Per non Dimenticare Cento Anni

 

Quel giorno, nel 1918, l’esercito dell’Austria-Ungheria deponeva le armi dopo la sconfitta sul Piave. Ventiquattr’ore prima, il 3 novembre, le truppe italiane erano entrate a Trento e a Trieste. Una settimana dopo, l’11 novembre, il cannone avrebbe taciuto anche tra Francia, Belgio e Germania.

La Prima Guerra Mondiale, con i suoi nove milioni di morti in divisa, più altri sette milioni tra i civili, è stata una tragedia di dimensioni spaventose, che ha contribuito a plasmare l’Europa in cui viviamo.

Sappiamo bene che gli anniversari ufficiali, come quello recente per i 150 anni dall’Unità d’Italia (1861-2011) diventano di rado occasioni per una riflessione storica seria.

 

Per i cent’anni della Grande Guerra, però, si percepisce la sensazione che la riflessione in Italia semplicemente non c’è stata.

 

 

 

Questa mattina le campane suonano a festa . Si dovrebbe festeggiare   il centenario della vittoria ( guerra 1915-18 )  e  un po dappertutto  sventola il tricolore , le strade sono imbandierate , i monumenti rimessi a festa , ornati e adornati. Nei cimiteri anche i monumenti  o le tombe dei caduti  hanno i lumini accesi ,i fiori freschi , le corone dei reduci , delle associazioni e delle Amministrazioni.  Anche a Jacurso .

Un tributo dell’Italia Unita che dopo la conquista del Sud ,mancando  il completamento territoriale con le terre irredenti dell’est , si era resa necessaria scatenare ancora una guerra per la conquista di Trento e  Trieste che la loro guerra ,in verità, avevano cominciata a farla già un anno prima . E pensare che quella gente , austro-ungarica  o italiana ( non si sa ) stavano anche bene in quell’Impero al quale esercito avevano  dato, da sudditi, i loro giovani arruolati nei reparti austriaci.

Alla fine si ritrovarono prigionieri degli italiani. Italiani prigionieri degli Italiani. Un pasticcio.

L’associazione kalokrio , pur nella volontà e “ attrezzati “ per celebrare rispettosamente tale ricorrenza  , questa volta non ha ritenuto di farlo mancando le condizioni  considerate indispensabili .Comunque lo stesso viene proposto , in forma certamente ridimensionata , sul sito di jacursoonline dove, chi avverte qualche interesse per  l’evento può , anche , condividerlo .

Coscienti che lo spazio dovrà essere limitato per non portare noia al lettore ci si soffermerà sul primo conflitto del quale ricorre il Centenario ma non possono essere taciuti i riconoscimenti per quei  ragazzi che  ,nati a ridosso della prima guerra  mondiale  sono andati a  morire , quasi tutti , dentro un’altra sciagurata Guerra che vide  artefice lo stesso  “ Re “   Decisionista, insieme ad altri,  della vita altrui.

Non è acredine o dissenso verso l’Unità’ italica  , ma dovremmo riconoscere che con la necessità di farla , a noi meridionali ci fu  “ calata “  una   “ Mala Unità “  apparsa subito come un rapimento del territorio  riordinato subito a Colonia e peggio in avvenire sino ai giorno nostri. Questa considerazione è palpabile  a tutt’oggi  dove il malessere è palese e i giovani stanno combattendo una lunga guerra personale.

Per la guerra  fatta con le armi , invece ,  il popolo meridionale  è passato dalle imprese nefaste del Cialdini a quelle più cruente di Cadorna.


Guerra 15 18

Una testimonianza interessante è sicuramente quella di Adolfo Zamboni, colonnello ferrarese del 141° reggimento fanteria della Brigata Catanzaro che fu tenuta in ombra sia per i suoi valori militari , che meritavano altra vestigia ,  sia per il comportamento dignitoso  e coraggioso dei giovani soldati meridionali e calabresi in particolare .

I nostri ragazzi soldato erano nell’ottica di essere ricordati in questa ricorrenza del centenario ma ci si ripropone di farlo in altro periodo perché è anche vero che nelle loro famiglie sono rimasti vivi ogni giorno e per cento anni.

“Piccoli, bruni, curvi sotto il peso del grave fardello, scesero alle stazioni delle retrovie e si incamminarono verso le colline Carsiche gli umili fantaccini della remota Calabria, la forte terra dalle montagne boscose e dai clivi fioriti dove pascolano a mille i placidi armenti. Chiamati lontano dalla Patria in armi, questi poveri figli di una Regione abbandonata lasciarono le loro casette sperdute tra i monti, abbandonarono i campicelli e le famiglie quasi prive di risorse e vennero su nelle ricche contrade che il nemico mirava dall’alto, bramoso di conquista e di strage.

I nostri partirono dallo Scalo di San Pietro a Maida. Direzione Catanzaro Marina . Percorsero tutta la penisola e sostarono in tante stazioncine. A Salerno uno dei nostri non riuscì più a proseguire. Si chiamava Giuseppe. Gli altri arrivarono nelle trincee scavate nella roccia e bagnate già di sangue.

Fieri e indomiti, cresciuti nella religione del dovere e del lavoro, i Calabresi non conobbero la viltà, non coltivarono nell’animo gagliardo il germe della fiacchezza: alla Patria in pericolo consacrarono tutta l’energia dei loro rudi cuori, tutto il vigore delle floride vite. Apparivano selvaggi, ed erano pieni d’affetti nobilissimi; sembravano diffidenti, ed aprivano tutto il loro animo a chi sapeva guadagnarsi il loro amore; all’ingenuità ed al candore quasi puerili univano il coraggio e la risolutezza dei forti. Un piccolo servigio, una cortesia usata loro, ve li rendeva fedeli fino ad affrontare per voi con indifferenza il pericolo.

I compagni d’arme delle regioni del Nord, dividendo un vecchio pregiudizio, per il quale i fratelli dell’Italia inferiore erano considerati alquanto retrogradi e selvaggi, guardarono da principio con una certa noncuranza sdegnosa quei soldatini dalla parlata tanto diversa e così schivi di convenzioni; «terra matta»  “ Terrun “ e «terra da pipe» erano gli appellativi che talvolta scherzosamente venivano indirizzati ai modesti gregari nati e cresciuti nelle terre del meridione.

Un episodio , abbastanza noto , fu quello del soldato di Girifalco . Umiliato e deriso , si ribellò con un fatto di sangue e finì sacrificato alla disciplina militare delle pallottole.

Però, quando la fama incominciò a diffondersi e a divulgare il loro valore e la loro audacia; quando si videro quei forti campioni muovere decisamente e costantemente all’assalto sanguinoso di posizioni inespugnabili; quando infine seppe dell’ecatombe di morti ,offerta dal popolo dell’Italia negletta, allora in tutto il Paese si levò appena una voce concorde di ammirazione ”.

I nostri ragazzi  partirono verso le terre del Nord Est

salirono su una carrozza di treno che non  conoscevano  , sedettero a fianco di altri ragazzi mai visti e , insieme a loro,sicuramente non sarebbero stati capaci “ mu agghiuttanu na stizza d’acqua “ durante tutta la tradotta . Il viaggio sarà stato lungo , penoso e interminabile. Era una  “ tradotta militare “ e si fermava ad ogni stazioncina per  accogliere altri ragazzi diretti verso lo stesso destino.

La Brigata Catanzaro rappresenta l’immagine di questi sventurati che , a Jacurso , conoscevano il lavoro durante il giorno e alla sera il muro dell’Acquaro da dove corteggiavano le coetanee che andavano alla fontana.  Quelli della Montagna ,molto popolosa,  sapevano dei loro animali ,della terra da zappare e delle Montagne del Friuli non interessava  nulla. Non sapevano la guerra , non sapevano il fucile da guerra con la baionetta, la trincea , dei gas che li avrebbero  asfissiato e delle bombe austriache Shrapnel che li avrebbero dilaniato.

Anche loro incontravano le coetanee quando andavano ad abbeverare capre ,vitelli e vacche ed anche in montagna aprivano i loro sentimenti.

La Brigata Catanzaro viene costituita il 1° marzo 1915:  Centro di mobilitazione  Catanzaro Marina con distaccamenti a  Crotone, Monteleone e Nicastro; il 142° dal centro di mobilitazione Cosenza con distaccamenti a Castrovillari, Rende, Paola, Rossano e Dipignano.

Le  UNDICI battaglie dell’Isonzo  volute da  Cadorna

Una volta giunti in Friuli, dopo un periodo di addestramento e riassetto del comando, la Brigata Catanzaro iniziò l’impegno bellico con la II Battaglia dell’Isonzo. Mi capita spesso di pensare a quei giovani che non erano mai usciti dai propri paesi e che ora si trovavano nel bel mezzo di un mattatoio.

Il battesimo della Catanzaro avvenne con la prima linea dal 22 luglio al 4 agosto 1915 sulla linea S.Michele-Bosco Cappucci, svolgendo successivamente altre operazioni fino al 27 agosto. Dopo qualche giorno di recupero i fanti vennero inviati in trincea a S.Martino del Carso.

Trentatrè interminabili giorni in trincea, esposti agli attacchi nemici, alle condizioni atmosferiche, alle malattie, alla nostalgia, alla paura, dal 17 settembre al 20 ottobre. Il 21 ottobre scattò per la Catanzaro la III Battaglia dell’Isonzo, che proseguì fino al 4 novembre sulla linea Cappella S.Martino-S.Martino e con la quale terminarono le operazioni più rilevanti in questa prima fase del conflitto. Fu una battaglia che si concluse senza successo e con un bagno di sangue, per l’ostinata intenzione del Generale Cadorna di voler sfondare il fronte austriaco con le “spallate”, di fatto cariche in campo aperto che si trasformavano in un tiro al bersaglio da parte delle micidiali mitragliatrici austriache.

Il Diario del 141° reggimento dice che “L’azione come il giorno 23  fu decisa, risoluta, i mucchi di cadaveri innanzi agli ostacoli avversari ancora intatti non influirono per nulla sullo slancio dei giovani da poco venuti a far parte del reggimento in sostituzione dei caduti e dei feriti. Reparti interi scompaiono, non riescono nemmeno a spianare il proprio fucile nelle feritoie austriache, sono mietuti”.

Per i soldati il 1915 finì così, con la discesa all’inferno di una guerra mai voluta, un Natale lontano dagli affetti nel freddo pungente di una terra sconosciuta e con le lacrime per tutti i fratelli uccisi, mutilati e dispersi. In questa fase della guerra la Brigata contò infatti il 50% di perdite rispetto all’organico originario, ma il bagno di sangue era solo all’inizio.

Il nuovo anno ripartì con le azioni di difesa di Oslavia, testa di ponte italiana per la conquista di Gorizia, che tenne impegnata la Catanzaro dal 19 gennaio al 10 febbraio 1916 sotto l’attacco furioso delle forze austriache. Guerra di trincea e contrattacco sul campo, altri morti, altro sangue. Dopo un breve periodo di recupero la Brigata partecipò alla V Battaglia dell’Isonzo, dal 1° al 15 marzo, e si posizionò in prima linea per più di due mesi nei pressi del monte Fortin, dal 2 marzo al 13 maggio.

La scarsa capacità degli ufficiali di gestire una tale situazione di difficoltà, unita alla stanchezza e alla disperazione dei soldati generò uno sbandamento di parte delle truppe italiane. In quella situazione di panico molti soldati di dispersero nel bosco per cercare riparo. Alcuni di essi vennero riportati indietro dai Carabinieri durante i rastrellamenti della zona, molti altri tornarono spontaneamente il mattino dopo. La sera del 27 maggio, dopo una giornata di intensi combattimenti, la Brigata Catanzaro scatenò l’attacco alla baionetta alle postazioni nemiche senza alcuna copertura da parte dell’artiglieria italiana.

Finalmente alle 21:45 i fanti della Catanzaro riuscirono a riconquistare i pezzi di artiglieria persi il 26 maggio, che poi furono resi innocui vista l’impossibilità logistica di riportarli all’interno delle linee italiane.

Da quel giorno il motto della Brigata Catanzaro divenne “Sul Monte Mosciagh la baionettà ricuperò il cannone!”

La rivolta

A Santa Maria la Longa, importante base logistica del III Corpo d’Armata, è il 15 luglio del 1917.  I fanti della Catanzaro manifestano segni  diffusi di instabilità mentale e fisica , stanchezza e malesseri di varia natura. Aspetti e segnali che non destano alcuna riflessione nei Comandi superiori.

È domenica, e nei baraccamenti posti nelle immediate vicinanze del paese friulano stanno trascorrendo un periodo di riposo i fanti della “Brigata Catanzaro”, costituita dal 141° e 142° Reggimento Fanteria.

I fanti sono stressati dal lungo tempo passato in prima linea e gli alti comandi hanno previsto per loro un periodo nelle retrovie. All’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, accade qualcosa di inatteso.

Un fonogramma, giunto nella tarda serata, richiama in trincea la Brigata.

Vistisi turlupinati in modo così barbaro, i poveri fanti che non erano riusciti nemmeno ancora a spidocchiarsi, perdettero la pazienza e si ribellarono ai propri ufficiali.

Inutile dire quel che avvenne. Giudizi capitali pronunciati ed eseguiti a tamburo battente contro soldati, forse innocenti dell’ammutinamento, decimazioni, ecc. ecc. I sopravvissuti dei due reggimenti, incolonnati fra due file di automitragliatrici blindate con l’automobile del generale in testa, ricondotti, come un branco di pecore spaventate, in trincea. Sarebbe da meravigliarsi se tali soldati si fossero, alla prima occasione propizia, arresi al nemico?


La vicenda suscitò impressioni sgomente nell’opinione pubblica. Gli echi sulla stampa furono ampi. Un ufficiale scrisse al quotidiano socialista L’Avanti una lettera, che fu pubblicata, senza firma, in prima pagina il 16 agosto 1919, due anni dopo l’eccidio.

 

 

la riprendiamo integralmente dal libro di Saitto:

«Caro “Avanti!”

Chi potrà mai descrivere l’orrore delle decimazioni ordinate da Comandanti di Corpi d’Armata e di Divisioni? Compagnie, battaglioni, reggimenti, brigate intere allineate per assistere alla nefanda scena dell’assassinio dei loro commilitoni, scelti dal caso.

Tristissimi ricordi che la mente vorrebbe aver per sempre dimenticati. Sono cose queste che tutti quelli che sono stati al fronte sanno benissimo.

Ma ritorniamo al 141 e 142. Dicevo dunque che i poveri fanti erano andati a riposo a Santa Maria la Longa. Per calmare la loro legittima esasperazione era stata sparsa fra i soldati la voce che dopo un lungo turno di riposo, tutta la brigata sarebbe stata trasferita su un fronte calmo: la Carnia o il Cadore. Passano quattro o cinque giorni ed arriva dalla Divisione un fonogramma che richiamava tutta la brigata in linea con la massima urgenza.

Il fatto avvenne nei primi di luglio del 1917.

Che dire poi di ufficiali i quali si vantavano, pubblicamente in presenza di ufficiali e soldati, di aver ucciso a rivoltellate soldati ed ufficiali subalterni durante le azioni?».

Per la cronaca, l’eccidio della Brigata “Catanzaro” si concluse con l'inevitabile trasferimento di alcuni comandanti e l’archiviazione del caso. Fu un episodio isolato, forse, ma fu un segno evidente del logoramento a cui le durissime condizioni di guerra avevano portato le truppe dell'esercito italiano. Lasciò una dolorosa impressione nell’opinione pubblica, in quanto era accaduto in una brigata come la Catanzaro, nota per la sua fama di eroica combattente, e più volte decorata per il suo valore. I fanti della Catanzaro, dopo questo sussulto rivoltoso, sarebbero tornati a morire con la rassegnazione e il coraggio di sempre.

GIOVANNI SAITTO:

“Un fante in rosso e nero. Omaggio al soldato Placido Malerba, del 142° RGT. FTR. “Brigata Catanzaro”, Edizioni del Poggio, 2006, pp. 125, ill. euro 8.

Esplode la protesta degli uomini in grigio-verde. Nella notte, sedata la ribellione, il Comandante della Brigata ordina la fucilazione di quattro soldati, scoperti con le canne dei fucili ancora calde. Avviene quindi la decimazione del resto della Compagnia. All’alba del 16 luglio, sedici fanti (4+12 decimati) vengono passati per le armi a ridosso del muro di cinta del cimitero di Santa Cecilia e posti in una fossa comune. È il primo caso di ammutinamento nelle file del Regio Esercito, un’onta che ancora oggi macchia il nome di una delle Brigate di Fanteria più eroiche del nostro Esercito.

Un’onta per Cadorna da parte di questi carne da macello di meridionali. Sporchi, analfabeti ma  abili di coltello da mandare con la baionetta in prima linea. Morendo lo stato non avrebbe perso granchè se non cafoni. Era un altro nobile tassello della Mala Unità .

La sera del 28 maggio sul monte Sprunk i comandanti del 141° reggimento, seguendo le direttive contenute nelle comunicazioni del Generale Cadorna che spingevano gli ufficiali all’attuazione della giustizia sommaria nei casi di indisciplina, fecero fucilare tre sergenti e otto militari scelti a caso tra gli sbandati, oltre a rimandarne 74 al tribunale di guerra, il quale successivamente avrebbe inflitto condanne lievi nella considerazione delle particolari e molto critiche condizioni in cui si svolsero i fatti. Questo fu il primo caso di decimazione di cui fu vittima la Brigata Catanzaro, frutto dell’ossessione cadorniana dell’esaltazione della disciplina, spietata con i deboli e indulgente nei confronti degli ufficiali.

Ma nell’enfasi del racconto eroico non ci fu mai spazio per quei soldati fucilati, vittime di una gestione scellerata delle truppe e del mito della disciplina come unico fattore determinante per la riuscita delle operazioni militari. Così per la propaganda dell’epoca i fanti della Catanzaro divennero solo il simbolo della dedizione e dell’estremo sacrificio, venne pubblicato il Bollettino di guerra sopra citato e furono immortalati nella copertina della Domenica del Corriere, la cui didascalia recita: “Un brillante contrattacco dei valorosi calabresi del 141° fanteria libera due batterie rimaste circondate sul monte Mosciagh”.

D’Annunzio, che ironia della sorte doveva essere uno degli obiettivi della rivolta, rese onore a quegli stessi soldati deponendo foglie d’acanto sui cadaveri dei giustiziati prima della sepoltura. Successivamente compose questo scritto:

Dissanguata dai troppi combattimenti, consunta in troppe trincee, stremata di forze, non restaurata dal troppo breve riposo, costretta a ritornare nella linea del fuoco, già sovverta dai sobillatori […] l´eroica Brigata ´Catanzaro´una notte, a Santa Maria la Longa, presso il mio campo d´aviazione, si ammutinò[…]. La sedizione fu doma con le bocche delle armi corazzate[…]. Una parola spaventevole correva coi mulinelli di polvere, arrossava la carrareccia, per la via battuta: ´La decimazione! La decimazione!´L´imminenza del castigo incrudeliva l´arsura […]. Di schiena al muro grigio furono messi i fanti condannati alla fucilazione, tratti a sorte nel mucchio dei sediziosi. Ce n´erano della Campania e della Puglia, di Calabria e di Sicilia […]. I fucilieri del drappello allineati attendevano il comando, tenendo gli occhi bassi, fissando i piedi degli infelici, fissando le grosse scarpe deformi che s´appigliavano al terreno come radici maestre […]. I morituri mi guardavano. I loro sguardi smarriti non più erravano ma si fermavano su me che dovevo esser pallido come se la vita mi avesse abbandonato prima di abbandonarli […]. Siete innocenti? Siete traditi dalla sorte della decimazione? Sì, vedo. La figura eroica del vostro reggimento è riscolpita nella vostra angoscia muta, nell´osso delle vostre facce che hanno il colore del vostro grano […]. Siete contadini.

Vi conosco dalle mani. Vi conosco al modo di tenere i piedi in terra. Non voglio sapere se siete innocenti, se siete colpevoli. So che foste prodi, che foste costanti […]. I fanti avevano discostato dal muro le schiene. Tenevano tuttora i piedi piantati nella zolla ma le ginocchia flesse come sul punto di entrare nelle impronte delle calcagna. E, con una passione che curvava anche me verso terra, vidi le loro labbra muoversi, vidi nelle loro labbra smorte formarsi la preghiera.

La Brigata Catanzaro venne formata il 1° marzo del 1915 a Catanzaro Marina. Era composta da due reggimenti: il 141° costituito il 14 gennaio 1915 a Catanzaro Marina e il 142° costituito a Vibo Valentia (che ai tempi si chiamava Monteleone di Calabria). Gli appartenenti alla “Catanzaro”, circa seimila unità, erano per lo più calabresi, ma non mancarono nelle proprie file siciliani, pugliesi, lucani e molisani. Il simbolo della Brigata erano le mostrine di colore rosso e nero, a simboleggiare il sangue e la morte. Il motto recitava “Portiamo i colori del sangue e della morte: ovunque vincitori”.

Nella Calabria dell’epoca la popolazione traeva sostentamento per lo più dall’agricoltura. Le famiglie erano costituite da molti elementi per garantire tante braccia da impiegare nei campi, nei pascoli e nei boschi. La pratica del latifondo estremizzava le differenze socio-economiche tra i proprietari terrieri e i braccianti, spesso costretti a vivere in una situazione di miseria. Il livello di istruzione era molto basso, nonostante l’emanazione della “Legge Casati” che rendeva obbligatoria l’istruzione elementare per i primi due anni. Con queste premesse è semplice comprendere come la chiamata alle armi di quei giovani sia stata non solo una tragedia umana e affettiva, ma anche la sottrazione di una delle poche fonti di sostentamento della popolazione. Quelle braccia portate via per combattere anche per e al fianco di quegli Italiani del nord che disprezzavano o addirittura odiavano noi meridionali.

Erano passati poco più di cinquant’anni dall’unificazione territoriale dell’Italia, evento non accompagnato,cioè lasciato a se stesso ,  da un’amalgamazione dei due popoli . Soprattutto pregiudizi , diffidenze e poi emigrazione . Per quei soldati stipati nei treni con destinazione Friuli tutti questi sentimenti dovettero essere sostituiti solo dal timore di non vedere più i propri cari e i propri paesi.

Durante le undici battaglie dell’isonzo i prigionieri italini caduti in mano austriaca sono tanti. Si fa notare un tenente austro tedesco di nome Rommel acuto e scaltro nella strategia militare. Anzicchè sui lati come fa Cadorna attacca a sorpesa l’esercito italiano nelle retrovia e cattura ,oltre che i soldati anche i rifornimenti,i rinforzi e quant’altro. Lo ritroveranno nel secondo conflitto ma stavolta come alleato.

L’italia è sempre una Italietta poco affidabile  e , ad inizio della guerra , gli inglesi ci promettono tante mitragliatrici che però aspettano a consegnarci. Perchè , diranno , vogliamo sapere  verso quale direzione spareranno. E Francesco Giuseppe esclamava alla dichiarazione di guerra ..” per un tradimento del quale la storia non conosceva esempio” .

Francia e Germania mandano aiuti alimentari ai loro soldati prigionieri . L’italia , al contrario , rifiuta di sottoscrivere qualunque accordo perché gli alti comandi sono ossessionati dalla diserzione  dei soldati. Soprattutto Cadorna è convinto che la maggior parte dei prigionieri si è consegnato al nemico (austriaci ) per vigliaccheria , per ripararsi alla morte o per sfuggire alla terribile vita nelle trincee.

Il ministro Salandra fa proprie le convinzioni di Cadorna e non manda aiuti alimentari soprattutto per inviare un segnale ai disertori , un segnale punitivo . L’obiettivo per evitare la diserzione è far saper che le condizioni di prigionia sono ben peggiori di quelli in trincea. E’ l’orrore della prigionia che bisogna inculcare nelle testa dei soldati . Vengono punite anche le famiglie dei disertori con il blocco dei sussidi di guerra  ed altri espedienti come la corrispondenza . E si arriva a Caporetto con l’infausta colpa addossata ai soldati a discolpa dei vertici che di incapacità ne hanno manifestata abbastanza.

I pazzi o finti matti

In ogni battaglione in ogni reparto si cominciano a verificare  malattie mentali .tremori ,convulsioni , stati confusionari . Sempre di più soldati restano incapaci di combattere . La psichiatria del tempo è ancora incapace di spiegare o curare questa malattia ed esprimono il parere che la guerra non può portare alla pazzia . I medici psichiatri devono smascherare i simulatori ed estirpare questo cancro… è l’ordine superiore.

Ma sono soldati deliranti per la paura , per la stanchezza, per la fame ….mentre i comandi insinuano solo farneticazioni per sottrarsi alla trincea e all’assalto…per tale motivo vanno smascherati , consegnati alle carceri militari , condannati e puniti. Il più delle volte finiscono davanti al plotone di esecuzione ….come monito ed esempio per la truppa.

Dopo Caporetto  le condizioni della guerra peggiorano . Più di trecentomila soldati vengono catturati e vanno ad aggiungersi ai tanti prigionieri. Cadorna vede concretizzarsi le sue idee a dimostrazione della disfatta. Si riducono le minime assistenze alimentari ai prigionieri che ora vivono in condizioni estreme. Sono motivazioni giuste ? . Si è detto proprio di no perché i sopravvissuti ci raccontarono che i soldati austriaci soffrivano già la fame più di loro . Gli austriaci erano ridotti peggio , non riuscivano a nutrire i loro soldati e i servizi inglesi , pare , lo avrebbero fatto sapere  ai nostri vertici .

Pertanto non è che i nostri prigionieri venivano  trattati  da nemici italiani ma semplicemente perché non avevano più risorse per i loro soldati. Alla fine dei se centomila prigionieri italiani più di centomila moriranno per scarsa alimentazione  , per il freddo e la tubercolosi. Non bisogna che i nostri soldati si mettano in testa che in posti di prigionia si viva bene. Finita la guerra i prigionieri vengono abbandonati dagli austriaci che non hanno mezzi e risorse per sostenerli e vagano dappertutto. Per non avere contatto con la popolazione civile vengono rinchiusi  ,dallo Sta maggiore italiano ,in campi italiani di quasi prigionia. Si ritrovano cosi ancora una volta prigionieri ma questa volta in patria .

Interrogati e spesso processati vengono anche condannati  .  Affidati alle prigioni militari percepiscono che sarà il preludio di essere passati per le armi.

L a Catanzaro  Venne disciolta nel giugno del 1920.

I fatti d'arme  della brigata ripresero corpo  allo scoppio della seconda guerra mondiale. Essa venne ricostituita con i due Reggimenti 141° e 142° e inviata il 3 giugno 1940 in Libia - Derna - ed inquadrata nella Divisione di Fanteria "Catanzaro" (64^). La Divisione duramente attaccata da preponderanti forze corazzate, venne considerata disciolta nella zona di Bardia, per eventi bellici, il 5 gennaio 1941.

La seconda guerra non sarà da meno. Questo è stato il supplizio anche dei nostri ragazzi il più giovane dei quali aveva appena 17 DICIASSETTE anni e non sapeva di fucili e di guerra.

Come associazione non  scriviamo che oggi sia un Giorno di Festa né di Unità . Meglio un giorno di riflessione.

Intanto, nella indifferenza generalizzata, è stata anche riposta , e abbandonata , la bandiera e la fascia dell’Associazione Reduci e Combattenti. L’ultimo se ne è andato mesi or sono mentre quello combattente , prigioniero e reduce ci ha lasciato qualche anno fa.