto una buona lievitazione naturale con la " Levatina " , il prodotto naturale tramandato come lievito madre. Va infornato
Non c’era l’abbondanza e il "Il modo di mangiare quel “pane e zucchero “ è cambiato negli anni. Una volta si avevano a disposizione molti meno alimenti, perché tutto era legato al territorio, alla stagionalità, ai tempi della natura. Basti pensare che non esistevano i frigoriferi , i surgelati e lo spostamento delle merci e le importazioni erano ridotte al minimo. Cominciavamo a conoscere appena i formaggini Ferrero ma più per i regali e le figurine che per il prodotto. Perchè i soldi , le lire giravano poco. Il progresso però cominciava a fregarci con le figurine mentre si facevano già largo altre varietà di cibo a dismisura".
Abitare alla Cona o alla Citatejha non cambiava nulla. Le zone del paese erano tutte intensamente abitate da muovere una piccola economia che tra il baratto o pagando lasciava ancora vivere le famiglie che erano anche numerose. Ora quelle “Potihfe “ non ci sono più e nelle strade e rughe non si ascoltano neanche le voci degli artigiani o dei venditori ambulanti. Arricu uno dei primi vendanti, il più socievole e amabile nella sua pronuncia barese , era atteso dalle donne . Pettini larghi e stritti , pettinisse e ferretti aghi ,lucido per le scarpe ,spilli…Tutto in una cassetta a tracolla sul petto .
Aspettare la merenda non era un impegno. Per noi costituiva ,invece, un dovere viscerale con tutto il rituale da allestire per gustare meglio. Intanto l’ora arrivava puntuale e, senza orologio , attorno alle quattro del pomeriggio. Fuori dalla porta, l’abituale sediolina , legno e vimini ,faceva parte della frenesia . Veniva ruotata all’incontrario così da appoggiare i gomiti e ,quando con la coda dell’occhio da destra e sinistra il campo era libero , il liberatorio primo morso appiccicava i cristalli porosi dello zucchero sul labro superiore e tale restava fin quando con un’accorta giravolta della lingua si metteva pace all’appagato desiderio di una sfiziosa leccata. Si sa . Quando non ci sono grandi possibilità di scelta entra in gioco la fantasia, e noi ne avevamo tanta!
Per quelli che stavano in campagna i rituali invece mancavano anche se tra nonne e mamme quando era l’ora pensavano … è ura mu si mangia ‘ncuna cosa. Il pane era sempre la base del desiderio e si era soliti dire che sfornava “ pane scuru “. Adesso , con le nozioni che ho appreso dai “ mulinari “ di jacurso posso scrivere che si producevano diverse farine. Quella bianca preferita dai “ signuri “ e quella scura abitualmente più economica per i restanti “ altri “. Siccome i tempi “ cambiano “ la scura altro non era che l’attuale multicereali o integrale. Nelle nostre terre si coltivava il Grano “ Ncenzalora “ ( di tipica semente locale ) , il grano tenero , e il grano jermanu che altro non era che la segale. La farina bianca impegnava tempo ,invece , per la necessaria separazione dei grani.Uno degli ultimi "dei Mulinari " mi diceva che si usavano " Crivi " e " Crivelli " ma che " spulicatu " era la via più corta e risolutiva.
Questa farina mista ,cioè multi grani allo stato naturale , era chiamata scura e veniva usata dalla gente più povera che non voleva perdere nulla; setacciata con diversi tipi di crivelli, invece, dava o la farina 0, o quella 00, oppure la semola; da queste operazioni si ottenevano degli scarti che erano la crusca e il cruschello, che servivano per alimentare gli animali, galline e maiali, mentre oggi sono usati anche per curare certi disturbi causati dalla vita sedentaria o dallo stress, e sono venduti a caro prezzo nei mercati , in farmacia o in erboristeria.Per la separazione , nei mulini nostrani ad acqua ci anfdava di mezzo la manualità de " lu mulinaru " che doveva calibrare la distanza tra la pietra fissa e la girante che stava sopra sullo stesso asse.
Mi sono documentato sui valori della segale che sul piano nutrizionale contiene un elevata presenza di sali minerali quali : fosforo, potassio, magnesio, calcio, zinco, rame, manganese e ferro
Era lì che si vedevano le differenze. I figli di chi era cittadino da tempo mangiavano pane bianco spalmata di qualche marmellata , la frutta indice di agiatezza. I figli di coloro che si erano da poco trasferiti dalla campagna consumavano una merenda, che al solo sentirne parlare ancora evoca momenti di felicità e spensieratezza. Nelle case di campagna non sempre era , infatti , disponibile lo zucchero. A parte che, lavorando , non si disponeva del tempo e del luogo giusto. Ma la civiltà contadina sapeva anche di buome intelligenze e , sparsi nelle terre, si incontravano le piante da frutto . Per ogni stagione , direttamente sul posto e dalla pianta giusta, bastava allungare le mani e servirsi . In posizione eretta e da fermi. Ma la fettona c’era per chi stava in casa e le si strofinava sopra un pomodoro , un pizzico di sale e qualche volta un velo d’olio. Oppure Pane,vino rosso e poco poco zucchero. O ancora pane , aceto e un pizzico di sale. Lo spuntino vincente era il tris «pane-zucchero-vino», economico , semplice da preparare e sublime al palato.
Bettuza e Sipendinota
Erano gli asili del tempo. Tanti panierini appesi ai chiodi della parete. All’ora della merenda si davano e si aprivano questi panierini. Pane e zucchero , pane e frittata e lu vozzariajhu per bere.
La generazione del dopoguerra (ci dicono Boomer s ) .
Baby boomers o "Boomers" (1946-1964) Generazione X (1965-1980) Generazione Y o "Millennials" (1981-1996) Generazione Z o "Centennials" (1997-2012)
Le nostre ultime generazioni non potranno mai capire la stanchezza serale dei loro coetanei che , stanchi di forze , avvertivano solo la voglia di ripararsi in un sonno ristoratore. Adesso tanto è cambiato sui sonni riparatori che di fatto non sono più necessari. Vegliano anche le mamme , aspettando stanche e pensierose sin dopo l'alba .
Imparare un mestiere era divenuta la necessità delle famiglie e già non pochi genitori avevano affidato i figli all’arte della campagna. Pascolare le mandrie, accudire gli animali da stalla o compiere i lavori agricoli erano compiti che i ragazzi imparavano subito in cambio del pane quotidiano accompagnato dal companatico . Con un po’ di buonsenso, allora ancora in uso , a questi ragazzi non veniva comunque negato un compenso mensile che , quantunque esiguo , scaricava di qualche spesa la famiglia. Oggi considereremmo quel compenso meno della “ paghetta “ corrisposta ai figli del benessere “. E non era sfruttamento ma un normale avviamento al lavoro.. Oggi “ l’avviamento “ è completamente diverso “.
Lo Zucchero di Santa Eufemia
Da Jacurso ,ogni giorno , transitavano almeno quattro camion con rimorchio carichi di barbabietole. Si fermavano davanti al Bar della Signorina e gli autisti bevevano un caffè o una birra . Tra i salve , salute e salutiamo si era fatta conoscenza al punto che sapevamo abbastanza di questi trasportatori che arrivavano coi camion carichi dal crotonese , da Strongoli , per scaricare allo zuccherificio di Santa Eufemia. In via nazionale ci abitavo e davanti al bar mio padre aveva bottega . La strada provinciale era ancora “ la Mbriccciata “ ( senza asfalto ) e restavamo a guardare quei camion con rimorchio inebriati da quelle visioni. Osservavamo da vicino , l’Orione della Lancia , il 682 della Fiat, Lancia taurus .Alcuni di loro erano ribaltabili! Ed eravamo semplicemente soddisfatti per queste conoscenze.
Lo zucchero
Lo zuccherificio di Santa Eufemia . E il nostro pacco di zucchero con la barbietola di Strongoli.
Sono stato a fare un giro virtuale nello Zuccherificio di santa eufemia . Ne sono uscito triste affezionato per quanto quel zucchero ha dato alla mia generazione.
Il succo zuccherino proveniente dalla prima fase della lavorazione della barbabietola o della canna da zucchero, viene sottoposto a complesse trasformazioni industriali: prima viene depurato con latte di calce che provoca la perdita e la distruzione di sostanze organiche, proteine, enzimi e sali di calcio; poi, per eliminare la calce che è rimasta in eccesso, il succo zuccherino viene trattato con anidride carbonica. Il prodotto quindi subisce ancora un trattamento con acido solforoso per eliminare il colore scuro, successivamente viene sottoposto a cottura, raffreddamento, cristallizzazione e centrifugazione.
Si arriva così allo zucchero grezzo. Da qui si passa alla seconda fase di lavorazione: lo zucchero viene filtrato e decolorato con carbone animale e poi, per eliminare gli ultimi riflessi giallognoli, viene colorato con il colorante blu oltremare o con il blu idantrene (proveniente dal catrame e quindi cancerogeno). Il prodotto finale e’ una bianca sostanza cristallina che non ha piu’ nulla a che fare con il ricco succo zuccherino di partenza e viene venduta al pubblico per zuccherare gran parte di cio’ che mangiamo.
Quanti dei consumatori abituali di zucchero sono a conoscenza che stanno mangiando una miscela contenente calce, resine, ammoniaca, acidi vari e “tracce” di barbabietola da zucchero?
Che cosa e’ rimasto del primo succo scuro ricco di vitamine, sali minerali, enzimi, oligoelementi che avrebbero dato tutto il loro benefico apporto di vita, di energia e di salute? A me, a Mario , a Tanti altri coetani resta un velo di nostalgia ,comprensibile .
ciarmello = contenitore di telo bianco a forma di sacco ma molto più piccolo
crivi e crivelli = cestelli con tanti fil di ferro concentrici distanziati tra essi per filtrare i semi spulicare = osservare e separare
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franco casalinuovo Ass. Cult. Kalokrio jacursoonline
21.08 .22