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Malaria - Curinga una volta

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La Malaria

MEMORIA E TERRITORIO: Curinga  una volta

MOSTRA MULTIMEDIALE

A CURA DI ANTONIO PANZARELLA

 

Grazie Prof. Antonio Panzarella per avere raccontato la memoria del territorio della Curinga di una volta, attraverso una fantastica ed esaustiva mostra multimediale.

Un patrimonio di immagini che solo un intenditore come lui poteva portare a Curinga.

Grazie per la presenza significativa di nomi prestigiosi della cultura Calabrese come: Giuseppe Soluri, Presidente dell’ordine dei Giornalisti della Calabria, Prof. Stefano Alcaro docente UMC Catanzaro, Cesare Pitto Antropologo, Lucio Lombardi Satriani, Prof. Discipline DEA nelle Università Italiane e alle autorità locali Ing. Domenico Pallaria Sindaco e Dott. Patrizia Maiello assessore alla cultura del comune, che hanno saputo dare un contributo molto importante e significativo al tema della serata dedicata alla Malaria nel nostro territorio.

Grazie ancora agli artisti Anna Macrì e Salvatore Puntillo nonché al prof. Oscar Bonelli che ha coronato, con la sua musica lo spettacolo teatrale “La Malaria dentro” scritto e diretto da Antonio Panzarella.

L’argomento, non molto lontano dalle nostre generazioni, ha riportato alla memoria situazioni di povertà che altro non potevano produrre se non malattie che, il più delle volte, conducevano alla morte.

È triste sentire parlare di povertà che, sottolineato dai relatori, costringeva la gente a vivere in condizioni che oggi definiremmo disumane, perché tali erano le condizioni di vita dei nostri antenati.

Le immagini, ricche di volti, di sofferenza ma di infinita dignità, sottolineano questa condizione di povertà, che sembra rubare l’anima ai vari personaggi che le foto rappresentano, così come sottolineava il Prof. Stefano Alcaro nel suo intervento.

Vivere in una casa le cui funzioni non si limitavano ad ospitare i soli componenti della famiglia, ma che si completavano con le galline, il maiale e l’asino, elementi fondamentali per il sostentamento della famiglia stessa, era indice di ricchezza da una parte, ma di povertà per un’altra.

Malaria, una malattia portata dall’insano ambiente in cui si viveva, dalla mancanza di igiene personale ed ambientale, dall’acqua stagnante nelle pianure della marina portata a valle dalle fiumare Turrina, Randace, Amato e Angitola che, purtroppo non riuscivano ad avere uno sbocco al mare.

Vivere a Curinga, o a San Pietro a Maida, Maida, Jacurso, ad Acconia, a Francavilla, a Montesoro, Filadelfia ecc., significava convivere con la malaria, e combatterla non era facile viste le volontà manifestate sia dalle autorità locali che da quelle che stavano sempre più in alto.

La Calabria non era la Lombardia della pianura padana o di altri posti del nord, dove l’antidoto a questa malattia era abbastanza facile reperire; siamo al Sud, e come molte altre cose, al Sud non era facile averle, così come non era nemmeno possibile reclamare un santo diritto.

Ciò viene sottolineato dalla coppia di attori che magistralmente hanno interpretato i personaggi di Maria, che piange il figlio morto per questa malattia, e il Medico del tempo che, con tanta pazienza cerca di spiegare a Maria che a volte, l’unica speranza si racchiude in una semplice preghiera rivolta a Dio.

E Maria non riesce a frenare il suo pianto sotto il tintinnio delle campane che suonano a morte, ma dignitosamente comincia a prendere coscienza e ad inveire contro gli amministratori quando scopre che certe volontà impongono questo alla povera gente.

E Maria è una di queste nonostante Angela, Carmela, Francesca, Caterina, e tante altre, personaggi raffigurati nella gigantografia esposta alle sue spalle, hanno subito la stessa fine, hanno pagato con la propria vita il malessere di questa malattia.

Bravo Antonio che è riuscito a raccontare e sintetizzare una storia lunga e dolorosa nelle poche battute, in un misto di italiano e dialetto, e magistralmente interpretate dai due attori Macrì e Pontillo.

La ricchezza di questa mostra multimediale consiste proprio nella presenza di tutte queste immagini del tempo che raffigurano volti tristi di personaggi, mentre aspettano impazienti ed in fila una dose di antidoto alla malattia, ma anche di gente dedita al lavoro, di ragazzini che tengono in mano il loro l’strumento di lavoro ed altri che, con estrema dignità e orgoglio sottolineano l’attività svolta da contadino, potatore, cacciatore o guardiano delle terre del padrone.

Questo è un tassello della nostra storia, un aspetto di vita che deve fare riflettere soprattutto chi, di questi temi non era a conoscenza.

Sottolineava il Prof. Lucio Lombardi Satriani, da esperto Antropologo quale è, che per sapere il percorso da seguire nel futuro è necessario conoscere il nostro passato, soprattutto quello della sofferenza, e da questo sapere ripartire.

Ernesto prof. Gaudino

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