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O tà cù era Ulisse ? parte quarta - 1

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O tà cù era Ulisse ? parte quarta
1
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Piccolo grassottello con i capelli curati e con una scrima diritta sulla parte sinistra dei capelli e un boccolo appena accennato. Bruno pensava che era già grande e che forse i figli delle persone importanti nascevano già grandi perchè nessun bambino di sua conoscenza si muoveva così come si muoveva Roberto. E poi che nome bello Roberto. Gli altri ragazzi della sua età ciccio peppe micu brunu . Lui , solo lui Roberto. E non lo potevi chiamare in modo diverso da come si chiamava – Roberto perchè non suonava bene.Concedeva la sua amicizia a pochi e quei pochi nei momenti in cui stavano insieme parlavano e si muovevano come lui – grandi.Lo invidiava ma non voleva essere come lui. Ogni tanto di notte nel letto prima di addormentarsi si immaginava di essere lui il figlio del dottore. Ma poi si addormentava e nemmeno nel sogno si dava questa possibilità.Arrivati al campo sportivo, a Morici, il padre dava sempre uno sguardo a quello spazio vuoto senza essere coltivato e gli si leggeva sul volto una espressione di disgusto quasi e proseguiva con ritmo ancora più elevato quasi a voler dimenticare quanti quintali di grano sarebbero usciti se il campo sportivo veniva lavorato a grano o quanti quintali di patate …

Si costeggiava il cimitero con le sue mura severe e i suoi cipressi e un silenzio incredibile dava l'impressione di incominciare la strada per l'aldilà. Ma subito dopo si costeggiava  a destra la proprietà del Colonnello  cundriaci  a sinistra la proprietà del Direttore e poi la discesa di san michele con le sue radici di castagni millenari ci portava direttamente alle prime case dello stretto e del  calvario.

Quando si arrivava nelle vicinanze del calvario il padre  si avvicinava alla prisa dell'acquaro che arrivava dalla montagna ci entrava dentro dopo aver fatto alcune pieghe ai pantaloni perchè non si bagnassero e si toglieva con quell'acqua gelida  la polvere che si era accumulata  nei piedi scendendo dalla montagna , si asciugava velocemente con un fazzoletto , si infilava i calzettoni di lana che aveva conservato nelle tasche dei pantaloni, metteva giù  dal bastone dove le teneva attaccate dai lacci gli scarponi ancora lucidi e profumati del grasso che veniva usato per tener morbida la tomaia di cuoio se li infilava ai piedi li allacciava con le stringhe e alla fine alzatosi dal gradino che aveva utilizzato come sedile, sembrava un'altra persona. Più alto, impettito con lo sguardo dritto e con l'aria sempre più seria, si rivolgeva a Bruno che aveva osservato con attenzione tutte le operazioni del padre, dicendo andiamo a messa.     8

Lui a fianco di quell'uomo straordinario che era il padre si sentiva un uccellino...gli scarponi di entrambi sul selciato di via marconi suonavano come quattro campane. Quelli del padre con un  suono cupo e forte e i suoi con un suono argentino e allegro.

La bottega del falegname mastr'andrea, sulla destra e più giù sulla sinistra la bottega di mastro michele mastro d'ascia, faceva in modo perfetto li maruggi sia di accetta sia di zappa e sapeva fare le spinnocce alle botti di vino l'11 novembre giorno di san martino. Poi giù la stalla de vicenzuzzu e poi quella di micheluzzu due fratelli massari  che avevano i carri e che durante l'estate quando il raccolto del grano era buono e c'era una mietitura abbondante il padre li chiamava per pisare.

La casa enorme del dottore e poi giù ancora la stalla de giuannidepietrudegiuanni con la giumenta e il calesse la casa de nunziatina sulla destra che faceva angolo con la via del timpone e infine la piazza antistante la chiesa , piazza san Giovanni, e la chiesa un cubo grigio e freddo dove ogni domenica mattina si celebrava la messa.

Era anche quella un'occasione che gli consentiva di apprendere e lui  faceva buon uso di quell'ora e mezza. Osservava gli altri ragazzi, ascoltava i loro strani discorsi, guardava quegli uomini tutti vestiti di nero e con il cappello in testa, le strade diverse da quella che portava in montagna. La funzione della messa domenicale, quella delle dieci era occasione di farsi conoscere e conoscere.

La chiesa di san Bestiano si trovava al centro del paese.

Era una chiesa povera con mura bianche e alte freddissima d'inverno e fresca d'estate. Aveva due accessi una porta piccola che fungeva da porta d'accesso per tutte le funzioni non ufficiali e che era situata in piazza san Giovanni e poi l'ingresso dalla Tribona che veniva usato soltanto in occasione di processioni matrimoni o funerali, un portone grandissimo orientato ad est . Era stata fatta così, si diceva in paese dopo che era stata distrutta da un terremoto terribile di non si quale periodo ma certamente più di due secoli prima e i vecchi raccontavano che c'era una cupola grande sopra l'altare maggiore e che crollò durante quel terribile terremoto, e per fortuna aggiungono ancora non successe di domenica e di giorno altrimenti sotto le macerie della chiesa sarebbe morto almeno mezzo paese. Il terremoto lo chiamano ancora lu benedittu quasi a cercar di rabbonirlo e quando parlano di quel benedittu si fanno il segno della croce. Quello che crollò non fu mai ricostruito allo stesso modo e né i preti e né la gente pensò mai di abbellire la chiesa con cose artistiche quasi ad aver paura che si potesse ripetere lo stesso evento e quindi sprecare soldi e lavoro senza costrutto.

Durante le funzioni una barriera invisibile  separava  gli uomini dalle donne.

Le donne occupavano la parte antistante la balaustra che delimitava l'altare. Avevano tutte la loro sedia e un lungo corridoio separava le due corsie. In prima fila le donne di chiesa, mio padre le chiamava le bizzoche e queste erano addette a recitare il rosario e a rispondere alle parole del prete. Le file delle sedie erano separate da un inginocchiatoio su cui si inginocchiavano quando il prete faceva la consacrazione. Dopo le bizzoche c'erano le sedie delle donne benestanti, che avevano il diritto di arrivare quando volevano e nessuno poteva dir niente, nemmeno il prete. Arrivvavano trafelate magari durante il sermone aprivano rumorosamente la porta d'ingresso di piazza san giovanni la richiudevano infilavano le dita nell'acquasantiera si segnavano con il segno della croce e poi in modo apparentemente leggero si avvicinavano alla loro sedia e si sedevano per placare l'affanno. Tutte le donne si giravano ad osservare la scena e ognuna di loro invidiava questa sfrontatezza. Invidia dovuta al fatto che se una di loro avesse fatto questo...peccato, cioè arrivare alle funzioni quando queste erano iniziate, il prete, diventava un giudice accusatore  e strillava dall'altare come una vecchia gallina e terrorizzava le bizzoche facendo vedere le fiamme dell'inferno; lui sapeva benissimo che nessuno si terrorizzava per quello che diceva ma era una parte che lui doveva recitare e tutti a ridere e a sghignazzare in silenzio sulle sue tiritere.

 Gli uomini occupavano lo spazio del portone grande e c'erano i banchi disposti su sei fila e in mezzo un corridoio per accedere ai banchi. Sulla sinistra il fonte battesimale e sulla destra una scala che portava al campanaro, meta molto ambita dai ragazzi perchè lì sopra ci si poteva divertire durante la funzione sacra.

Non tutti potevano salire ma solo chi era abitudinario e Pasquale il sagrestano riusciva  a selezionare chi poteva salire e chi no e a far rispettare le sue decisioni in modo molto energico. I primi che avevano accesso al campanaro erano quelli che sapevano suonare le campane.

Non era facile suonarle, bisognava “sapere la musica” dicevano quelli che avevano imparato a suonarle. C'erano diversi ritmi il più difficile era quello del Gloria. Le campane dovevano partire con il suono acuto a utilizzarlo per almeno 7 o 8 volte con lo stesso ritmo e poi si intercalava ad un ritmo allegro la campana col suono greve

din – din – din – din – din -ndolindondi-ndolindondi-ndolindondi.... ndolindondindolindondi – ndolindondi -   9

continua.....



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