TESI di Laurea

               Tesi di Laurea del Dott. Lorenzo Dastoli

Inizia da oggi la pubblicazione della Tesi di Lorenzo Dastoli.

Oltre al contributo dato alla collettività con la sua ricerca ,Lorenzo è il presidente dell'Associazione Migrazione che da anni si impegna nella manifestazione culturale CalafriKa Music Festival.Di recente il suo impegno col corso di alfabetizzazione per stanieri.

 

         Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

 

 

                  FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

   CORSO DI LAUREA IN STORIA DEL MONDO CONTEMPORANEO

  

JACURSO: UN PAESE DELLA CALABRIA TRA TRADIZIONE E RINNOVAMENTO.DALLA NASCITA DEL COMUNE AL PRIMO SINDACO DONNA.

  

TESI DI LAUREA IN STORIA DELLE ISTITUZIONI POLITICHE

 

 

 

Relatore: Chim:ma Profssa FRANCESCA SOFIA

 

 

Sessione III

 Anno Accademico 2012-2013

 

 

Presentata da:

LORENZO DASTOLI

 

1.

  

  

  

Ringrazio la famiglia Dattilo-Cervadoro, il profre Franco Casalinuovo e mio padre per avermi concesso materiali e informazioni preziose per la ricerca svolta su Jacurso.

Dedico questa laurea alla mia famiglia, ai miei nonni e a tutti quelli che hanno creduto in me.

La vostra soddisfazione è il miglior premio

  

  

 

Introduzione

Ciò che ho tentato di fare con questo mio lavoro di ricerca è un'analisi della situazione politica, economica e socio culturale del comune di Jacurso, piccolo centro abitato della Calabria in provincia di Catanzaro.

Dovendo trattare un argomento specifico, ho pensato di iniziare la ricerca dall'età moderna, per rintracciare le cause e le dinamiche che hanno creato quell'immobilismo e quella stagnazione che ha caratterizzato la regione fino al XX secolo.

Con la fine dell'età moderna la mia attenzione si è spostata su Jacurso, e su tre date importanti per l'intera comunità; il 1811 anno della nascita del comune, il 1905 caratterizzato da uno dei terremoti devastanti che ha falcidiato la popolazione, e il 1952 anno in cui, fu proclamata una delle prime donne della regione Calabria alla carica di sindaco, il suo nome sarà Elisa Dattilo.

Ho pensato di circoscrivere questa ricerca ad una piccola comunità, appunto, Jacurso, il paese da cui provengo.

Inizialmente ho pensato fosse utile documentarmi su ricerche esistenti sull' argomento, e ho constatato mio malgrado, che le ricerche svolte specificatamente sul tema sono poche e riguardano o lo studio di archivi di famiglie nobili o tentativi di analisi di realtà locali.

Il mio non vuole e non può essere un lavoro che miri a far luce su aspetti non conosciuti della storia di questa regione.

Ciò che vorrei fare è riflettere su come alcune realtà calabresi abbiano vissuto un passato non troppo lontano da noi, molto triste e con poche prospettive di vita; raccontare quindi un frammento di storia dei Calabresi.

Ho utilizzato svariate fonti di informazioni sull' economia e la società e le vicende storiche della regione, dagli inizi dell' età moderna fino ai primi decenni del Novecento, ho privilegiato l'intervista informale parlando con persone che ancora ricordano fatti ed episodi o per averli vissuti in prima persona o perché i propri antenati hanno cercato di tramandare la memoria ai propri figli.

Ho voluto verificare la possibilità di analizzare qualche documento del tempo

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riguardante il mio paese, che mi permettesse di svolgere appunto, un indagine sulle strutture sociali e politiche.

Per questo mi sono recato nell'archivio del comune di Jacurso, per sapere se esistono documenti da cui poter estrapolare informazioni.

Purtroppo l'archivio comunale di Jacurso non possiede tanto materiale da richiedere una catalogazione di fonti.

Esistono registri in uno stato di degrado avanzato, messi alla rinfusa e conservati in vecchi scatoloni.

Diverse persone del luogo mi hanno riferito che dopo la fine del 2° conflitto mondiale, molti faldoni contenenti i documenti formali dell'attività amministrativa riguardanti il ventenni o fascista furono donati alla croce rossa italiana come carta da macero, non avendo purtroppo cultura sufficiente per riconoscere il valore storico di quelle testimonianze.

In Calabria, la penuria di documenti, è riconducibile, oltre che alla negligenza di certi uomini, soprattutto alla frequenza di cataclismi in occasioni dei quali molto è andato perso.

Ho deciso ugualmente di utilizzare i pochi documenti disponibili, perché penso che ci raccontino comunque uno spaccato della storia di Jacurso.

Tra i documenti che ho analizzato vi è una sentenza della Corte d'appello di Roma, in riferimento alla vertenza tra il Comune di Jacurso e il Principe Ferdinando d'Aragona Pignatelli Cortez, in data 23 dicembre 1840 dove lo stesso principe rivendicava i suoi territori all'amministrazione dell'epoca, denunciando alcuni contadini jacursesi di possesso illegittimo.

Nell'archivio comunale ho trovato dei rapporti dell'ufficiale sanitario che riguardano tutto il periodo che va dal 1904 al 1906, vale a dire le disposizioni che inviava al sindaco di allora e che comunicava per conoscenza al prefetto di Catanzaro, per la salvaguardia e la tutela della salute pubblica.

Oltre alle relazioni stilate dal dottor Giliberti per la salvaguardia della salute pubblica ho trovato un resoconto del post terremoto del 1905 che ci fa capire lo stato delle cose nel Comune di Jacurso dopo la tragedia sismica.

Tra i documenti da me visionati ci sono i pochi documenti riguardanti le attività

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dell' amministrazione comunale guidata dal primo sindaco donna della regione Calabria, Elisa Dattilo durante il periodo 1952/1954 che analizzati con scrupolo ci fanno capire quanto sia stato importante quel periodo per la vita della comunità intera.

Nel rispetto della verità, laddove si racconta la storia, occorre avvalersi di strun1enti diversi per ottenere un quadro esaustivo di tutte le informazioni disponibili. E allora può dirsi legittimo vestire i diversi panni dello storico e del romanziere, per osservare le cose con una doppia sensibilità, che permetta di riflettere e capire le diverse informazioni.

Credo che utilizzando i risultati di ricerche storiche già svolte facendo tesoro di ciò che è stato scritto e incrociando ogni informazione, sia possibile descrivere, se pur in parte, la realtà presa in esame. Guardando anche un po' al presente e riflettendo sul passato è possibile cogliere persistenze e mutamenti, analogie tra svariate realtà che racconteranno in modo formale qualcosa che finora Jacurso non ha mai avuto.

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Seconda parte

PER UN STORIA DELLE STRUTTURE POLITICO, ECONOMICO E SOCIALI IN CALABRIA

  1.       Jacurso: localizzazione e cenni storici

Prima di iniziare un discorso che vede tra i protagonisti Jacurso, credo sia utile almeno collocare geograficamente questo Comune. Esso è situato al centro della Calabria, nel punto più stretto di essa da dove è possibile ammirare sia il mal' Tirreno, sia lo Jonio.

Il territorio ha una superficie di 21,64 kmq e confina a nord col Comune di Maida, a nord ovest con i Comuni di San Pietro a Maida e Curinga, a sud ovest con il Comune di Cortale, e a sud est con i Comuni di Filadelfia e Polia lungo la dorsale delle Serre che si affaccia sul cosiddetto Istmo di Dlisse, la piana che dal Golfo di S. Eufemia porta al Golfo di Squillace.

L'abitato è incastonato su un contrafforte tra le valli dei torrenti Pilla e Cottola ed il suo centro è situato ad un'altitudine di 441 metri d'altezza sul livello del mare. Jacurso pare che sorgesse nel secolo XV su un agglomerato costruito da un gruppo di pastori e contadini che per comodità nei loro lavori si erano stabiliti qui. Casale di Maida, fece sempre parte di questo feudo, passando dai Caracciolo di Nicastro (1408-1560), ai di Palma, ai Carafa di Nocera, ai Loffredo (1607), e dal 1699 al 1806, anno di eversione della feudalità, ai Ruffo di Bagnara.

Il comune viene istituito con "decreto regio per la nuova circoscrizione delle quattordici provincie del regno di Napoli n.1 04 del 4 maggio 1811" che regola i distretti e i circondari che compongono ciascuna provincia. 14

Jacurso farà parte del distretto di Monteleone, all'interno del circondario di Maida.

Con la promulgazione di questo atto da parte di Gioacchino Murat viceré del

4 Bullettino delle Leggi Anno 1811 N° 104 - Decreto n.o 922 per la nuova circoscrizione delle quattordici provincie del regno di Napoli.

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regno di Napoli, Jacurso acquisterà autonomia politico amministrativa, staccandosi dalla logica che lo aveva legato al Feudo di Maida sotto il controllo delle diverse famiglie nobiliari che fino ad allora si erano succedute.

Rimanendo immutatata la ripartizione territoriale, le due provincie calabre furono suddivise in 4 distretti ciascuna, rette da un sotto intendente e raggruppanti in governi o circondari.

I consigli di strettual i e provinciali erano una sorta di piccoli parlamenti, i cui membri venivano scelti dal sovrano sulla base delle proposte dei Decurionati; vi potevano accedere solo proprietari di rendite di almeno 250 ducati annui, per i Consigli distrettuali, e di 400 per quelli provinciali.

La riforma napoleonica ebbe il merito di sopprimere nella pratica i privilegi dell'amministrazione della capitale e di favorire la crescita delle provincie come centri autonomi di attività amministrativa, politica e culturale. Ed è questo, forse, l'aspetto più significativo di tutta l'attività napoleonica nel regno. Mentre nell'antico regime la capitale assorbiva ogni risorsa dalle province assumendo le caratteristiche di centro parassitario di consumo.

Nel regno esisteva un'antica tradizione giuridica, intorno alla quale un'intera classe sociale aveva costruito le proprie fortune economiche e politiche, diventando una delle componenti caratteristiche dell'ancien règime.

L'estensione del Codice Napoleonico al Regno di Napoli ebbe come principale conseguenza l'esaltazione del principio della proprietà privata e sulla base di ciò si intervenne per la privatizzazione delle terre, per la soppressione della feudalità e delle giurisdizioni baronali. L'affermazione del principio di proprietà privata implicava l'eliminazione di tutti i vincoli alla sua libera circolazione.

Vennero così aboliti i vincoli:

  • di maggiorascato, che destinava la maggiore eredità del feudatario al parente più prossimo o al più anziano
    • di fedecommesso che affidava all'erede la conservazione di tutta o parte dell'eredità per trasmetterla ad altra persona al momento della morte.

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regno di Napoli, Jacurso acquisterà autonomia politico amministrativa, staccandosi dalla logica che lo aveva legato al Feudo di Maida sotto il controllo delle diverse famiglie nobiliari che fino ad allora si erano succedute.

Rimanendo immutatata la ripartizione territoriale, le due provincie calabre furono suddivise in 4 distretti ciascuna, rette da un sotto intendente e raggruppanti in governi o circondari.

I consigli distrettuali e provinciali erano una sorta di piccoli parlamenti, l cm membri venivano scelti dal sovrano sulla base delle proposte dei Decurionati; vi potevano accedere solo proprietari di rendite di almeno 250 ducati annui, per i Consigli distrettuali, e di 400 per quelli provinciali.

La riforma napoleonica ebbe il merito di sopprimere nella pratica i privilegi dell'amministrazione della capitale e di favorire la crescita delle provincie come centri autonomi di attività amministrativa, politica e culturale. Ed è questo, forse, l'aspetto più significativo di tutta l'attività napoleonica nel regno. Mentre nell'antico regime la capitale assorbiva ogni risorsa dalle province assumendo le caratteristiche di centro parassitario di consumo.

Nel regno esisteva un'antica tradizione giuridica, intorno alla quale un'intera classe sociale aveva costruito le proprie fortune economiche e politiche, diventando una delle componenti caratteristiche dell'ancien règime.

L'estensione del Codice Napoleonico al Regno di Napoli ebbe come principale conseguenza l'esaltazione del principio della proprietà privata e sulla base di ciò si intervenne per la privatizzazione delle terre, per la soppressione della feudalità e delle giurisdizioni baronali. L'affermazione del principio di proprietà privata implicava l'eliminazione di tutti i vincoli alla sua libera circolazione.

Vennero così aboliti i vincoli:

  • di maggiorascato, che destinava la maggiore eredità del feudatario al parente più prossimo o al più anziano
  • di fedecommesso che affidava all'erede la conservazione di tutta o parte dell'eredità per trasmetterla ad altra persona al momento della morte.

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Da questo momento in poi, i comuni erano tenuti a presentare un bilancio preventivo approvato annualmente, a seconda della consistenza finanziaria e patrimoniale, dall'intendente o dal re.

Tale stato di controllo e tutela dell'attività finanziaria dei comuni costituiva un freno per le spese e per le entrate, precisando tanto le une che le altre.

Il mantenimento del comune però finiva comunque per cadere sulle spalle dei ceti più disagiati, considerato che le entrate più cospicue erano assicurate dalle gabelle sul grano e sul vino, non è errato ipotizzare che gli amministratori comunali tendessero a scaricare le spese comunali sui consumi e non sulle rendite patrimoniali.

Va detto, però, che la cessione delle terre demaniali avvenuta in quel periodo, era rivolta al miglior offerente, e questo non poteva essere di certo il popolano o il bracciale. Chi si avvantaggiò di queste alienazioni furono soprattutto borghesi e nobili e ciò non si traduceva per forza in un progresso dei sistemi per la produzione agricola. Quindi la tempestiva abolizione della feudalità non rappresentò un colpo mortale per il potere e il prestigio delle famiglie nobili.

I grandi e piccoli feudatari di Calabria, molti dei quali discendevano da famiglie che avevano fatto la storia del Regno, si ridussero, loro malgrado, alla condizione di ricchi aristocratici. Tuttavia ci fu un forte rimescolamento dei rapporti sociali dovuto soprattutto alla vendita dei beni della Chiesa.

Gli enti ecclesiastici soppressi nella Calabria Ulteriore che in quella Citeriore furono in tutto ben 367, cioè il 28 per cento di tutto il Regno. Il mercato delle terre sequestrate favorì solo ed esclusivamente l'alta borghesial5.

L'acquisto di queste terre comportava un forte esborso di denaro che passava dal privato allo Stato per essere poi impiegato nel settore militare e bellico.

Questa sottrazione di capitali all'agricoltura non poteva non avere conseguenze. In seguito il governo borbonico non riuscì a smuovere il regno dalla stagnazione, dimostrando che da solo l'istituto della proprietà privata non era sufficiente per lo

5 A. Placanica, Storia della Calabria: dall'antichità ai giorni nostri. Catanzaro, 1993, cito

p.27S.

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sviluppo economico se non veniva accompagnato da adeguate politiche di sostegno che nel Regno di Napoli non vennero realizzate e furono sostituite da altre politiche che neutralizzarono i benefici che dal diritto di proprietà potevano derivare. L'immobilismo e l'isolamento che caratterizzò una parte della storia Calabrese e del Mezzogiorno fu rotto solo dagli eventi tragici come i terremoti che si susseguirono nel 1835 nel 1905 e nel 1908 che falcidiarono la popolazione, con la diffusione di epidemie di colera, malaria e tubercolosi, ma permisero di puntare i riflettori dell'opinione pubblica italiana sulla regione.

La veloce sintesi degli ultimi anni dell'Ottocento, ci restituisce un'immagine della Calabria che si può estendere, per i suoi tratti essenziali, a tutto il Meridione: il ritratto di una regione stretta nella secolare morsa della supremazia "feudale" di poche famiglie che detengono il potere perché controllano la terra; una regione che sembra socialmente immobile; una regione periferica rispetto al potere centrale, che da qui a vent'anni cambierà nome e si chiamerà Fascismo, ma che sarà sempre gestito dalla stessa borghesia conservatrice e ricca.

            2.         Il sisma catastrofico del 1905

Agli inizi del Novecento la regione appariva come un semplice luogo geografico, marginale, quasi sconosciuto, a tal punto che Mirna Quasimodo nel 1905 così scriveva: "La Calabria, per chi non lo sapesse, è geograficamente e politicamente una regione d'Italia. La terra di essa è fertilissima e gli abitanti, come dai più si crede, non sono cannibali, né esquimesi, ma uomini come sono i lombardi, i toscani e i romagnoli". E aggiungeva che questa terra era "senza alcuna industria", mancavano le strade, c'era "deficienza di porti", era "infestata dalla malaria". Eppure non mancavano coloro che possedevano grossi capitali, ma non li investivano "perché non hanno fiducia in se medesimi e li tengono nascosti, o comprano titoli, anziché metterli a frutto". 16

A livello locale, la situazione sociale soprattutto a Jacurso, era oltre il limite della sopravvivenza.

6 M. Quasimodo, Terremoto e soccorsi in Calabria., (Breve relazione dei fatti di Calabria), Tipografia Vitale, Napoli, ] 905, ristampa Walter Brelmer, Cosenza, 199], dalla quale citiamo, pp. 3-4.

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Oltre alle condizioni, fin qui descritte, in cui continuò a vivere quasi la totalità della popolazione, con l'arrivo del nuovo secolo le cose peggiorarono notevolmente.

Infatti questi si è presentato con biglietti da visita non proprio teneri.

Alle 2,45 della notte tra il 7 e l' 8 di settembre del 1905 una violentissima scossa di terremoto, durata 40 secondi, porta la distruzione e il lutto nelle Calabrie, specialmente nella provincia di Catanzaro. Un gran numero di paesi è completamente distrutto: danni enormi sopratutto a Monteleone e nei dintorni: 557 morti, 2880 feriti. Il terremoto reca gravi danni anche a Messina, a Reggio Calabria, a Lipari e a Stromboli.

Le gravità e le drammatiche conseguenze di tale evento, spingono a dedicare particolare attenzione a ciò che comportò, per la Calabria, uno dei sismi più distruttivi nella storia del Mezzogiorno.

A Jacurso si ebbero due morti e sei feriti, molte abitazioni crollate, altre inabitabili per le moltissime lesioni riportate. Le case erano costruite con materiali poveri, in genere senza fondamenta e senza le moderne accortezze antisismiche. Attraverso le testimonianze del tempo è possibile cogliere la gravità di un evento che, non solo peggiorò le condizioni economiche e sociali dei calabresi, ma sconvolse gli abitanti con tale violenza da traumatizzare le loro vite per lungo tempo. Queste informazioni ci vengono confermate dall'Ufficiale Sanitario Dott. Giuseppe Giliberti che ci informa su quanto accaduto:

"Il terremoto che ha colpito violentemente le Calabrie non ha risparmiato questo piccolo paese, il quale è tutto in completa rovina. I fabbricati sono quali crollati e quali pure inabitabili per le molteplici lesioni riportate.

Il recente fabbricato delle scuole è pure gravemente lesionato, e quindi non più adatto allo scopo. La popolazione è in aperta campagna, desolata e piangente, senza tetto, senza vestiti e senza pane. Quella notte fatale si

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ebbero in questo paese due morti e sei feriti. Da qualche giorno sono incominciate a manifestarsi malattie a carico dell 'apparato respiratorio e locomotorio.

Urgerebbe l'impianto di una «baracca ospedale» con qualche letto per gli infermi più gravi. A fianco a tale baracca potrebbe costituirsi il piccolo ufficio dell 'Ufficiale Sanitario per il servizio relativo. In parte gli infermi sono lontani dall 'abitato, e per conseguenza non possono avere quell 'assistenza che vi richiede. Le partorienti si trovano in condizione di miseria, dovendo partorire in aperta campagna; e come le puerpere insieme ai loro nati siano sottoposte ad ogni sorta di disagio e a tutte le possibili infezioni.

Se sarà possibile fare in modo affinché si possa costruire una baracca apposita, vicina a quella degli infermi e dei feriti.

Comunico inoltre che il pane, finora qui giunto per opera del governo, è quasi tutto ammuffito ed avariato tanto che il medesimo, somministrato agli animali non è stato da essi mangiato.

Per questa ragione credo opportuno far sospendere l'invio di tale alimento, potendosi in parte rimediare qui stesso trattandosi di un piccolo comune di 1.700 abitanti circa. Urgono al momento legnami, chiodi e uomini, con relativi strumenti, per la costruzione di baracche da collocarvi gli infermi con malattie acute e croniche, i feriti e le puerpere. I bambini sono purtroppo malamente tenuti, buona parte mal vestiti e con condizioni di grande disagio, ricoverati in questa difficile condizione dovrebbero essere circondati da tutte le attenzioni da parte dei genitori o da chi ne fa le veci, sia per tenerli costantemente puliti, sia per usar loro tutte le premure per quanto eventualmente potrebbe loro succedere. 17

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Quindi una Calabria che patisce la fame, che subisce i traumi dell' evento: tremori, pulsazioni cardiache, nausee e simili. Lo stesso Augusto Placanica, nel suo interessante lavoro di ricerca, Il filosofo e la catastrofe, mette in evidenza come terremoti ed eventi tragici naturali producano profonda crisi della razionalità, per cui la condizione esistenziale appare insopportabile e senza soluzioni. Da qui il ricorso all'irrazionale e alla religione per cercare possibili risposte che non si aspettano dalle classi dirigenti, né da se stessi, ma dai santi, per lo più.

Questo profondo disturbo dell'uomo, non è dovuto solo allo spavento. Si ipotizza che una gran parte del disordine fisico e morale si deve attribuire alla stessa fatale convulsione della natura, che altera la stessa macchina umana. Immaginiamo lo spettacolo della morte, pensiamo a cosa si può provare alla vista di un cadavere e moltiplichiamo questo sentimento per centinaia di volte. Lo scenario che si presentava agli occhi dei presenti metteva a dura prova la capacità di restare lucidi e di pensare ad una ripresa.

La maggioranza degli osservatori dell' epoca interpretò questi comportamenti popolari, che il terremoto alimentava, come il risultato di paure ed angosce, frutto di una mentalità primitiva, arcaica e superstiziosa. Ma questa è una lettura superficiale e limitata.

A parere di Vito Teti "In realtà nelle società meridionali i luoghi erano sacri, la fondazione e l'organizzazione dei luoghi avveniva secondo modalità culturali e sacrali, i paesi erano affidati e consegnati ai santi e alle Madonne. Il santo patrono proteggeva dalla catastrofe, ne attenuava gli effetti, accompagnava nel

7 Relazione dell'Ufficiale sanitario dotto Giliberti redatta dopo il terremoto delle Calabrie dell'S settembre 1905, inviata successivamente al medico Provinciale della Provincia di Catanzaro.

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"cordoglio" e nel "lutto" della comunità e anche nella rifondazione e nella ricostruzione". 18

Non si tratta tanto di superstizione, quanto piuttosto di ricerca del senso dei luoghi, che è contemporaneamente umano e divino, ma anche della ricerca del senso della vita e di una protezione che sembra che gli umani non siano in grado di dare.

Pochi giorni dopo il terremoto arrivarono a Jacurso un gruppo di soldati appartenenti al Genio Militare che prestarono i primi soccorsi alla popolazione e si adoperarono allo sgombero delle macerie e alla demolizione delle case pericolanti.

Ma soltanto con l'arrivo del "Comitato Milanese" si diede inizio alla costruzione di quattro case del tipo baraccato capaci di ospitare ciascuna quattro famiglie e perciò in totale 16 nuclei familiari.

Vennero apposite ditte lombarde per conto del "Comitato Milanese" che iniziarono i lavori senza tuttavia non incorrere in più di una negligenza riscontrata dall' Amministrazione comunale. Nella fase della "ricostruzione provvisoria" delle baracche, si verificarono ritardi, imbrogli, speculazioni e ladroneggi. Ciò, nonostante le sollecitazioni e le raccomandazioni del re. Scriveva il sindaco Bilotta al Presidente del Comitato di Milano in data 22 Febbraio 1905:

Ringrazio sentitamente la S. VIll. ma della gentile accoglienza fatta alla mia preghiera e degli ordini impartiti alla Società Lombarda esecutrice dei lavori per la costruzione del Nuovo Borgo in questo Comune, però debbo ancora lamentare che l'esecuzione di essi lavori non è accurata e diligente come il bisogno lo richiede, ma si eseguiscono in modo da non poter garantire la stabilità. Difatti le pietre frontali vengono sistemate in tutta la loro ampiezza a faccia vista senza avere riguardo alla distanza e

8 V. Teti, Calabria desolata, "il Quotidiano" del 22 agosto 2005.

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senza scagliarle e il vuoto che resta tra l'una e l'altra pietra viene colmato alla rinfusa con malta e ciottoli senza concatenamento e cosi compianate le prime, si situano le altre.

A prescindere che la malta continuano ad adoperarla sempre magra. Simile impressione ha ricevuto l'ingegnere del Genio Civile sig. Bartolini il quale ebbe occasione giorni a dietro di vedere i lavori che si eseguiscono.

Né l'impresa né l'ingegnere direttore dei lavori hanno avuto la cura di rispettare e conservare i due condotti di acqua irrigua preesistenti nella zona di terreno occupato per la costruzione del suddetto borgo rendendo seccagni i terreni sottostanti appartenenti alla cedente del terreno anzidetto ed altri e privando anche il Comune di una rendita.

Da parte mia non ho trascurato avvertire il rappresentante dell 'impresa per rispettare tali condotti ma lo stesso mi rispose non avere ricevuto ordini al riguardo e perciò ha continuato i lavori ostruendo colla muratura finora uno dei condotti suddetti.

Onde evitare a questa Amministrazione dei possibili litigi con i proprietari interessati e subire delle perdite per la cambiata cultura. La prego che siano ritornate al premiero stato le servitù preesistenti nella località anzidetta, evitando anche a questa Amministrazione la noia di atti protestativi per la novazione apportata.

Di tanto favore Le ne anticipo sentiti ringraziamenti e con osservanza la riverisco. 19

Si speculò anche sugli indumenti raccolti in tutta Italia per i terremotati.

9 Lettera del sindaco Bilotta al Comitato Milanese datata 15 Novembre 1905.

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I migliori furono rubati e alle popolazioni terremotate furono distribuiti quelli mal ridotti. Eppure ci fu solidarietà e partecipazione di gran parte delle popolazioni d'Italia e i Calabresi furono grati, nonostante" i magnanimi ladri d'Italia" avessero commesso il peggiore dei delitti.

I tanti Comitati di solidarietà ed intervento formatisi in varie parti della nazione ebbero un ruolo importante nella fase della "prima ricostruzione". Il Comitato milanese di soccorso per i danneggiamenti del terremoto in Calabria fu determinante nella costruzione di alcune baracche e non solo. Le opere dei vari Comitati e i benefici prodotti restarono indelebili nella memoria dei sopravvissuti del terremoto, mentre lo Stato appariva estraneo e lontano. Il Comitato milanese sentiva come un dovere morale l'intervento in Calabria, in questa fase tragica, ma lo considerava anche come l'inizio di un processo politico e sociale che avrebbe potuto sollevare le sorti della povera gente, portare alla risoluzione della questione meridionale e a superare, così, la profonda differenza tra alcune regioni d'Italia.

La tragedia provocata dal sisma del 1905 spinse i più grandi giornali italiani ad essere presenti in Calabria, con i loro migliori inviati; tra questi, il "Corriere della sera", "La tribuna", "Avanti!", "Il Mattino", il "Roma", il "Giornale d'Italia", "Il Resto del Carlino", "Il Secolo XIX", "La Nazione". Era presente anche la stampa periodica che con le sue illustrazioni rese "visibile" il terremoto nel resto d'Italia. Queste alcune delle testate: "La Domenica del corriere", "Illustrazione Italiana", "La Tribuna illustrata", "Il Mattino illustrato".

Così la rappresentazione della regione fuori esce dagli stereotipi e dal mito, vengono raccontati il terremoto, ma anche la Calabria così com'è, con la sua arretratezza, la sua povertà, l'inettitudine e l'arroganza di gran parte della classe dirigente, intenta, tranne rare eccezioni, a conservare e difendere i propri interessi e privilegi. Ma i giornalisti sottolineano anche le possibilità e le potenzialità di sviluppo della regione.

Ma quasi tutta la grande stampa mise in evidenza l'impreparazione assoluta, l'indifferenza, la lentezza, la confusione nell'opera di soccorso del governo guidato dall'onorevole Fortis e della quasi totalità della classe dirigente locale.

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La rivista fiorentina "La rassegna nazionale" del 30 settembre del 1905 sottolinea i limiti dell'intervento del governo per il terremoto in Calabria e sostiene che: "questa regione dell'estremo Sud del paese, per lungo tempo dimenticata, tranne che da pochi attenti studiosi, pone il problema dell'unità reale della nazione perché se l'Italia è compiuta politicamente, essa è ben lungi dall' esserlo moralmente". 20

C'è la preoccupazione che, superata la fase critica del terremoto, diminuita o scomparsa l'attenzione della grande stampa, allontanatisi i rappresentanti dei vari Comitati di soccorso, tutto tomi come prima o peggio di prima, sotto il dominio dei ceti latifondisti e di una borghesia apatica e provinciale, incapace di trasformarsi in classe dirigente e imprenditoriale, tentando nuove vie per produrre ricchezza.

La condizione dei contadini della Calabria appare triste sia dal punto di vista economico e ambientale che persino fisico, della persona che dopo una vigorosa giovinezza si avvia verso una rapida decadenza. La deturpazione fisica che si osserva nel contadino calabrese invecchiato, in questi uomini, in queste donne rugosi, stecchiti, piegati, contorti è solo una conseguenza di una vita di stenti e di duro lavoro.

Queste condizioni, peggiorate dal terremoto, spinsero coloro che erano in grado di pagarsi il viaggio ad emigrare in terre lontane, in particolare Stati uniti Argentina e Australia. Dopo il terremoto ci fu un forte aumento dell' emigrazione dalla Calabria. Alcuni di coloro che emigrarono riuscirono a guadagnare qualche soldo attraverso un duro lavoro, ritornarono nella propria terra natia, comprarono degli appezzamenti di terra e si dimostrarono ottimi imprenditori-coltivatori, portando anche importanti innovazioni in campo agricolo.

Ma l'emigrazione non fu una scelta, piuttosto una costrizione determinata dalle miserabili condizioni in cui erano costretti a vivere.

Oltretutto non mancarono le epidemie di vaiolo - spagnola - tifo - paratifo, le

o F. Pugliese, Il terremoto dell'8 settembre 1905 in Calabria, cit., p 49.

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carestie imperversarono la Calabria, anche soprattutto Jacurso, testimoniate dalle relazioni dell'ufficiale sanitario, ritrovate nell' Archivio del Comune in questione.

         3.           Situazione igienico-sanitaria nel comune di Jacurso. Testimonianze dell'Ufficiale Sanitario dal 1904 al 1906.

Entrando nel dettaglio la situazione all'interno del paese era di un degrado talmente elevato da ritenere, che sia stato un miracolo se la popolazione non sia scomparsa per le ricorrenti epidemie che senza soluzione di continuità si accavallarono le une alle altre.

Gli amministratori, coloro che si dovevano occupare della salute dei loro concittadini e del loro territorio, lungi dal perseguire obiettivi di miglioramento di alcun genere, a causa anche delle loro scarse capacità amministrative il più delle volte contrastavano l'opera dei medici avallando i comportamenti antigienici della popolazione. Per cui dall' analisi dei documenti di questi operatori sanitari ci possiamo fare un'idea abbastanza precisa della situazione in cui andò poi ad operare il Sindaco Elisa Dattilo, e che poi furono la causa della sua caduta.

Si può affermare che le relazioni dell'ufficiale sanitario Dr. Giuseppe Giliberti inviate al medico provinciale e alla prefettura di Catanzaro nonché ai vari sindaci che si succedevano, sono lo specchio della situazione reale di metà secolo (ante e post).

Le sue direttive non furono mai prese in considerazione, e sul finire del 1906 dopo un onorato servizio durato più di 2 anni, per il medico condotto verranno presi dei provvedimenti disciplinari che lo allontaneranno dal comune in questione trasferendo lo all' Aquila, insieme ai suoi familiari. L'autore di questo provvedimento è il sindaco dell'epoca Bilotta, appartenente ad una delle famiglie più influenti a livello locale, che si imparenterà successivamente con i Dattilo, e che in seguito daranno i natali a Elisa Dattilo futuro sindaco di Jacurso.

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E' necessario soffermarsi e dilungarsi su questo periodo in quanto si può obiettivamente dire, attraverso i pochi documenti esistenti e attraverso le molte testimonianze informali raccolte, di aver individuato il motivo per cui dopo due anni di attività al sindaco Elisa Dattilo venga meno l'appoggio della sua maggioranza senza alcun motivo apparente e senza che poi gli autori del suo ritiro dalla politica tentino in alcun modo di prendere la guida amministrativa del paese.

Dalle ricostruzioni fatte da Domenico Dastoli e Franco Casalinuovo, uno dei figli del Dottor Giliberti, Umberto Giliberti tornerà presto in Calabria, studiando e diventando insegnante elementare, si trasferirà a Jacurso e durante il ventennio fascista ricoprirà cariche dirigenziali; tant'è che il certificato di matrimonio tra Elisa Dattilo e il Dr. Vincenzo Cervadoro porta la firma del podestà Umberto Giliberti. In quel periodo verosimilmente il Giliberti non era nelle condizioni favorevoli per poter consumare una possibile vendetta nei confronti di alcuno. Su questa vicenda ritorneremo a parlare successivamente. Ma torniamo ancora per un attimo alla situazione d'inizio secolo riguardando con la stessa attenzione le relazioni del medico condotto. Quella datata 16 ottobre 1904 così recita:

una consuetudine sistematica il depositare, sulle strade e presso le abitazione, dei cumuli d'immondizia, di rifiuti domestici e di altri prodotti di materie putrescenti o comunque nauseanti, associate o mescolate il più delle volte alle umane deiezioni. Di gravi conseguenze sono gli immondi depositi nei vicoli ciechi, i quali sono adibiti, per strette necessità della vita a pubblico locale per il getto delle feci e delle urine degli inquilini che abitano intorno, nonché di altre luride materie il cui insieme poi viene a riversarsi sulle pubbliche vie. Quelle poche famiglie che hanno le latrine domestiche le fanno naturalmente sboccare nei corsi d'acqua che, a scopo industriale (mulini a pietra)

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o d'innaffiamento, attraversano il paese [. . .] dopo un po' di tempo che queste acque scorrono contaminate, molte donne ne attingono, con gli ordinari recipienti per diversi usi domestici, in particolare per il bucato; e le medesime non preoccupandosi di inserire le proprie mani nella sporcizia diluita vi lavano negli stessi corsi d'acqua le loro lingerie ed altri oggetti di uso domestico, con manifesta possibilità di trasportarsi in casa i germi di qualche morboso contagio.

Questi ed altri fatti mentre da una parte fanno rilevare quanto sia abbastanza scarso, nel nostro paese, il sentimento della pulizia e della decenza dall 'altra richiederebbero un salutare provvedimento da parte di questa amministrazlone .

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Nella relazione successiva il dottor Giliberti continua a scrivere:

"Le abitazioni davano indistintamente ospitalità a tutte le specie di animali domestici, in particolare i bovini, suini, equini, ovini e caprini, questi animali avevano il loro luogo di dimora per la maggior parte sotto i piani di residenza. Ma la popolazione indigente che viveva in ambienti angusti e ristretti, all 'interno di questi spazi allevavano animali domestici, cosicché in una casa, risultante di un solo ambiente, privo di luce o con luce scarsa, si consumava la vita di una famiglia numerosa a stretto contatto con codesti animali domestici. Sono proprio queste le case dove le malattie proliferano, in modo particolare dove i parassiti elmintici "Ascaris lobricoides ed osciuris vermicularis" trovano il loro habitat naturale per riprodursi e contagiare

 

 

 

2

 

 

I Relazione del Dott. Giliberti inviata al sindaco Bilotta in data 20 novembre 1906.

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l'uomo. ,,22

A questo proposito l'ufficiale sanitario redige un successivo rapporto In CUI allerta il sindaco sulla situazione che lui, forse all'inizio della sua attività di ufficiale sanitario, aveva affrontato e considerato, ma che il sindaco aveva sottovalutato più volte senza prendere alcun provvedimento amministrativo nei confronti della popolazione; il dottor Giliberti invia un secondo rapporto e per conoscenza lo invia anche al "Signor medico provinciale della Provincia di Catanzaro" traendo delle conclusioni dopo varie ispezioni avvenute all'interno del paese e in alcune abitazioni.

Egli scrive quanto segue:

"non si potrà mai ottenere una vera profilassi contro la diffusione delle malattie infettive, dopo accertata la diagnosi del morbo, senza provvedere prontamente ali 'isolamento dei malati e alla disinfezione delle sostanze morbose e degli ambienti.

Che l'isolamento sia un rimedio profilattico sovrano non vi è dubbio, anzi si può dire che tale misura se si potesse caso per caso rigorosamente applicare, le malattie non si diffonderebbero e dovrebbero poco a poco scomparire specie nelle uniche stanze (tuguri) dei poveri, i quali pertanto sono costretti a soggiornare al destino della propria miseria.

E' uso in questo paese, come del resto in molti, il tenere il lutto nella stanza del defunto. Se tali usi e costumanze sono una manifestazione di condoglianze o di ossequio verso la famiglia o i parenti dell 'estinto, tali usi e costumi non dovranno essere causa di nuovi morbosi contagi.

A tal proposito si è fatto pure rilevare a questo Sindaco

2 Relazione del Dott. Giliberti inviata al sindaco Bilotta in data 21 novembre 1906

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come i cadaveri delle persone morte per vaiolo, tifo esantematico, scarlattina difterite colera meningite, debbono essere deposti nel feretro senza spogliarli dei loro indumenti, e avvolti in una soluzione disinfettante (sublimato corrosivo) debbono essere trasportati direttamente dal luogo del decesso al cimitero. Ma, possiamo aggiungere noi, il sindaco si è rifiutato di eseguire i suggerimenti dati dall 'ufficiale sanitario ed ha lasciato le cose come stavano per non irritare i familiari

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.

Ovviamente, alla incapacità di far eseguire gli ordini dati dall 'ufficiale sanitario alla popolazione da parte del responsabile politico di turno alla Casa Comunale corrispondeva una maggiore leggerezza per quanto riguardava le epidemie degli animali.

Tra le maggiori infezioni riscontrate dal medico condotto troviamo l' afta epizootica che colpisce gli animali d'allevamento come: bovini, ovini e caprini. Talune di queste malattie possono inoltre essere contagiose anche per l'uomo. La lotta alle epizoozie avviene tramite obbligo di notifica, isolamento degli animali malati, vaccinazioni, quarantena, disinfezione e macellazione d'urgenza. Questa prassi veniva elusa dagli allevatori che in diversi casi minacciarono ritorsioni contro l'ufficiale sanitario, il quale più volte provvederà a chiedere al prefetto di Catanzaro la scorta di un carabiniere o militare durante le ispezioni negli allevamenti.

Le epizoozie provocarono notevoli danni all'economia del paese, dovute tutte a comportamenti anti igienici degli allevatori, i quali permettevano una maggiore diffusione del morbo.

Viene da domandarsi retoricamente con molta ovvietà; se la popolazione non era attenta alla cura dell'igiene personale e del suo ambiente di vita, poteva mai

3 Relazione del Dott. Giliberti inviata al sindaco Bilotta per sollecitare i provvedimenti necessari per il rispetto dell'igiene pubblica. La lettera sarà inviata anche al medico provinciale della Provincia di Catanzaro in data 26 novembre] 906.

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essere attenta alle condizioni igieniche degli animali con cui condivideva la propria esistenza?

          4.           Frammenti di vita jacursese

Le informazioni che riporto mi sono state raccontate da due signori di Jacurso, il professore Franco Casalinuovo e Domenico Dastoli, che con grosso impegno hanno ricostruito fatti e avvenimenti che riguardavano i genitori o addirittura i nonnI.

Dai racconti dei due ho estrapolato informazioni importantissime sulla vita dei jacursesi, dove ho riscontrato molto analogie con le condizione socio-culturali dei primi del '900 descritte dall'Ufficiale sanitario.

A Jacurso poche persone possedevano denaro, e per questo motivo il credito era fondamentale; ad esempio il lavoro che veniva fatto, da un artigiano nei confronti di un contadino non veniva retribuito subito, perché si comprava a credito, ossia si pagava appena si incassava o dalla vendita del raccolto o della merce. Infatti chi aveva un esercizio commerciale apriva la cosiddetta "libretta" ossia un quaderno su cui venditore e acquirente segnavano i rispettivi crediti e debiti.

Chi possedeva terre da coltivare cercava di utilizzarle in modo tale da ottenere più frutti possibili, non per un possibile mercato locale, ma per il sostentamento della famiglia. La coltura privilegiata in questi terreni è il grano, che dopo la mietitura veniva portato nei mulini di Jacurso e in seguito macinato e trasformato in farina. In quegli anni, operavano quattro mulini e un frantoio cui oggi rimangono solo pochi resti.

Da questi racconti brevi troviamo molte analogie nei racconti di Vincenzo Padula che ci riferisce:

"i trappeti sono tutti fatti ad un modo. La pila (fonte) è un piatto circolare di pietra a fondo piano, sulla quale

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ruota le macine mossa per mezzo di una stanga, che vi è attaccata, o da un mulo, o da un bue [. . .] A destra infondo è il torchio, e a sinistra il focolare con una caldaia sul fuoco. La popolana vi porta la sua sacca di olive, una somella di legna, l'acqua per la caldaia e la minestra di fave, o fagioli e pane, formaggio e salame per spesare i

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I frantoiani erano coloro che gestivano il frantoio che spesso apparteneva a galantuomini. Infatti Padula ci dice che nessun galantuomo si sentiva davvero proprietario se non possedeva almeno un trappeto.

Uno degli aspetti da prendere in considerazione della tradizione contadina è l'attesa del maschio, poiché nella famiglia contadina si assegnava un valore economico ai figli, come braccia da avviare precocemente al lavoro in funzione di una maggiore garanzia per la mutua protezione familiare (proprio come avveniva nel '600, '700 e '800).

Dall'analisi dei registri comunali di Jacurso emerge che la maggior parte degli uomini e delle donne erano di professione "bracciali o fatigatrici" corrispondenti agli odierni braccianti agricoli o lavoratrici a giornata soprattutto in ambito domestico. Quindi la maggior parte erano impiegati nell'agricoltura, non tutti contadini possidenti, ma prestatori delle proprie braccia per il lavoro nelle terre dei grandi proprietari terrieri aristocratici e borghesi.

Il "bracciante" era un contadino salariato che con i proventi derivanti dal possesso di piccolissimi appezzamenti di terra, riusciva a stento a sfamare la propria famiglia.

Le attività industriali erano inesistenti, totalmente assenti.

Prevaleva una forma di artigianato asfittico e senza prospettive: falegnami, calzolai, muratori, sarti e sarte, operai generici che erano funzionaI i al mercato locale.

,4 V. Padula, Industrie terreni e stato delle persone in Calabria, Roma 1978 cit. pp. 54 -

60.

 

 

Risulta dagli atti comunali che era presente sul territorio una piccola conceria a conduzione familiare, che lavorava le pelli di animali, prettamente OVllll e caprini, che produceva ovviamente per il ristretto mercato locale.

Mi è stato riferito che fino al 1960 a Jacurso i braccianti o le faticatrici venivano reclutati con condizioni di pagamento "a la spisa" o "a la scarsa", ossia una quota di soldi senza pasto, oppure meno soldi e un pasto.

Nel territorio di Jacurso non c'erano latifondisti ma medi proprietari terrieri che davano lavoro alla stragrande maggioranza dei bracciali locali.

L'allevamento degli animali (mucche, capre, pecore) era fatto in funzione del mercato locale. Per mercato locale si intende i paesi vicini soprattutto Maida e Nicastro che con i suoi 6000 abitanti era considerato l'unico mercato a disposizione dei commercianti provenienti dall'hinterland.

Le vie di comunicazioni erano in pessimo stato la più vicina stazione ferroviaria si trovava a circa 30 km. dal paese; l'assenza totale di banche od altre istituzioni che incoraggiassero la popolazione locale a investire, e soprattutto l'assenza di una politica tesa ad aiutare i piccoli e i piccolissimi proprietari terrieri ed allevatori non hanno consentito agli abitanti di questo paese di potersi mettere nella condizione di svolgere un'attività mirata ad un mercato più ampio.

La miseria era tanta, i poveri morivano di fame, di tifo e i più piccoli morivano spesso per le scarse condizioni igienico-sanitarie o per il freddo.

Domenico Dastoli ricorda che tra i suoi vicini di casa vi era una famiglia composta da 8 figli più i genitori che vivevano in una casa fatta di una sola stanza in cui si cucinava e si dormiva, e si teneva anche qualche animale. Fuori dalla porta veniva creato un manto di paglia che serviva ad assorbire le feci che venivano vuotate davanti alle case, e quando la coperta era satura veniva raccolta e portata lontano dall'abitato.

In casa non c'era l'acqua, che arriverà solo nel 1956, ma in paese vi erano diverse fontane, che davano la possibilità di soddisfare, con enorme fatica da parte delle donne che con brocche di coccio trasportate in una cesta sulla testa o con il "varrile" (recipiente di legno che poteva contenere fino ad un massimo di 25 litri d'acqua), sempre trasportato sulla testa, i bisogni igienico sanitari e la sete delle famiglie.

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La povertà alimentava la solidarietà, chi poteva, pensava anche agli altri, e soprattutto con le varie famiglie si creava un rapporto di fratellanza.

Ma con la fine della Grande Guerra, le cose si aggravarono ulteriormente, la fame e la miseria toccarono punte altissime, iniziarono le proteste contro il carovita e la speculazione sulle merci; così come, le promesse della propaganda di guerra di dare la terra ai contadini-soldati che ritorneranno alle loro campagne provoca l'illusione che l'annosa questione demani aIe possa giungere ad una soluzione; ma il mancato mantenimento dell'impegno avrà conseguenze gravi alla fine delle ostilità, infiammando il clima sociale e politico.

         5.            Emigrazione, conflitti sociali e affermazione  del    Partito Nazionale  Fascista in Calabria tra le due guerre

     A livello nazionale, gli effetti della Grande Guerra sull'economia e sulla società italiana furono drammatici. Le cifre della bilancia commerciale per il 1919 rivelarono che le esportazioni coprivano solo il 36% delle importazioni. Il costo della vita era 4 volte superiore a quello del 1913, mentre il deficit di bilancio aveva raggiunto livelli senza precedenti. Incombevano l'enorme aumento del debito pubblico; la necessità di riconvertire a non facili e immediati processi produttivi normali del tempo di pace quei settori industriali che proprio durante la guerra avevano raggiunto eccezionali livelli di profitto e di concentrazione; le difficoltà di fronteggiare l'aumento dei prezzi mentre i salari diminuivano e gli stipendi dei dipendenti pubblici erano bloccati dallo Stato; la contraddizione di dover accelerare la smobilitazione dell'esercito per alleggerire le finanze pubbliche, ma senza poter prevenire l'automatico surplus di disoccupati che, lasciata l'uniforme, non trovavano lavoro nella vita civile. Al momento dell'armistizio c'erano oltre 3.000.000 di uomini sotto le armi e 500.000 prigionieri in mano agli austriaci. La rapida smobilitazione produsse 2.000.000 di disoccupati già alla fine del 1919. In quell'anno, la disoccupazione, in Calabria, si mantenne su livelli elevati. Un anno dopo, superato il tumultuoso

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periodo dell'immediato dopoguerra, l'entità di quanti si allontanarono dalla regione natia fu impressionante. Varcarono i confini 51.666 calabresi, su un espatrio nazionale che ammontava a 614.611, con una percentuale, sulla media nazionale, dell'8.4%, la quale comprendeva 38.727 maschi e 12.939 femmine, di cui 4.418 non avevano ancora superato i quindici anni (rispettivamente 2.482 maschi e 1.936 femmine). I punti di riferimento degli emigranti restavano sempre, l'America latina e del Nord, l'Europa ed il bacino del Mediterraneo.

È il caso di ricordare che a tale risultato concorrevano fattori molteplici, dalla riapertura delle frontiere, dopo il lungo periodo della guerra, al ritorno di quanti, richiamati in patria per il servizio militare, avevano ripreso, appena possibile, per le scarse o nulle offerte di lavoro, la via dell'estero; ma vi contribuivano, soprattutto, la fame e la disoccupazione, la quale si fece più acuta nelle zone di

campagna.

I salari dei braccianti, sostanzialmente fermi, nel biennio dopo il conflitto, ad una media di 8,75 lire al giorno, con l'indice più basso di tutta l'Italia meridionale, isole comprese, non bastavano nemmeno per soddisfare le esigenze primarie della popolazione.

Prendendo in esame la provincia di Catanzaro, il salario era di appena 7 lire, con lievissimi aumenti, di anno in anno, che lo portarono solo nel 1926 alle lO lire. Con paghe così miserevoli, che seguivano molto lentamente il costo della vita, non c'è affatto da stupirsi se la quotidianità del contadino si trascinava in modo brutale verso la ricerca di una migliore, comunque, condizione di vita, avendo come sua unica speranza di riscatto il lavoro anche in paesi 10ntani?5

In questo clima di malessere diffuso, il 23 marzo 1919 videro la luce i "Fasci di Combattimento", in breve tempo il movimento acquisì un forte consenso in tutti gli strati della società, sia con l'uso della violenza che con compromessi politico-economici: gli 88 "Fasci" diventarono 834 e i 20 mila iscritti oltre 250 mila, divenendo un "movimento di massa" fortemente radicato nel mondo del lavoro, tanto che i sindacati fascisti potevano contare su circa 400 mila

5 A. Placanica, Storia della Calabria dall'antichità ai giorni nostri. Sottosviluppo e Fascismo, Catanzaro] 993. pp. 643 - 644.

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contadini iscritti e su 200 mila operai.

Il Paese era stanco di disordini e sangue, anelava a rientrare nella normalità.

Nelle elezioni politiche del 15 maggio 1921 i Fasci di Combattimento ottengono oltre 700.000 voti e conquistano 35 seggi in Parlamento.

L'Il novembre 1921 a Roma durante il III congresso dei Fasci di Combattimento viene fondato il Partito Nazionale Fascista (PNF).

Nell'ottobre 1922 il PNF aveva 300.000 iscritti, alla fine del 1923 erano diventati 783.000. E già nel successivo 1924 alle elezioni politiche il listone fascista fu votato da 4.305.936 italiani.

Dopo la marcia su Roma il 16 novembre 1922 Mussolini esordisce con il suo primo discorso al Parlamento come Capo del Governo dicendo:

" ... Potevo fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli; potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto ... " 26

Il Parlamento è idealmente demolito da queste parole pronunciate da Mussolini nella seduta di presentazione del suo primo Governo che, comunque, passa con l'appoggio di tutti tranne che dei comunisti, dei socialisti e dei repubblicani.

Mussolini cominciò con il collegare il Partito al Governo istituendo il Gran Consiglio del Fascismo presieduto da lui stesso e formato da ministri, di alcuni sottosegretari, dei quadrunviri, del segretario generale delle corporazioni, del segretario dei fasci all'estero, del direttorio del Partito e dei capi della Milizia.

Mussolini, capo dell'esecutivo, crea la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN) e vieta ogni altra formazione di carattere militare: la milizia sarà ufficializzata nel gennaio 1923 contemporaneamente all'istituzione del Gran Consiglio del fascismo; praticamente l'intento è quello di rafforzare l'autorità statale affiancandole organismi fascisti, per raggiungere un totale controllo di tutte le attività dello Stato e degli italiani.

             2   6 A.Paloscia, Storia del fascismo e della resistenza, volume l, Roma. Libera    informazione editrice. 1997 p. 53.

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La presenza delle camicie nere cresce nel paese, soprattutto nel Mezzogiorno era favorita grazie anche dall'appoggio dei ceti dominanti che non hanno accettato di vedere messa in discussione la loro supremazia politica, di essere stati allontanati dall'amministrazione politica, e in questo caso il fascismo, offre loro la vorace occasione di ritornare sulla scena della politica locale da protagonisti (magari senza legittimazione elettorale!).

Non è un dato di poco conto il fatto che il fascismo, nato in città, trovò nelle campagne, grazie allo squadrismo, un terreno naturale di aderenti (proletari, contadini, piccoli possidenti). In ambito rurale le organizzazioni fasciste cominciarono, infatti, a sostituirsi ai sindacati socialisti già dal 1921, prima nella pianura Padana e poi nel resto del paese.

Il fascismo diventa un partito di massa raccogliendo aderenti su più fronti, un partito interc1assista per nulla rivoluzionario, ma di appoggio al Governo.

Come nota Cappelli: "la Calabria si apre al fascismo dall'interno e dal basso, cosicché troviamo tra le camicie nere contadini ex socialisti che spesso cambiano casacca per opportunità politica e personale, il più delle volte, probabilmente, perché vedono nel fascismo un mezzo di riscatto, così come l'avevano visto e sentito nelle parole dei militanti socialisti che anni pnma percorrevano le campagne e diffondevano idee nuove di giustizia". 27

Il riassetto degli Enti locali fu uno dei problemi che il Fascismo si propose di risolvere fin dal suo avvento al Potere. E la soluzione fu conforme a quel concetto dello Stato unitario e sovrano che è uno dei capisaldi della dottrina fascista. Dopo tre anni di esperienze e un approfondito esame della questione, il Governo venne nel convincimento che fosse necessario abbandonare il sistema elettorale per affidare ad un Magistrato di nomina regia. Questo porterà alla legge del 4 febbraio 1926, che istituiva il Podestà nei Comuni con popolazione non eccedente i cinquemila abitanti. Con successivo Decreto legge 15 aprile 1926, l'ordinamento podestarile venne esteso a tutti i comuni sedi di stazioni di cura, di soggiorno e di turismo, indipendentemente alla popolazione di esso, ed

'7 V Cappelli, Il fascismo in periferia, Cit. pp, 18-] 9.

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infine, con un altro Decreto legge, l'istituto venne attuato in tutti i Comuni del Regno tranne in quello di Roma per il quale fu mantenuto l'ordinamento governatori le istituito con R. Decreto 22 ottobre 1925.

Esaminare la legge sull'istituzione dei podestà, è importante per capIre un aspetto dell'approdo del fascismo al totalitarismo, che più che essere una degenerazione del movimento è una sua logica consequenziale. Lo studio della riforma degli enti locali, consente di analizzare la trasformazione imposta dal regime mussoliniano alla costituzione moderatamente liberale di cui l'Italia si era dotata, che altro non era se non lo statuto che Carlo Alberto concesse al Regno Sardo nel 1848, poi diventata costituzione del Regno d'Italia. Tale costituzione si era arricchita, nel corso del tempo, di riforme (tra cui l'allargamento del suffragio compiuto attraverso le tappe del 1882, del 1912 e del 1919) che facevano ben sperare nella stabilizzazione di un assetto civile del paese.

Gli anni dal 1926 al 1932, in cui il fascismo impone una rottura del cammino politico intrapreso, consacrano un governo antidemocratico, antiparlamentare, antiliberale e spazzano via il laborioso e difficile processo di educazione alla democrazia intrapreso fino a quel momento.

In quest'ottica degenerativa della democrazia, si può inquadrare la creazione del podestà come unica autorità locale non eletti va, che va a sostituire sindaci e consigli comunali.

La riforma, nelle aspettative del regime, è animata dalla prospettiva di far progredire i comuni rurali (cioè 1'80% dei comuni italiani) verso la modernità, di eliminare per sempre le lotte tra modesti uomini politici del luogo in favore di un uomo sopra le parti e consentire a uomini di fiducia di garantire la continuità con il governo centrale.

Lo Stato non rappresenta più un entità lontana, presente soltanto nelle tornate elettorali; esso si annuncia, invece, come vistoso e totalizzante apparato di controllo che si sovrappone all'universo locale, pretendendo di delegittimarne i meccanismi di consenso. Con la legge 4 febbraio 1926, n. 237 venne istituito il

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podestà: dall'approvazione di questo provvedimento fino al 1945 gli organi democratici dei comuni furono soppressi e tutte le funzioni in precedenza svolte dal sindaco e dal consiglio comunale furono trasferite al podestà, nominato con decreto regio per cinque anni e in ogni momento revocabile.

Questo provvedimento, accompagnato dall'abolizione delle libere elezioni, avrà l'ambizione di portare a compimento l'erosione del consenso elettorale ancora goduto dalle famiglie nobili e borghesi, cercando di spezzare i legami di tipo personale che assoggettavano gli individui al potere locale. Si mette in opera un processo di accentramento amministrativo, secondo le linee deliberate a livello nazionale. La manovra viene realizzata non solo attraverso l' accorpamento dei comuni più piccoli, ma anche tramite la più marcata dipendenza delle amministrazioni comunali dal prefetto, inteso come la più alta autorità dello Stato nella provincia e il responsabile diretto del potere esecutivo, alla cui approvazione saranno subordinate le deliberazioni podestarili.

6. Il nuovo ruolo della donna nella società civile

L'avvento al potere del fascismo aveva coinciso con due grosse CrISI economiche: quella del dopoguerra e quella degli anni 1929-31.

L'aumento della disoccupazione e la concezione della donna tipica del Regime avevano fatto sì che il lavoro femminile extradomestico venisse prima deplorato poi scoraggiato e, quando necessario impedito con specifici provvedimenti legge. In quattro anni, dal 1929 al 1933, il numero dei disoccupati in Italia passa da 300.000 unità a oltre un milione. E tuttavia, protestano molti, si vedono nelle grandi città donne che lavorano negli uffici pubblici, nelle scuole, anche nelle fabbriche. Allo scopo di limitare l'impiego della manodopera femminile sottopagata in presenza di un'elevata disoccupazione maschile, e mantenere tuttavia una riserva di lavoratori a basso prezzo per l'industria, il regime escogitò un elaborato sistema di tutele e divieti teso a regolare il lavoro delle donne.

Il regime provvederà a stipulare un accordo confederale datato 1934 tra

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sindacati fascisti e datori di lavoro, che prevedeva la riduzione del personale femminile. Limitando l'opera della donna a quei generi di lavoro singolarmente appropriati alla mano d'opera femminile.

Negli uffici andranno bene le dattilografe, ma non le archiviste e tanto meno le impiegate di concetto; nelle scuole saranno accettate le insegnanti di italiano, ma non quelle di filosofia, in ospedale saranno ben viste le infermiere, ma escluse le dottoresse.

Salari e stipendi più bassi alle donne, dunque, in campagna, in fabbrica o in ufficio, per scoraggiarle e sottolineare il minor valore del loro lavoro. Ma questa discriminazione salariale, codificata nei contratti e corrispondente all'ideologia fascista, fu paradossalmente uno degli elementi per cui il lavoro extradomestico delle donne non poté essere né abolito, ne fortemente ridotto.

Tuttavia bisogna affermare che ai datori di lavoro, soprattutto nelle fabbriche non dispiaceva affatto assumere donne, checché ne dica il Fascio. Si pagavano all'incirca la metà e rendevano più o meno quanto un uomo.

Invece in agricoltura le retribuzioni erano molto più povere per tutti: nel 1935 il salario giornaliero di un bracciante non superava le 9 lire al giorno (un terzo della paga media di un operaio), mentre la donna bracciante non riusciva a superare le 5 lire a giornata, meno di quanto guadagnava un ragazzo.

Il settore della pubblica amministrazione fu quello investito in modo più diretto dalla politica fascista di discriminazione e scoraggiamento dell'occupazione femminile. Prima di tutto si provvide a limitarne la presenza nella scuola, dove pure le donne erano presenti ormai da qualche decennio.

Con tre decreti, uno del 1923, uno del 1926 e uno del 1940, si vietava alle donne di essere presidi di scuole o di istituti di istruzione media. Ma fu loro vietato anche l'insegnamento della storia, della filosofia e dell'economia sia nei licei classici che negli istituti tecnici.

Si tendeva così a relegarle, di fatto, nelle magistrali sia come allieve che come docenti.

Poi ci si occupò dei ministeri, degli enti statali e parastatali, con altrettanta severità; un decreto del 1933 autorizzava le singole amministrazioni a stabilire

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nei bandi di concorso l'esclusione totale delle donne o i limiti entro cm contenerne l'assunzione.

Un decreto immediatamente successivo, del 1934, escludeva le donne da una serie di uffici e incarichi pubblici (era loro proibito ad esempio fare il segretario comunale).

Infine si dettarono norme analoghe anche per i privati: con un decreto dell'ottobre 1938 si decise che negli impieghi pubblici e privati le donne non potevano coprire più del dieci per cento dei posti di lavoro. Le lavoratrici che già fossero state in servizio avrebbero dovuto essere collocate a riposo quando avessero raggiunto il minimo di anzianità. Nel settore privato non si concedeva nemmeno questa dilazione, al massimo entro tre anni le donne avrebbero dovuto essere sostituite da colleghi maschi. Ma i tre anni posti come limite li avrebbero portati nel pieno della guerra, quando la mancanza di mano d'opera avrebbe consigliato di non dar seguito a questi provvedimenti. E così in effetti avvenne. Tuttavia lo sforzo di coinvolgere le donne nel processo di fascistizzazione della società fu ambiguo e contraddittorio; si dispiegò con molta energia nelle città dapprima attraverso l'organizzazione dei Fasci Femminili, preposti all'affermazione della concezione fascista della donna, antiemancipazionista e sessi sta; successivamente videro la luce una serie di opere di assistenza e di servizi sociali, quali ad esempio l'O.N.M.I., Opera Nazionale per la protezione della maternità e dell'infanzia.

Attraverso queste associazioni cominciarono a circolare nuove pratiche educative e igienico-sanitarie, che stimolarono impulsi modernizzatori nei costumi sociali e nella mentalità collettiva e si tradussero nel riconoscimento di alcuni elementari diritti per la donna: dagli asili d'infanzia alla tutela della donna lavoratrice, dall'istruzione ad un'autonoma vita associativa.

Negli anni trenta il Duce chiamò la donna alla partecipazione attiva, alle adunate, alle marce, alla costruzione di una Grande Nazione. Nacquero così il Dopolavoro e le organizzazioni sportive, dove le donne, ovviamente sotto stretto controllo maschile, svolgevano funzioni assistenziali e addirittura sviluppavano una coscienza di razza che sarebbe servita poi a distanza di tempo come supporto

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ideologico per la politica coloniale.

Si trattò di una vera e propria politica per la formazione della donna che veniva istruita nell'economia domestica, nell'educazione all'infanzia, nell'assistenza sociale ed educata alla salute e a una sana maternità attraverso l'introduzione dell' educazione fisica e dello sport femminile.

Se da un lato il fascismo condannava tutte le pratiche sociali connesse con l'emancipazione femminile, dal voto al lavoro extra-domestico, al controllo delle nascite, dall'altro, nel tentativo di accrescere la forza della nazione si vide costretto ad utilizzare tutte le risorse disponibili compresa la risorsa "donna" e così finì per promuovere quegli stessi cambiamenti che cercava di evitare. Emerge qui l'ambivalenza propria degli organismi di massa promossi dal Regime che in più di un' occasione sono stati messi in evidenza dai sociologi: da un lato, infatti, tali organismi erano istituiti con l'intento di realizzare un controllo sociale, dall' altro per costituire delle occasioni di ascesa sociale per le classi intermedie a cui spesso era affidata la loro direzione politica; per contro, però, essi contribuirono spesso ad attivare processi di reale modernizzazione della società dagli esiti imprevedibili e soprattutto costituirono uno strumento di partecipazione e di presa di parola da parte dei soggetti sociali coinvolti, in forme e modi del tutto contrari agli interessi del regime stesso.

La mobilitazione di massa, la modernizzazione dei servizi sociali e negli anni trenta il militarismo, minavano di fatto le basi del concetto tradizionale di donna e famiglia.

Non bisogna dimenticare inoltre l'influenza che la Chiesa esercitava sulla società italiana di allora. Il Duce, sebbene di formazione laica, fu sempre attento a rassicurare la Chiesa e ad evitare conflitti importanti tra gruppi cattolici e organizzazioni fasciste.

Sulla questione femminile le posizioni della Chiesa furono senz'altro di supporto ideologico al regime; la continuità della tradizione e la subordinazione della donna all'uomo erano alla base del dogma religioso.

Il rapporto tra donne e regime non fu lineare, né statico o omogeneo, ma in ,continuo divenire. Nel corso degli anni subì forti trasformazioni che produssero

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un'evidente contraddizione: da un lato una serie di tentativi miranti ad escludere le donne dalla società, le disposizioni in materia di voto amministrativo e le norme sul lavoro; dall'altro un'incessante necessità di coinvolgere le masse femminili all'interno della struttura sociale attraverso il loro inquadramento in molteplici organizzazioni fasciste.

Ma con l'entrata in guerra al fianco dei Tedeschi le cose cambiarono, soprattutto nella sfera privata di molte donne, di quelle donne appartenenti alle classi più basse.

Il mese di Dicembre del 1940, fu uno degli anni più duri per le donne jacursesi, e penso di tutta Italia. È il primo Natale senza marito in casa. Fu un anno amaro; alle donne veniva affidata la gestione quotidiana dell'economia domestica. In questo periodo iniziano a conoscere la piccola amministrazione del giorno per giorno, ma fino a quel momento ignoravano le regole dell'amministrazione dei beni e dei patrimoni. Adesso dovevano attrezzarsi a sapere e capire di più anche dell'amministrazione familiare, specie quando c'erano beni immobili e rendite da curare, o terre di cui seguire il rendimento.

È vero che c'erano spesso dei parenti più anziani non chiamati in guerra cui delegare la parte più complessa dell'amministrazione, o cui chiedere consigli, ma non è raro il caso di donne che, superato lo scoglio delle prime difficoltà, decidono di fare da sé. Si tratta di decidere acquisti ed economie, vacanze e sfollamenti, cambiamenti di casa e di scuola. Per molte donne queste sono le prime decisioni della loro vita; per la prima volta sono costrette a valutare da sole il pro e il contro, le conseguenze delle loro scelte, i rischi e vantaggi che ne possono derivare a se medesime e alle famiglie.

Le esperienze compiute durante il periodo fascista influenzarono dunque il modo in cui la donna partecipò alla vita politica dopo il fascismo. Il diritto di voto finalmente conquistato nel 1946, l'entrata massiccia nel mondo del lavoro industriale e terziario, fecero riemergere con più forza l'eredità lasciata dal primo femminismo degli inizi del novecento, invano sedata nel ventenni o fascista.

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7. Da fonti dirette: Il primo sindaco donna in Calabria. Elisa Dattilo

La Calabria quella stessa che tarda con le innovazioni, nelle avanguardie, nei progetti, la Calabria che soffre ora più che mai di una politica infima, e che non riesce a stare al passo con i tempi dettati da una Europa sempre più esigente, cela come sempre delle fantastiche sorprese che è bello condividere.

Elisa Dattilo è una delle prime Sindaco donna, entra così nella Storia d'Italia e diviene simbolo eloquente di quel percorso di emancipazione femminile che ancora oggi prova a riscoprire nuova linfa nelle diverse espressioni delle Pari Opportunità. L'avanzamento civile ed il riscatto di parità in quell'epoca rivestiva una particolare esaltazione. L'emancipazione della donna, intesa come libertà di poter decidere azioni e pensieri, comincia a delinearsi nella testimonianza di chi, come la Dattilo, riesce a varcare le soglie di una cultura di potere strettamente legata alla sfera maschile.

Avrei voluto in questa circostanza intervistare ogni abitante anziano di Jacurso. È stato interessante raccogliere alcune testimonianze resemi da poche persone che comunque hanno accettato di raccontarsi. Parlando della vita privata e pubblica di Elisa Dattilo, non è stato facile, soprattutto per i familiari riportare informazioni personali, soprattutto in un contesto come la Calabria, dove le persone difficilmente rendono pubbliche le proprie storie e ancor di più se si riferiscono a periodi in cui la vita non era facile e si viveva di stenti. Le informazioni che riporto mi sono state raccontate da una delle figlie di Elisa Dattilo, Filomena Dattilo - Cervadoro,

In questo paese, subito dopo la conclusione del primo conflitto mondiale ed esattamente il lO maggio del 1919 nasce in una famiglia 'benestante ' (così è la condizione nel suo atto di nascita) dal Cavalier Giovanbattista Dattilo e da Filomena Bilotta (figlia dell'allora sindaco Bilotta), Elisa Dattilo primogenita della famiglia.

Il padre, uomo d'affari, titolare dell'ufficio postale del paese e di una linea di autobus, dopo la morte della moglie, decide di affiancare un'istitutrice ai suoi

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figli, Elisa e Gianni, per alleviare la perdita della madre e aiutarli nell' acquisizione di una corretta educazione.

Terminate le scuole elementari, Elisa viene affidata alle cure della zia materna Teresa e si trasferisce a Roma, dove frequenta il Collegio del Sacro Cuore a Trinità dei Monti. Qui si dedica scrupolosamente ai suoi studi e impara a parlare fluentemente il francese, a suonare con brio il pianoforte ottenendo apprezzabili risultati.

Durante il periodo fascista partecipò attivamente alla vita politica del paese sia indirettamente, in quanto il padre fu Podestà e sia direttamente partecipando alle manifestazioni organizzate dal partito. Qui conosce il giovane medico condotto del paese, Vincenzo Cervadoro, anche lui dirigente del Fascio e lo sposa il 30 settembre 1941 convinta della certezza del domani. Che il futuro marito sia un dirigente del Partito Nazionale Fascista lo si rileva dalla foto del corteo matrimoniale dove dietro la sposa con il vestito di parata del partito campeggia la figura dello sposo.

Dal matrimonio nascono tre tigli, Maria, Gregorio e Filomena. Nel 1952 il paese la vuole candidata nella Democrazia Cristina e viene eletta sindaco del Comune di Jacurso, avendo tra le sue sostenitrici Margherita Riga e Rosa Dattilo nominata come vice sindaco. E' da sottolineare come le donne partecipassero in prima persona alle elezioni amministrative di Jacurso.

E' possibile ipotizzare che gli ex dirigenti del PNF hanno dato la possibilità di far diventare sindaco una donna per far decantare la situazione politica caratterizzata dal ventennio fascista, tant' è che la lista capeggiata da Elisa Dattilo era composta quasi tutta da artigiani e contadini e solo due ex dirigenti del PNF. Tuttavia Elisa Dattilo accettò con grande coraggio ed abnegazione l'incarico e cercò in tutti i modi di fare le cose al meglio.

L'Il giugno 1952 si insediava come prima cittadina della comunità di Jacurso. Siamo nel dopoguerra e la ripresa socio-economica è ancora lontana. In Parlamento siedono già alcune donne, espressioni delle diverse compagini politiche, ma la strada del riconoscimento del loro ruolo anche nelle amministrazioni locali è ripida ed in salita.

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Non è da poco pensare che negli anni '50 sarà un piccolo borgo calabrese a nominare come Sindaco una donna. Il suo insediamento fu precursore di un'emancipazione della figura femminile che purtroppo in Italia stenta ancora oggi ad essere attuata.

Una delle prime donne in Calabria a rivestire una carica di tale rilievo dopo la costituzione della Repubblica, durante il suo mandato si distingue per aver fortemente sostenuto il diritto allo studio e il diritto alla salute; senza tralasciare nulla di intentato per risolvere i problemi di ordinaria amministrazione. E' interessante commentare i pochi documenti pervenuti da quel periodo. Sono documenti molto significativi della modernità amministrativa di Elisa Dattilo. Commenteremo qui di seguito la delibera di giunta n.8 del 6 Agosto 1952.

Dal registro degli atti deliberanti si evince una situazione catastrofica: il comune si trova in dissesto economico, non era possibile accertare la reale situazione finanziaria dello stesso, poiché bisognava stabilire la reale portata dei residui passivi e attivi. L'amministrazione in questione doveva attuare degli accertamenti per capire le spese in eccedenza. In questa seduta si decide di intraprendere una risistemazione delle spese di bilancio, con la richiesta di un funzionario ispettivo per l'esame e la regolarizzazione sia sui conti consuntivi pendenti, e sia delle carte contabili in possesso del tesoriere. Successivamente alla verifica del funzionario ispettivo, l'amministrazione definirà la reale situazione finanziaria del comune suddetto. Così facendo viene approvato solo un bilancio preventivo di sola competenza, per dare la possibilità al comune di estinguere i propri debiti e recuperare i crediti ancora non riscossi. La strategia si basa su una maggiore prudenza nel calcolare le entrate e una maggiore parsimonia per le spese da sostenere.

L'obiettivo è di arrivare alla fine del 1953 al pareggio di bilancio. I criteri utilizzati saranno:

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  1. Adeguamento bilancio
  2. Ristrutturazione organico
  3. Rateizzazione delle spese in tre annualità

Saranno aumentate le tasse che colpiranno maggiormente i proprietari terrieri, i possidenti di case e di bestiame di varia natura, in modo tale da recuperare più entrate, che insieme alla riscossione dei tributi e al recupero crediti andranno ad ammortizzare il disavanzo accumulato in precedenza. Ma in questa risistemazione dei conti non troviamo solo aumenti fiscali e tagli, l'amministrazione sarà attenta ad incoraggiare maggiormente le politiche sociali e la nascita di nuove scuole-cantiere. Nelle varie voci di spesa verrà stanziato:

  • per acquisto medicinali ai poveri 60.000 lire (mentre in precedenza la voce di spesa era di 30.000 lire), per l'aumentato costo dei medicinali e per l'aumentato bisogno di questi da parte della popolazione non abbiente .
  • Le spese per "spedalità" a carico del comune passeranno da 30.000 lire a 290.000 lire (nel corso delle precedenti amministrazioni il comune aveva accumulato nei confronti degli ospedali un debito di 1.000.000 di lire, dovute al fatto che molti jacursesi per motivi di lavoro domiciliavano fuori dal comune di residenza e quindi non avevano una copertura per quanto riguarda il "domicilio di soccorso").

Grazie alla sua caparbietà e alle sue doti di intraprendenza favorita dall'appoggio del fratello Gianni (trasferito si nel frattempo a Roma), questi la porta ad incontrare il Ministro dell'Istruzione dell'epoca e riesce ad ottenere i fondi necessari per la costruzione dell' asilo infantile e l'arredamento della scuola elementare, diminuendo il disagio agli alunni del paese.

Molto attenta alla prevenzione, promuove le vaccinazioni contro la tubercolosi e favorisce le colonie estive per le famiglie più disagiate.

A lei si deve la costituzione del polmone di ossigeno che è il bosco comunale di Madama Laura, con interventi di protezione naturalistica e forestazione. Circa100 ettari di abeti e faggi.

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Promosse l'occupazione dei più giovani appartenenti alle famiglie meno abbienti e il rimboschimento delle zone depauperate dagli alberi che gli inglesi tagliarono e si portarono via come bottino di guerra - infatti istituì più di un cantiere scuola e provvide ad organizzare i lavoratori in squadre per rimboschire il pianoro e le pendici di monte Contessa.

Elisa Dattilo va ricordata anche per la sensibilità rivolta al mondo femminile e all'assistenzialismo, 1'11 novembre 1952 invia una lettera all'Opera Nazionale per la protezione della maternità ed infanzia di Catanzaro, sollecitando l'ente a trovare una sistemazione ad una ragazza sedicenne di nome Moio Teresa, allontanata dai genitori solo perché incinta. La ragazza all'ottavo mese di gestazione verrà ricoverata a Catanzaro con tutte le dovute assistenze sia fisiche che morali.

Tuttavia dalla lettera inviata dal sindaco si evince indirettamente la discriminazione che dovevano subire le ragazze madri, che il più delle volte non avevano nessuna colpa perché avevano subito violenze e soprusi da terzi.

Tra le righe si legge:

"si prega voler disporre con cortese sollecitudine il ricovero in maternità della sedicenne ……. Teresa di Antonio e di …… Caterina da Jacurso incinta all'ottavo mese compiuto di gravidanza.

La povera giovane per il fallo commesso è stata cacciata dai genitori ed ora trovasi senza tetto e senza alcuna assistenza materiale e morale ".

Il 24 novembre 1952 il sindaco per sollecitare gli enti preposti invia un telegramma all'Istituto Case Popolari, allegando le proteste degli inquilini, fra le righe si legge:

"si allega la protesta degli inquilini presentata ieri al

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Comune. In effetti le case sono inabitabili in quanto l'acqua penetra ovunque specie dai tetti. Urge provvedere con sollecitudine e penso sia opportuno fare venire sul posto un rappresentante dell'istituto onde rendersi personalmente conto del grave inconveniente che mette giustamente in grande agitazione ben 16 famiglie ".

Nel telegramma analizzato, inviato dall'ufficio del Genio Civile di Catanzaro, troviamo testuali parole:

"il sindaco di Jacurso insiste perché sia affrettata la costruzione di ricoveri stabili per dare una decorosa sistemazione a quelle famiglie che tuttora vivono in cadenti baracche costruite in seguito al terremoto del 1905. Si richiama in proposito la lettera del Ministero dei Lavori Pubblici in data 29/12/1952, n.5664 e si prega di far tenere, al più presto, al Ministero stesso, il progetto dei ricoveri stabili autorizzati con la lettera richiamata. Dall 'avvenuto inoltro degli atti tecnici menzionati si prega di tenere informata questa Prefettura ".

Prima della sua caduta, si prodiga a trovare una sistemazione a quattro famiglie indigenti. Li collocherà in quel rione Milano dove nel 1905 dopo il terremoto furono erette delle baracche grazie al contributo del Comitato milanese e dopo quasi cinquant'anni verranno smantellate, demolite e costruiti degli alloggi temporanei con tutti i servizi di prima necessità.

Nel 1953 ottiene anche l'approvazione di un progetto, ben 12 milioni di lire di finanziamento da parte del Ministero dei Lavori Pubblici, per la realizzazione della rete idrica e fognaria del paese.

Tutto questo suo darsi da fare creò le condizioni della sua caduta. Gli ex dirigenti del PNF confluiti tutti nella Democrazia Cristiana non sopportarono

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che una donna potesse realizzare tutte quelle opere, valutato che ormai erano trascorsi dieci anni dalla caduta del Fascismo, si attivarono per far cessare questa brillante esperienza di buona amministrazione

Fu una congiura covata per molti anni e messa a frutto con tutta la cattiveria possibile.

Uno dei consiglieri ex dirigente del PNF e podestà all'epoca in cui Elisa Dattilo si sposò, era figlio di quel Giliberti medico dell'inizio del secolo, lo stesso medico che scriveva sulla situazione igienico sanitaria di Jacurso nel periodo 1903-1905 e che a causa di quelle relazioni lo portarono allo scontro frontale con l'allora sindaco Bilotta nonno materno del futuro sindaco. All'epoca il dottor Giliberti fu processato, condannato sospeso dall'ordine dei medici della provincia di Catanzaro e fu costretto a trasferirsi a L'Aquila dove dopo aver scontato il periodo di sospensione dall'ordine dei medici poté riprendere la sua attività e dopo molte peripezie ritornò in Calabria.

Terminata la sua esperienza di sindaco si allontana dalla scena politica per dedicarsi totalmente alla sua famiglia, ma continua a spendersi nel sociale specialmente dopo il trasferimento a Nicastro, avvenuto nel 1958 per seguire il marito dottor Vincenzo Cervadoro nell' esercizio della professione di medico­funzionario dell'INAM. Qui diventa componente del comitato cittadino del CIF (Centro italiano femminile) e membro dell'Associazione femminile "Maria Cristina di Savoia", promuovendo insieme ad altre giovani signore numerose iniziative benefiche e di solidarietà fino alla sua scomparsa, avvenuta nell'agosto del 1967.

 

Segue ……….

 

 

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