Che Cuore Batte

Che Cuore Batte per Natale ?

Abbiamo assistito in questi mesi a tante fragilità. Per prima quella del Sistema Sanitario troppo in fretta ceduto alla Sanità Privata come quello della Scuola Pubblica impoverito nelle risorse strutturali, nella Ricerca e nella Didattica..

 

 

Mesi di pandemia che rappresentano una drammatica esperienza collettiva nella quale non si ha certezza che la vita precedente il COVID-19 possa ritornare e ci si interroga su quali possano essere le conseguenze anche individuali nel prossimo futuro considerando che l'incertezza sulla salute si somma a quella economica e sociale.

E’ emersa soprattutto la fragilità delle ideologie liberiste scaricando infine sullo Stato  l’onere a riprendere un ruolo guida in ambito civile e sociale, ridando  cioè  l’ incarico alla politica e ai Governi a discapito del dominio sia dell’economia che della finanza, così evidente nel prima.

Le pandemie , le guerre , le carestie , le rivoluzioni hanno sempre segnato i periodi storici dell’umanità con grandi mutamenti. Anche stavolta dovrebbe  pertanto verificarsi uno spartiacque in cui c’era un prima e ci sarà un dopo.

È molto probabile , cioè, che il 2020 in futuro sarà ricordato come un anno di svolta nella storia umana se è vero, come ci pare vero, che le malattie sono tra i grandi motori di cambiamento nel cammino dell’umanità.

Natale , Pasqua , le Fiere di Paese , le Gite Parrocchiali con Don Adolfo : Li aspettavamo con desiderio perché “ passavano una volta all’anno “ ed era necessario sapere aspettare . Adesso è festa e fiera ogni giorno tanto che non si può fare a meno .Però poi si è scontenti lo stesso mancando la carica verso la meta. Una volta sì che era Natale!

Ora, noi degli anni cinquanta, lo richiamiamo spesso alla memoria e credo capiterà  come riflessione a tutte le generazioni del periodo pre - covid

Dopo un'attesa , lunga un anno e carica di fantasie, arrivava  la settimana di Natale in cui si “ cacciava “ dal tiretto  la Dama , la Tombola mentre sul tavolo della cucina  dolciumi e castagne , granati , noci e nocciole… facevano un figurone . Vestiti ,  scarpe e pochissime altre cose . Attesi per mesi e non pigramente acquistati  su Amazon , ebay… come accade facilmente nell’era dei consumi e della tecnologia. Oggi manca la Fiaba  e pertanto il confronto tra i due mondi, del passato e del presente, appare commovente solo per i cinquantini / settantini suscitando tantissime considerazioni.

Il Natale anni Cinquanta

Cosa aveva di tanto affascinante il Natale di una volta ? E  Chissà se i bambini del 2020 ,quando saranno adulti , esprimeranno la stessa riflessione ! Credo proprio di no. Per essere figli del consumismo son cambiati tanto anche loro .

Ma lasciamo per un po’ l’era presente, l’era del covid 19 dentro alla quale siamo ancora immersi pesantemente, con tutti i rischi e le conseguenze negative che essa porta ogni giorno nelle nostre vite e nella nostra società, e rievochiamo, non per invecchiata nostalgia del passato, ma per far conoscere alle nuove generazioni, momenti di vita paesana legati al Natale di 60/70 anni fa.

Cosa aveva di tanto affascinante il Natale di una volta? Era solo Natale. Sinceramente religioso , più accomunati in famiglia ,tra amici e parenti.

Oggi gli auguri di Natale non hanno più alcun riferimento esplicito alla nascita di Cristo . Anzi Emerge un fenomeno socio-culturale di vaste proporzioni che tocca, purtroppo, non solo il Natale, ma anche le altre principali feste cristiane. Accade infatti che proprio il Natale sia ormai diventata – specie nell’Occidente industrializzato – una festa senza festeggiato. O meglio, con un surrogato di festeggiato: il Babbo Natale di tante pubblicità dalla matrice scopertamente consumistica.

Perciò, guardandoci intorno, in questo periodo di un  Natale già passato , per noi figli dei sacrifici, non si potrà  fare a meno di ritornare con la mente all’ infanzia, al Natale dai contenuti più tradizionali dove ,  nei piccoli paesi come Jacurso , batteva ancora un cuore antico .Quello che sapeva anche commuovere perché non era ancora  il Natale “di facciata” ma “di sostanza.” Riflettendo sul 'Natale oggi',  sono affiorate alle mente immagini di parecchi Natali fa, quando ero più che  un ragazzino e con i miei amici chierichetti indossavamo i pantaloni corti anche la mattina presto per andare alla novena. Perché la Novena di Natale si celebrava presto , all’alba.. e le sedie della Chiesa stavano tutte piene anche a quell’ora fredda del mattino.

A quel tempo gli amici non mancavano. Ogni famiglia contava almeno tre o quattro figli. A volte anche sei , otto, pure dodici. Le partite a pallone erano all'ordine dell’intera  giornata e i compagni si andavano a 'chiamare' a casa. A volte ci si fermava lì ad aspettare che finissero di mangiare o finissero di compiere qualche “ comando  dei genitori “ partecipando così a un pezzo della loro vita familiare prima di precipitarsi fuori col pallone. Perché bastavano due pietre e si improvvisavano  facilmente due porte.E lo spazio che si trovava diventava tutto disponibile.Tondo , largo , disuguale . Dove capitava e possibilmente dove non c’erano “ vetri “. Il Vero pericolo stava a non rompere vetri già che per strada non c'erano altri pericoli.... ma una guardia che ci tagliava la palla. " Fhujimu 'ca 'ncè Luiginu ". Poi si spiava  ....e palla a centro..

Le auto andavano piano per evitare quella palla bianca mentre,  tenendola  sotto il piede, si aspettava che passassero. E non ci sentivamo campioni. Senza maglietta e senza scarpette restavamo appagati, sudati e stremati. Perché le partite potevano durare anche tre ore.

I nostri genitori ci vedevano tornare la sera senza averci mai dovuto chiamare al cellulare che del resto... non esisteva.

Potevano contare sul nostro senso di responsabilità , timore , ubbidienza  e sulla  presenza dei ragazzi più grandi. E un adulto che ti dava una mano l'avresti sempre trovato. Perché c’erano anche gli adulti che non ci sono più adesso.

Natale comunque aveva il suo fascino, lo si attendava con gioia, nonostante la situazione. Perché negli anni cinquanta la guerra era finita da poco , eravamo i figli del dopoguerra  e la miseria era tanta. Per chi più e per chi di meno . Comunque sempre  " ristrettezze " le sentivo chiamare . Oggi nessun ragazzo potrebbe capire . I giorni immediatamente prima del 25 Dicembre erano giornate animate dai preparativi per l'allestimento del presepe. Piccolo, ma piacente: non mancava di nulla: il muschio naturale su cui si posavano statuine di cartapesta o di gesso e da pastori fatti di argilla locale. Rappresentavano i diversi mestieri: la lavandaia, il ciabattino, il fornaio, il venditore di caldarroste, la vecchietta che filava la lana, il taglialegna, la contadina con polli e pulcini; i pastori con le pecore e il cane , il contadino che zappa.

Immancabile il pozzo con il secchio , il mulino e il ruscello. I doni lasciati da Gesù Bambino. Sì, da Gesù Bambino, non  da Babbo Natale ...Io osservavo con trepidazione e stupore, per assicurarmi fossero proprio quelli richiesti ai miei mamma e papà. Non si scrivevano letterine ma se “ ffai lu bravu … lu bombinuzzu ti porta ‘ncunu rigalu “. Restavo accontentato come bastava in quegli anni.  Una macchinina di latta con la chiavetta per la “ corda “, una scatola di colori, l'album per disegnare o colorare le figure stampate. I soldi di cioccolata , qualche torrone e un pugno di caramelle. Che bello ! Non conoscevamo i richiami dell’oggi.

Gesù Bambino era il protagonista e l'albero con i suoi addobbi non era ancora entrato prepotentemente nelle nostre tradizioni. Festa vera che faceva commuovere. Mancavano le “luminarie”, gli sfarzi, le ricercatezze, la frenesia degli acquisti, i viaggi . Perchè la situazione era ben diversa , molto  diversa dall' attuale. Il progresso ha cambiato anche le persone ma il tempo è giusto che non abbia a fermarsi . Non si è fermato pur avendo io ( come tanti ) , e non una sola volta  , la voglia che l’avesse fatto.

Ma non è nostalgia e nemmeno il passato che ritorna con l’incubo del presente e del futuro. E’ amore per i ricordi, per i luoghi della nostra infanzia, per i volti, gli oggetti ed i profumi che hanno accompagnato la nostra esistenza. È un richiamo al passato che si carica di bellezza solo per ripassare lentamente un periodo che ci appartiene, una giornata particolare consapevole che  ci si deve adeguare e si comprende come  io l’abbia fatto un po' a malincuore... ma ...in questa circostanza  rimpiango solo l'atmosfera del Natale della mia infanzia almeno perché era più intima, più semplice e questa semplicità ci rendeva felici e sereni ,forse , tutti.

L’atmosfera festaiola

Ai nuovi giorni dell’era consumistica  prima Natale  inizia , invece , il lacrimatoio annuale per gli abeti, che dopo le feste trovano ingloriosa fine nel caminetto o nel cassonetto, con un andazzo che in ogni caso per loro significa morte. Passato Natale si decide di piantarlo in giardino ma col dubbio evidente che le possibilità di attecchimento di un albero maltrattato fino a questo punto sono veramente basse; e in ogni caso non si può certo pensare di piantare tutti gli anni un abete in un giardinetto di paese o di città, senza contare che l’abete non è l’albero per tutta Italia, ma solo per le zone montane dove le temperature sono quel che non sono nelle case di paese e  di città. Nelle nostre case con le valvole termostatiche e certe norme che  si scordano facilmente. Il Riscaldamento costa !  . Più ragionevoli comunque alla misura e non come quando   in televisione le signorine buonasera si svestono sbracciate perchè d’inverno (negli Studios) fa troppo caldo e di estate fa troppo fresco . E l’abete abituato ai freddi della montagna ? Soffre e per la befana è ... già cotto.

Il Corbezzolo

 

 

 

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Seconda  Parte


«Laudato si’, mi’ Signore»

Cantava San Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».

L’abete è una pianta nobile, certamente tra quelle elogiate da San Francesco ma , ogni anno , mortificata a beneficio del consumismo, una pianta privata della sua identità biologica a sostegno di luminarie e palline colorate prima, legno da ardere dopo la Befana o peggio abbandonato su di un marciapiede ! Che depressione.

Passata la befana , purtroppo , arriva per l’abete la triste fine dell’abbandono o , peggio, la necessità a disfarsene magari in qualche burrone con uno ..olè risolutore  . Caro Abete non potevi sapere di esser nato già morto.

L’abete , questo oggetto misterioso , chi l’aveva mai visto a Jacurso prima degli  anni cinquanta  ? Certamente non in Piazza anche perché le Piazze erano solo due in un paese già piccolo come Jacurso. Piazzette senza nome ma dalla familiarità anche eccessiva per la confidenza in cui si erano messe con gli abitanti di ogni età. Avanti Cicciu  e Avanti la Chiesa ! Piccole e arredate anche con un alberello curato , sempreverde e commisurato all’ampiezza dello slargo. Di modeste dimensioni ma c’era.

Adesso non si presta più eccessiva attenzione e se “rompe “ lo si fa fuori e basta!

 

* avanti Cicciu.....Avanti La Chiesa  era un retaggio di quando non c'erano strade e figuriamoci i nomi. Solo una indicazione attendibile. Tanto succedeva sino all'ottocento ma l'immagine , prestata  da Nostalgia Canaglia , la fa capire tutta anche nella data del 13.6.51 quando si facevano le disinfezioni col D.D.T e  , con il pennellino , l'avvenuta " disinfezione " si segnava alle porte .  Il  DDT,prodotto americano ,  veniva usato per combattere la diffusione della malaria , del tifo e dei pidocchi, sulla  popolazione civile. Si scoprì ,più tardi , di essere nocivo ... ma era stato efficace.

L’Abete è pure un albero e  gli alberi sono esseri viventi con un ciclo vita simile al ciclo  animale in quanto nascono , si nutrono , crescono .  Perciò respirano , si riproducono , vivono e muoiono. I due alberelli infatti , ora non ci sono più. Ma non per loro colpa. Insieme ad altri  " son Morti prematuri " perchè erano diventati ...monelli. E quando diventano modelli  si possono curare con acidi , iniezioni di chiodi , gli fa bene , pare , anche la nafta  !

L’abete , però, è un essere vivente delle montagne , non certo  della nostra montagna  anche se negli anni ’50  veniva introdotta la coltivazione di nuove specie arboree . Tra queste l’abete Bianco e il Teak con i vivai a cura dell’allora Scuola Forestale ,operativa anche con i vivai , a Madama Laura.

Jacurso , urbanisticamente , è cresciuto solo nel decennio tra gli anni ‘80 e ‘90  .Poi non ha più preteso di rosicchiare  terra  alla campagna . L’edilizia è iniziata e finita in quegli anni e , in quegli anni  del temporaneo Boom edilizio jacurzano , i  nuovi spazi edificati sono stati necessari solo per sostituire le antiche case e migliorare le condizioni sociali e abitative. E se tanto è capitato va riconosciuto  alla contemporanea  sinergia integrata tra pubblico e privato. L’iniziativa privata e la felice scelta urbanistica dell’Amministrazione Comunale del tempo che non mancò di urbanizzare tutta la nuova area. Tra gli altri edifici furono costruite case importanti anche dagli emigrati per i figli che  a Jacurso pensavano di abitare. Pensavano. Intanto i padri seguitavano a salire su di un postalino di colore bleu della Foderaro. Erano in tanti  che si rendeva necessario  salire sulla cappotta per metterci le valige e qualche scatolone.  Quando pioveva , il buon Mellace , rosicchiava parole con un pastrano addosso mantenendosi in un precario equilibro tra l’impaccio di un telone e le guide del portapacchi. Il postalino partiva alle tre del pomeriggio con  la solita tristezza di ogni giorno . Di chi partiva e di chi guardava mentre l’attesa , la partenza e l’ultimo sguardo dal finestrino  si riconsumava su quel muro della Cona appena sopra la Villa . Che ne hanno visto di cotte e di crude . Ma è ormai storia passata.

Alla Cona c’era ,infatti, la Villa comunale con un dignitoso ingresso  , due colonne stile impero  e un cancello in Ferro Battuto  di forgia locale. A mezza strada per la fontana di Castanò era stata realizzata negli anni dell’Era Fascista  e non era stato un brutto affare anche perché  si era  bonificato ancora un pezzo che   andava a colmare l’ampio spazio del Burrone Castanò. Erano rimaste le sole colonne dopo una infausta costruzione di un insensato Mercato Coperto. Distrutte , anche queste ,  senza cuore e senza inganno , una manciata di mesi fa. Poi diventati tanti mesi fa  senza fermarsi a ragionare . Senza chiedere al Burrone Castanò quali che erano ancora  i bisogni non soddisfatti e rimandati da quando era ancora un burrone . Impegni antichi di amministratori che, appena alfabetizzati e, pur senza titoli e quattrini ma solo responsabili per la carica , avevano già prodotto i lavori di consolidamento nonchè altre progettualità dirette a soddisfare per un verso il risanamento del luogo e a fornire dall’altro un fondamento per le esigenze di  "allungare " il paese a ridosso della " Consortile ".

Quanta bella Gioventù

È salita o scesa su quella stradina, fatta di  pietre intrecciate a  spina di pesce . Potrebbero raccontarlo quelle ultime pietre che non ci sono più.. Una di quelle cose che in un paese diventa storia  da ricordare come è vero che tante generazioni conoscevano nel saliscendi giornaliero , la pietra appena alzata, quella mancante o il gradino che stemperava il dislivello  . Scendeva alla Fontana di Castanò dove,  oltre l’acqua  per gli usi alimentari , tre grandi   vasche dispensavano , distribuendo acqua corrente, il  ciclo continuo di lavanderia pubblica mentre in diretta da sopra i muri si avvertiva il profumo del sapone fatto in casa che più pulito e profumato non si poteva ! Ti apriva i polmoni !

Quel  “ sapone di casa “ col marchio DOC di olio di olivo locale saliva sin sopra ai muri della Cona mentre tra “ Cannali “ e “ Gurnelle “ si animavano  pettegolezzi , amori , amicizie … Un’odierna telenovela a puntate che scorreva per tutta  la giornata. Il luogo di incontro per donne sposate o da sposare.  Per incontrarsi . La villa, appena sopra , accoglieva invece  le  persone anziane e , tra questi , i volontari capaci di mantenere il decoro e la sobrietà del luogo . Anzianotti  quasi tutti col bastone. Oggi il bastone non si usa più. Vedere il bastone in mano, per noi ragazzzzziiini era il rispetto abituale  per chiunque lo portasse. Ad oggi si è perso gran parte di questa storia, univocando l'uso del bastone da appoggio a vero e proprio simbolo della vecchiaia.

I ragazzi cresciutelli  paparijiavanu invece  a cavalcioni sul muro soprastante . Un po impacciati !  Si capiva che stavi apposta anche più di un’ora  … A volte una stessa ragazzina o giovinetta faceva su e giù con con vozze e vozzarejha. Per le esigenze famigliari del tempo c’era bisogno di tanta acqua e , a volte, si era anche disponibili all’acqua fresca per l’anziana cummare o vicina di casa .

Per farne un edificio inutile  ad uso mercato , la  “ Villa “ era già stata sacrificata  negli anni sessanta. Quel mercato non divenne mai mercato per nessuna patata , cipolla o lattuga locale e per nessun ambulante . Idee urbanistiche senza sconto in un abitato privo di fogne e rete idrica ma con il banco in marmo  per il baccalà , il pesce e le vasche . A fianco anche  un edificio apposito con i servizi igienici ma sempre senz’acqua. Perché ancora non esisteva un sistema fognario e idrico.

In quella Villa “La panchina era un luogo di sosta, un’utopia realizzata “. Il riposo  a portata di mano. Su quelle approssimate  panchine  si guardava senza essere visti e ci si dava il tempo di perdere tempo , anche nel mese di marzo ancora freddo. Ma dentro la villa si stava bene perché il vento ci passava sopra circondata com’era da  case e da un muro in pietra a faccia vista . Opere! Opere di rinomati scalpellini locali e poi di altri artigiani con  eccellenti " parature " che oggi se dovessero incazzarsi ! Tutti i muri hanno bisogno di attenzione e manutenzione ma pietra dopo pietra verranno giù nella completa ignoranza e disattenzione per quel che si sta perdendo. Popolo incluso.

Certo è che Raccontare la storia di un paese non è facile, figuriamoci raccontare la storia dei Muri e della Villa alla Cona !

Ma in un paese, dove tutti si conoscono, i vecchi parlavano con gli altri anziani e poi in famiglia . E in famiglia  si tramandavano le loro memorie ai figli. Un luogo di incontro , dunque , portatore  di un miscuglio di tradizioni. Scomparsi i "vecchi", molti ricordi sono destinati a perdersi definitivamente . Fu così che a Jacurso si perse anche la Villa.. e la stradine in pietre . Lisciate anche dai piedi nudi delle donne e dalle scarpe rodate di quelli con la zappa .Che proseguivano per le " terre di Arcumannu " ma le scarpe le legavano alla zappa appena ai cannali di " Castanò " dove riempivano la razione d'acqua.

Piante  , Arbusti e  tanto volontariato per  trasportare secchi d’acqua , potare , innestare , mantenere il viottolo , riparare la panchina e i travicelli su cui sedersi. Profumi ad ogni stagione  , cinguettio di passeri , cardellini , pettirossi , verdoni .

La periferia era già campagna. Ma ordinata e  “ben  lavorata “ . Di  Uliveti , querce , castagneti , tanti alberi da frutto o  coltivata a grano  e altri cereali. A questa quota niente Abeti o Pini .Che sarebbero arrivati , sempre negli anni ’50 , con la scuola cantiere forestale di  Madama Laura. Perché a Jacurso , per il Sollievo della Disoccupazione  si fece anche questo tipo di  “Sperimentazione “ dando lavoro a tanti giovani e meno giovani.

Per Natale era un vezzo o un sentore di cristianità esporre appeso in qualche modo un ramo del gradevole Corbezzolo coi frutti rossi e gialli proprio in tale periodo. Di altro non si aveva o non si poteva o non si faceva.

Ma di li a poco nelle case non tardò ad arrivare quel profumo che ti apriva  “ i polmoni “  . L’aroma di resina. Resina  di Pino tagliato di fresco. L'abete era in arrivo con le successive emancipazioni . Iniziava, e non lo sapevano , l’epoca del consumismo e con esso  le imitazioni di usanze che arrivavano da fuori  .

Eravamo abituati al fumo delle ciminiere , non quelle industriali che tutt’oggi per fortuna non conosciamo , ma quelle dei focolari dentro ai quali si bruciava la legna disponibile un po per tutti. Ulivo, quercia, sughero e ramaglie varie . Le ultime arrivavano dal lontano Dietro Volino dove le Amministrazioni del ’50  e seguenti lasciavano aperta “ La Comuna “ . Un luogo alberato e libero  per gli aventi bisogno di legna .  In fila  e stremate passavano le belle giovanissime con pesanti fasci di erica  in testa che , a sera , sarebbero diventati  gli odori dei nostri vicoli , gli odori spesso della miseria . Non erano cattivi odori. I cattivi odori erano quelli delle stalle, dei reflui dei Frantoi, il  “Catripolo “ o peggio delle  fogne a cielo aperto .

Il  profumo di Pino  era anche il Natale ma era il profumo della natura che ci veniva in casa  e poi saliva dentro le ciminiere. Nella nostra comunità e ovunque nel meridione , di  abeti in casa non si aveva abitudine in quanto la nostra  continuava ad essere una cultura  “presepara “ . Poi questo odore di albero tagliato cominciò a venirci  dentro ma non come legno da ardere .. Ci  veniva in casa , adocchiato e tagliato di rapina,  per morire  quando  si spelacchiava  verso l’Epifania. Prima del consumismo diffuso nella tradizione contadina si portava un bel ramo di Corbezzolo. Un sempreverde con dei frutti invernali molto decorativi tra il rosso e giallo. Faceva figura. E ,dove era stato reciso , ricresceva senza lamento e danno ancora più robusto.

L’Abete di Natale è , pertanto , una usanza abbastanza recente di metà secolo appena trascorso perché il Natale in Italia   , fortemente nel meridione,  era simboleggiato dal Presepe. Usanza dovuta a San Francesco di Assisi parecchi secoli fa e tramandata come simbolo della cristianità in particolare da Napoli in giù. Poi l’Abete è divenuto  il nuovo riferimento dell’evento natalizio anche se la figura dell’albero era un simbolo ben conosciuto nella gente  del Meridione a trazione contadina  . Scavando e punzecchiando a far raccontare   ho sentito  dell’usanza del ciocco d’albero per dodici sere consecutive sul finire dell’anno. Ceppi diversi messi da parte com’era facile provvedere nel corso delle variegate attività contadine. Dodici ceppi per identificarsi ai mesi dell’anno che sono appunto dodici. Poi i contadini ,  ho ascoltato , “  disponevano  la cenere nei campi  spargendola   ai piedi di altri alberi mentre per  Pasqua , ancora per poco, si usava portare  nei campi i rami  benedetti di ulivo nel giorno delle Palme .

Piantare un albero alla nascita di un bambino ,da noi , non era un rito abituale anche se qualcuno l’ha sempre fatto. Per consegnare al tempo qualcosa di importante . In generale un gesto simbolico per celebrare la nascita che rivela la fiducia che il genere umano ripone negli alberi, simboli della vita. Fico, noce, melograno, pino e olivo erano alcune tra le specie più usate nel mondo agricolo.

D’altronde l’uomo contadino ha sempre vissuto in tale simbiosi con gli alberi, responsabili della sua alimentazione  e  quindi della sua sopravvivenza

Pare che in quest’ultimo periodo stia tornando in voga di riproporre questo rito. Un po per snob e perché si copia la tendenza anche degli sciocchi da come è abitudine vedere e imitare  le nuove professioni di pifferai/e.

La Rosa Canina . Profumata e molto bella

Oggi alle persone colte , istruiti e utili all’umanità pare infatti si stiano sostituendo alcune nuove figure di scienziati , però chiamati “ Influencer “ . Oltre all’abete altri simboli natalizi sono legate alle piante . Basta ricordare l’agrifoglio , il pungitopo, la verbena, il vischio ,  la stella o la rosa di Natale .  Insomma si incentiva il simbolismo e la tradizione in nome e per conto del consumismo e a molto meno per l’avvento religioso .

E parlando di consumismo non si potrà fare a meno di volgere qualche attenzione per gli alberi di Natale che di fatto seguono una filiera di produzione pronta al consumo per  fine anno.

Qualche considerazione

Dal punto di vista energetico , coltivare un albero nei campi è una pratica agricola e non forestale . Si impiantano addirittura specie  arboree cinesi perché crescono , si sviluppano  prima delle nostre e quindi commercialmente vantaggiose.

Quanto agli alberi di plastica

Di medie dimensioni produce circa 35 kg di anidride carbonica, legata ai processi di realizzazione, smaltimento e trasporto (l'80% degli alberi di plastica venduti in Europa proviene dalla Cina). È vero, è riutilizzabile, ma secondo gli studi dovremmo portarlo con noi per 20 anni per renderlo " eco-logico ".

Basta approfondire per sapere che questa essenza arborea  fa parte delle piante tipicamente alpine e quindi assolutamente estraneo ai nostri territori . Per meglio qualificare i territori  " gli altri " sarebbero gli Appennini, le nostre catene montuose , dove  le Serre si interrompono proprio nel nostro  territorio considerando l’immediata  presenza dell’Istmo.

Ma è negli Appennini dove  avviene “ l’allevamento intensivo “ per essere commercialmente conveniente e più disponibile alla distribuzione .

Cosa si fa ?  Nel suo luogo di origine , per facilitare l’espianto , vengono recise le radici dell’Abete Rosso provocando  già un trauma alla pianta in crescita che successivamente  sarà trasferito e per essere  trapiantato nel territorio appenninico. Un luogo diverso dall’ambiente alpino, non suo. Il secondo grande stress sarà proprio il passaggio dalla zona delle montagne a quelle degli Appennini per poi subirne un terzo passando in un ambiente di città  o comunque urbano come le case con gli appartamenti super riscaldati.

Recentemente interessandoci dell’ambiente animale si scriveva degli agnelli, coccodrilli , montoni e cincillà persino scuoiati vivi per non danneggiare la pelliccia. Ecco , nell’ambiente vegetale si compie lo stesso trauma anche se con minore visibilità e grida di sofferenze . Perciò già noi ci preoccupiamo poco delle salute degli animali  ! ...pensiamo quanto potrà importare delle piante che non hanno grido per urlare!. Sarà dunque credibile considerare che le specie vegetali vengono allevati come polli  in  “ allevamenti intensivi “  e potranno anche sopravvivere ma pur sopravvivendo vivranno male  in quanto sono stati cimati  o  hanno poco radici ecc.

Comunque è meglio prendere un albero che sente di resina e non l’albero di plastica cinese .

Al tempo del fascismo era proibita questa usanza anche se nel nostro Jacurso , anni del Duce e dei Podestà , in pochissime case si faceva entrare un alberello . Un alberello piccolo fatto arrivare pur con il divieto delle autorità del tempo. Un alberello piccolo e privo di doni come sono adesso , i colori molto tenui con qualche candelina e un fiocco di bambagia quà e là. Chi ricorda il cotone ? Oggi gli addobbi, invece, fanno sparire lo stesso albero di Natale . Le candeline si accendevano solo la sera  e poi in quanto ai doni si trovava qualche mandarino , i cioccolatini e le caramelline piccole. E si era uguali felici. Quella felicità che ,oggi , i bambini hanno un po perduto . L’abete è un albero che ama la luce, anche perché svetta in alto . In quel periodo non si facevano troppo filosofie sugli addobbi e sui regali . Erano cose che si facevano con amore   e si godevano col cuore .

 

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Salutiamo la Svizzera , l'Argentina e gli Stati Uniti

francesco casalinuovo   jacursoonline