Gli Spiriti della Memoria

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Per arrivare ad Arcumannu  o  a Catanzaru passando dalla Prosa e dalla Poesia dialettale

Ai contadini due ore a la pedona  , un’ora e passa  in groppa al mulo per il  guardiano . A  cavallo  i  Bilotta arrivavano , senza tempo , passando per gli altri fondi e parlando con fattori  e contadini. Erano i Padroni (come si diceva).

.. E questa era la vita, come si è solito dire pure oggi con un filo di nostalgia. Zappaturi , contadini , fhjimmini e giuvaniajhi . Vijiola..vijiola, accurciaturi e pendini..pendini .  Perché mai era esistita una strada carrozzabile che lo collegasse al paese .

 

Ma quale carrozza o carro ! A la pedona ,che voleva dire a la scazona perchè sotto Castanò le scarpe si legavano al legno della zappa dove insieme,a far da contrappeso stava la "vozzarejha " appena riempita d'acqua   . Il mezzo cavallo , la jiumenta e il cavallo , per ordine di ruolo e di importanza. Arcumannu è ancora là ma  il bel Palazzo di allora ha già ceduto le sue crepe murali alle ortiche e alle spine  mentre gli sportelli del balcone si consumano anzi si sono  già consumate sbattacchiando e cigolando . Contadini , giovani donne e zappaturi partivano che il sole l’acchiappava vicino ai pendini della Vota Tunda e ,”… fu un giorno di caldo , umida come oggi , che andai con mia madre che ad Arcomanno  prima o poi mi doveva portare.

Lei camminava avanti  seguendo il sentiero quando in salita o quando in discesa ed aveva qualche cosa in testa , mentre io dietro , a piedi nudi , la seguivo a malincuore pensando alla vita di fatiga che avrei cominciato a fare..Non dico se ad ogni passo, ma dopo la “ Chiusa che ero già ,non so come tranquilla, o no  “ le cominciai a chiedere “ perché dobbiamo andare a fatigare nella vigna? Non ci possiamo andare un altro giorno  ? “ .             “ Cammina , figghjia mia , e non fare storie “.
Io non riuscivo a camminare dietro a mia madre che camminava lesta lesta e a tratti si voltava e mi ‘ncurzava cu la vuce : “ Camina, camina ! ‘Ca  ti fhanu già male li piedi ? “ Mi faccio male ai piedi , sì ; mi faccio male ai piedi “ dicevoi infastidita”.  Ero come la giumenta dei bilotta ancora da addomesticare. Da rendere mansueta. Ah! Bella Mia .Li piatri  ancora hai ‘mu li canusci  mu ti ‘mpari mu li jiastimi  !. “ E tu non mi hai mai  comprato le scarpe . Sempre mi dici : ora te le compro , ora te le compro, ed io vado sempre scalza. Mi faccio male ai piedi , mi faccio !  “
“ E io sacciu  chi pruavu mu ti vijiu a piedi nudi.!

In quel mondo ,faticare è la regola ordinaria della vita contadinesca e le privazioni rendono mansueti cioè rassegnati  alla fatica.. Occupati al pascolo delle vacche, capre o pecore imparano ad amare quel paesaggio anche  i ragazzi e abitualmente pure  i fanciulli che disertando forzatamente la scuola. I maestri   scrivono che per i genitori è importante saper star dietro alle vacche che imparare a scrivere la firma.

Le donne faticano in un modo anche  grave fatto di continuità , attaccate alla numerosa prole  e ai doveri di casa  tanto che di una moglie , brava donna di famiglia, si dice sempre : « 'na bona fatigatura », ed è il migliore elogio per l'uomo. Garanzia prematrimoniale e matrimoniale che assicura tante braccia al lavoro nei campi. Diventano preoccupazioni le figlie femmine, che non sono escluse dalle attività agricole, ma bisogna già pensare alla "dota" che è o non è determinante per maritarla presto .

Quanto al lavoro più di rado si dice così dell'uomo in quanto ha qualche modo di concedersi le pause di riposo che la donna quasi non conosce ma  compie fatiche abitualmente più dure. Faticano i vecchi, sino a che la morte non se li piglia, non di rado sul campo di lavoro disumano. Fame e malaria sono state per lungo tempo , da queste parti , le tristi regolatrici della vita contadina tra Jacurso e i Piani di Vena . Fame , febbri e polmoniti nella collina e nella montagna . Due realtà materiali strettamente legate l'una all'altra.

Sul fondo, a destra , si intravede l'abitato di Vena . I pendini del luogo e , in mezzo la vallata del Pilla e del Pesipe

 

Compagni di escursioni e camminate

Si parte per una nuova esplorazione sul Pilla dove , sotto la Vota Tunda , il nostro fiume incontra il Pesipe e si unisce alla sua acqua la dove veniva attraversato per risalire verso Arcomanno. Due travicelli posati su massi di pietre. Poi su verso i piani arrancando sui viottoli cretosi, scivolosi o aspri a seconda della stagione. Poi una giornata di zappa o di semina per uomini o donne e l’intercalare del “ bifolco “ sul mezzo cavallo che alza la voce sulla ripetizione  …a ‘ttia de l’uovu ! …a ‘ttia de la ‘boccia !. La corruzione è stata sempre l’anima del successo di qualcuno anche nel mondo dei contadini. Uomo o donna si “ compravano “ per una boccia di olio o una manata di uova. Servivano a quello del mezzo cavallo a controllare con accortezza  il lavoro cioè la quantità del lavoro per ingraziarsi il padrone. Il mezzo cavallo era il mulo perché il cavallo faceva differenza tra il padrone e il fiduciario o il guardiano della masseria.

Il Libro del Dott.Franco Notaris


A loro  dire, Franco  Notaris o Mimmo ,  vivremo grumi di emozioni che rumineremo a lungo, per ritrovare , forse , la  felice schiavitù contadina che  la civiltà dei consumi ci ha fatto  quasi perdere. Non l’ha persa, se pur lontano, GF Maiorana che da Milano ci consegna un suo componimento del quale questo anticipo prelude ai suoi ricordi. Le dure fatiche sotto il sole della canicola , della tramontana o dello  scirocco , tra la vita e la morte, l’amore , la libertà e la prigionia, perchè due guerre scellerate furono vissute tra lutti e rassegnazioni dolorose. Insomma tutto ciò ch’è umano, veniva espresso nella lingua locale, ricca di termini e di suoni idonei a svelare ed esprimere le pieghe più riposte . La civiltà contadina è durata centinaia di anni ed ha elaborato e trasmesso una cultura intesa principalmente come modo di vivere e di affrontare i problemi quotidiani, ma poi, come tutte le cose umane è scomparsa.

Da noi, la lingua locale, le cui radici spesso affondano nei millenni passati si è modificata durante le dominazioni e arricchita di nuovi termini, seguendo l’avvicendarsi degli eventi storici e sociali. Il dialetto non era solo una lingua d’uso, costituita soltanto di suoni, ma sostanziava la vita spirituale del popolo e  nel dialetto era racchiusa tutta la cultura e l’anima popolare. A loro  dire, di Franco  Notaris e Mimmo ,  vivremo grumi di emozioni che rumineremo a lungo, per ritrovare , forse , la  felice schiavitù contadina che  la civiltà dei consumi ci ha fatto  quasi perdere . E queste riflessioni compaiono osservando quei luoghi da dove passavano scalzi i nostri  anziani contadini , donne giovani e ragazzi che apprendevano in dialetto le lezioni di vita e di lavoro. Arcomanno era la terra di lavoro bracciantile mentre  Catanzaro che ci sta in vista , rappresenta il centro burocratico , scolastico e importante per la gente che ci abita considerata più signorile. Era un  va e vieni della gente che dai Paesi , per modo di dire vicini, veniva su a vendere, a comperare, a barattare, a fare doni di antica usanza ai signori proprietari di terre, agli avvocati, ai medici , ai professionisti legati anch'essi, da generazioni, alla terra e al suo possesso: le piccole donne della Caraffa albanese che venivano su ogni giorno a vendere ova in città come le nostre Bettina o Rafhela di Jacurso o ‘Ngiluzza de Cortale , percorrendo scalze i dieci chilometri  o i trenta  tra scorciatoie e viottoli di fortuna perché quasi tutti allora senza strada. E poi ancora le donne di Tiriolo, di Marcellinara, insomma quasi tutte  che salivano in città e si incontravano e si conoscevano  con i loro cesti pieni di prodotti della terra o di animali da mensa; gli uomini indaffarati in cose di piccolo mercato, o di ufficio o di giustizia. Ecco nell’Istmo, continua Franco è passato il nostro “ passato “ e scrive tanto nel suo libro “ Gli Spiriti della Memoria “: Un viaggio nel tempo ,nello spazio e nei luoghi più segreti della memoria e dei sentimenti . E quella di Franco Notaris non è solo un viaggio interiore  alla ricerca di immagini che lasciano gli occhi lucidi , ma è anche una testimonianza  di quanto possa essere ricca  una terra come la Calabria. Il libro è una testimonianza e un atto di amore per la nostra gente di allora , zzappaturi , signuri o gente comune e  non mancherà , l’autore , di presentarlo , a breve, anche a Jacurso.


A la Pedona            di GF Maiorana

Lu picu e la zappa ammucciavanu, ca s'arrobbavanu puru a Maravergine.
Li venia l'anima minu, cu lu rifiatune si nde sagghienu o margi margi,
o vijola vijola, strata strata, o sentera sentera.

Nu puocu ammianzu, nu puocu de cantu, surchi e carrola, spicci e piruni, mazzacani ferrigni de tutti li razzi de tutti li pizzi,e de tutti li canti. Eranu scazuni e si guardijavanu li piadi, ca si sbattianu vidianu li stidi.

Caminavanu scaulzi, ed eranu li cadhi de nu buanu jiditu chi facianu de scarpi cu li pietti.
Ogni tantu na iestima, e cu ragione, dich'io, pe n'acciumpicune, ncuna crisata pe na scilicata.
De pendina scindienu de notte; a l'arva avienu mu si prisentanu a
la tagghia dassata l'avantisira.


Mpesavanu a: Cafune de Volea, Masafurniti, Gruossu, Cucuditi, Pitara, Trovante, Malivenda, Coniciedu, Chiano dei Teti, Provenzano, Arpa, Timpune de Rinacchio, Ceramidio e de attru
pizzu a Vadune de Rosa, Fallà, Frassu, Petraru, Pipizza, Galianu,
Spitale, Pirariedi, Bongiovanni, Scurduvidu, Votatunda, Viluotti, Arcumannu, Canna, Calamizzi, e chissi sunu sulu parte de chi mi ricuord'io.


Lu pitittu era sdiebitu! La fame devieru nivvra, parrava cu l'angili, e pasta,si 'nde sonnavanu armenu na livvra a testa.
Li filatiedi le vidianu cu lu cannocchiale.
De chidu puocu chi avienu si nde lassavenu pe l'appriessu juornu,de accussi' stuzzichiiavenu
a menziiuornu! Iornata doppu Iornata, misata doppu misata,
annata doppu annata.


E figghiuali nescianu! A munziedu! Famigghiuni de nove dece cristiani.
Mbiatidu l'urtimu,lu picciridu,chi pe nu paru d'anni avia u latticiedu.
Menu male ca cangiaru li tiempi,ma i viecchi chidi de tandu solenu dire:
a la matina cu li ndidi, a la sira cu li stidhi.A nui ni toccau chida misera vita! No la vuozzimu nui,
ma potia essere vita ca era pieiu ma pieiu pieiu de na galera?
Eppuru la ficimu.


Mo vi lagnati puru sparte!
Siti troppu mpari e malumparati,e puru de mangiatura vascia.
Dah,dah, avanzi miegghiu,mu crisciti santi e viecchi,madonna mia.
Mo, chi de viecchiu arrancu, ma, 'nta chidi pendini duve de picciulu girai,
ancora ancora a chiù de ncunu lu sperdera.

Gfm

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Poesia  di una Emigrata calabrese

Disperatu era a lu pajsi
maritatu cu cincu criaturi
lavoravu trenta jorna a lu misi
di misteri facia lu zappaturi.

Pe’ mia no c’era mai festa
e patutu aju puri la fami
notti e jornu mi raspavu la testa
ce pe li figghj nun avia lu pani.


Ajutu aju cercatu a lu Cummuni
ma datu no mi hannu manco speranza
ntantu vacabundi, liccapedi e mangiuni
nsemi a lu sindacu s’inchjavanu la panza.


Cuvernu tedescu benedittu
a migghjara accoghisti li migrati
a tutti ci dasti ogni dirittu
e nui pe chistu ti simm grati.


Lu distaccu di l’Italia fu assai duru
partimmu chjni di tristizza
a la Germania trovammu lavuru
e presto arrivau la cuntentizza.


Cuvernu talianu cosa tinta
di leggi tu inchj la Gazzetta
ma chistu tu lo fai sulu pe’ finta
ca si lu primu chi no li rispetta.


A la Germania mi facisti migrari
lu trenu piggjavi sulu sulu
e mo ch truvai bonustari
cuvernu talianu, vaffanculu ! “

di Patrizia Stabile

 

 

L'ingratitudine di un giovane avvocato, figlio di un contadino zappatore. Ci piace pubblicare in calce a questo scritto una parte significativa del testo della canzone di Libero Bovio per il testo di un vecchio film. Un omaggio alla dignità di quei contadini del Sud che con il proprio sudore e la dura fatica di zappatore hanno fatto studiare i figli per un futuro migliore

"No, signore avvocato,

ascoltatemi, non vi vergognate,

io, per farvi diventare signore, ho zappato

e sto zappando ancora, notte e giorno.

E sono due anni, due,

che non scrivete un rigo a casa mia,

vostra signoria si vergogna di noi,

anch'io mi vergogno di vostra signoria.

Chi sono?

Dillo a questa gente

che sono un parente

che non puoi cacciare.

Musica, orchestranti

è bella l'allegria.

Io ora chiedo scusa a tutti

se ballo e piango dentro la casa mia.

Tua mamma, tua mamma sta morendo,

lo sai che tua madre muore e ti chiama?

Era meglio se diventavi uno zappatore,

perché lo zappatore non si dimentica della mamma".

Fonte : da Lo Zappatore di Michele Gismundo

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